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I big della politica servono?

San Benedetto del Tronto | In questa fase finale della campagna elettorale i cittadini sommersi da "santini", slogan dozzinali, lettere con facce non credibili, big nazionali "esibiti", dovrebbero sentirsi strumenti "storditi" più che persone ascoltate o emozionate.

di Angela Mary Pazzi*

Tanti i leader nazionali che campeggiano sulle prime pagine della cronaca politica locale a sostegno dei partiti. Leader che arrivano, solo a volte incontrano cittadini per discutere, spesso cenano o prendono un aperitivo per farsi fotografare insieme al loro candidato.

In questa fase finale della campagna elettorale i cittadini sommersi da “santini”, slogan dozzinali, lettere con facce non credibili, big nazionali “esibiti”, dovrebbero sentirsi strumenti “storditi” più che persone ascoltate o emozionate. Anche in questa campagna elettorale per le provinciali sono stati pochi i momenti in cui siamo stati chiamati a vivere emozioni vere, esperienze reali di approfondimento e di riflessione.

Lo “stile” di una campagna elettorale fa emergere anche un’idea di politica? Quando si costruisce una campagna elettorale si guarda all’elettorato o ai propri apparati di riferimento? Si cerca di comunicare fiducia o “carpire” fedeltà ai simboli? Nel chiedermi da dove derivino tali cattive pratiche mi viene in mente lo slogan di More than politics “se proprio non riescono a cambiare le facce, cambino almeno il modo di comunicare”.

Ma cambiare modo di comunicare non è possibile se non si cambia l’idea della politica. Fare politica “mettendoci la faccia” vuol dire farsi vedere, “cinguettare” (come dice Baumann) o comunicare attraverso la propria storia personale, attraverso quello che si è fatto e che si fa? In realtà, prima del partito, prima degli slogan e delle parole dette e scritte nei programmi, viene la reputazione del candidato, la sua credibilità. Se fare politica è “metterci la faccia” allora chi è il candidato conta anche più di quello che fa.

Prima del partito, prima del programma elettorale, viene la sua reputazione, la sua credibilità, la sua storia. Affermare questo non significa fare personalismi o non riconoscere il ruolo dei simboli di partito, come spesso strumentalmente si cerca di affermare. Devono essere i simboli a legittimare i candidati o i candidati con le loro biografie a dare anche senso ai simboli e renderli affidabili?

Chi vuole cittadini sudditi “non pensanti”, ma al momento del voto fedeli alle appartenenze, quando fa campagna elettorale non si preoccupa della credibilità dei candidati, non guarda agli elettori ma ai propri apparati di riferimento ed usa i leader nazionali per occultare candidature debolissime e vuoto di contenuti. Invece, per avere fiducia in un simbolo (di partito o di lista civica) quel simbolo deve “incarnare” biografie personali fatte di visioni, progettualità, metodo e cose realizzate e questo non piace a quel ceto politico che vuole gestire potere e carriere personali.

La scarsa partecipazione fin qui registrata ai comizi dei leader nazionali ed, al contrario, i tanti cittadini che si stanno impegnando fuori dai partiti, con liste civiche che dialogano con una comunicazione diretta e trasparente, povera di manifesti e spot ma ricca di contenuti e di volontà di risultati concreti, dimostrano che i tempi stanno cambiando; anzi sono già cambiati.

Non più fedeltà ai simboli, ma fiducia nelle persone; non più “cinguettii” televisivi e marketing politico, ma concretezza e credibilità dei candidati locali. Perché è iniziato il tempo della politica reale. Quella delle persone e dei territori.

*Presidente Associazione PICENO AL MASSIMO

02/06/2009





        
  



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