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E’ Platone il padre del Prozac

Ascoli Piceno | Che cosa c’è sotto il bisogno di una consulenza filosofica?

di Fabrizio Marini

Sin dagli anni ’80 è in corso un dibattito intorno alla nascita di una nuova professione, la consulenza filosofica. In Italia tale novità ha avuto risonanza con l’uscita nel 2001 del best-seller Platone è meglio del Prozac di Lou Marinoff. Con iniziale euforia è stata comunicata la buona novella: la filosofia esce dalle muffite biblioteche e dalle università per ritornare al suo ruolo originario di maestra di vita.

Un problema certamente esiste. Sia la psicologia che la psichiatria sembrano in molti casi mancare la soluzione delle difficoltà che gli individui pongono, tuttavia in questo articolo vorremmo verificare quali sono i fondamenti di questa nuova disciplina e la loro solidità.
Marinoff ha certamente buon gioco nel rilevare i limiti toccati dalle tradizionali psicoterapie, ma non sono ben delineati i motivi per cui la filosofia dovrebbe rimediare alle domande senza risposta dei sofferenti. Si ha la sensazione che il soggetto, aiutato dal consulente, dovrebbe scegliersi quel ragionamento filosofico che più gli aggrada per evidenziare e poi per risolvere i motivi del disagio. Una sorta di supermarket dove a seconda del temperamento, viene scelto il consiglio di Aristotele o piuttosto quello di Platone o di Kant.

In tal modo la filosofia non acquista un volto nuovo, ma continua ad essere vista come una serie di teorie separate e isolate l’una dall’altra. Dico continua perché è questa la maniera invalsa di insegnare la materia nelle scuole.

Se non comprendiamo che la filosofia è innanzitutto il luogo nel quale tutti noi ci muoviamo, ossia se ignoriamo che essa rappresenta le coordinate del nostro sentimento e del nostro pensiero di ogni giorno, non riusciremo a comprendere i nostri problemi. Il titolo provocatorio del nostro articolo si riferisce proprio a questa opera di scavo nel nostro animo per liberare quella energia pulita e libera intrappolata da motivazioni e pensieri che abbiamo ereditato, in ultimo proprio dai primi pensatori che hanno dato forma alla nostra civiltà. E se la psicologia e la psichiatria non riescono a risolvere le angosce dell’individuo è proprio perché ereditano le movenze, diciamo così, della filosofia, essendone state da essa generate. Noi intendiamo dunque la consulenza filosofica come un’azione negativa, di rimozione o di presa di coscienza di modalità di agire ripetitivi, piuttosto che di una proposta di asservimento a questo o a quel ragionamento.

Per noi Platone rappresenta il padre del desiderio di felicità che conduce oggi la psichiatria a prescrivere farmaci antidepressivi. Potrebbe sembrare un paradosso, ma non lo è. Con Platone difatti noi abbiamo ereditato la grande divisione del nostro essere in mente e corpo. Tale divisione è insieme una svalutazione del secondo in base ai modelli generati dalla prima. La nostra ansia è prima di tutto un’ansia di definizione, di conoscenza, un ruminare continuo della mente che dice continuamente no a ciò che la vita presenta. Tutte le diverse filosofie che si sono succedute nel tempo sono espressioni di quest’ansia di cambiamento motivata dal confronto tra i modelli generati dalla mente e l’imperfezione, la mancanza attribuita alla materia di cui siamo fatti.

Cosa fanno la psicologia e la psichiatria se non tentare ostinatamente di spiegare, di rinchiudere in un modello i sintomi del paziente? E la psicologia cosa propone se non nuovi modelli di adeguazione? Ma il disagio nasce proprio da un affollamento di ideali che producono tensioni e che danno vita ad un agire inefficace.

Noi diciamo che il terapeuta chiunque esso sia, deve prima di tutto porsi in ascolto di questo mondo in conflitto che è l’esperienza dell’individuo, cercando di ricreare in lui la percezione di un ambiente ospitale, ove le azioni nascano senza l’imperativo di uno sforzo, spontanee.
A questo proposito, visto che siamo in tema di consulenza filosofica, desideriamo accennare a una prospettiva anteriore alla filosofia di Platone e Aristotele, e generalmente nota come pensiero presocratico. Uno dei suoi paladini è Parmenide. Egli annuncia per la prima volta un orizzonte invalicabile che è l’essere. L’essere raccoglie ogni cosa in quanto essa è: uomini, dei e il mondo. Se tale orizzonte è certo rappresenta quella terra della sicurezza e della serenità che nessuno può negare o stravolgere.
 
E’ Platone il padre del Prozac
Alcune considerazioni sulla nuova figura del consulente filosofico
 
            Nel 2001 è stato pubblicato un testo di Lou Marinoff dal titolo suggestivo: Platone è meglio del Prozac, in cui l’autore getta le basi di quella che ormai è divenuta in Europa e in Nord America una nuova professione: il consulente filosofico. A detta dello studioso americano da alcuni anni a questa parte si è manifestato il bisogno di un uso terapeutico della filosofia, stante i molti casi di fallimento a cui la diagnosi e la cura psicologica o psichiatrica del malessere sono andate incontro. Non vi è dubbio che tale fallimento è un dato di fatto. In questo articolo intendiamo invece porre in evidenza alcune carenze metodologiche che la nuova consulenza, benché giustificata dai tempi, potrebbe accusare.
Nella prima parte del libro Marinoff rileva a ragione i motivi che hanno portato alla riconsiderazione della filosofia, non più o non solo intesa come disciplina accademica, ma come maestra di vita. Tali motivi risiedono nella diffusa medicalizzazione del disagio da parte delle terapie tradizionali. Da una parte la psichiatria tende a etichettare ogni forma di problema psicologico in una sindrome dalle basi biologiche, ricorrendo con facilità all’uso di farmaci: l’autore fa notare che dal 1952 al 1994 i vari Manuali Diagnostici e Statistici hanno visto una proliferazione abnorme delle definizioni delle turbe: da 112 a 374.

Dall’altra le varie correnti cliniche della psicologia riportano i dati offerti dal paziente alle proprie ipotesi di scuola, vedendo in gran parte nel passato del cliente la causa del disagio. Ne consegue che l’individualità del vissuto umano si perde nelle classificazioni precostituite e nel trattamento statistico. Tali metodi non hanno avuto successo, perché molta parte del malessere è di tipo esistenziale e difficilmente etichettabile in una sindrome specifica. Egli allora suggerisce che la filosofia sarebbe indicata a fare emergere le motivazioni individuali attraverso l’uso di una particolare scuola di pensiero che offra un contesto nel quale collocare sia il problema sia la soluzione. Per qualcuno sarà indicato Kant, per altri Hobbes o Aristotele, a seconda del carattere del soggetto.
Tuttavia noi rileviamo che un uso isolato delle dottrine denota una visione astratta che non coglie il reale impatto della filosofia nella nostra vita. Essa difatti non è qualcosa di esterno che possa calarsi come risolutiva dei problemi, ma è il campo dove ogni nostro pensiero ed emozione viene alla luce. E’ perché sono esistiti Platone e Aristotele che noi pensiamo e sentiamo in un certo modo. Quello che vogliamo dire è proprio che la “malattia” risiede nella filosofia che sottende il nostro modo di comportarci.

Ecco perché abbiamo titolato il nostro articolo provocatoriamente: E‘Platone il padre del Prozac. La filosofia unisce indissolubilmente in unico contesto i metodi della psichiatria-psicologia e le angosce degli uomini, poiché è da essa che ogni malanno e ogni rimedio al malanno si generano. Diciamo questo perché con Platone nasce una visione nuova e sorprendente dell’uomo, il quale viene scisso in due parti contrapposte: la mente e il corpo.

La mente è la sede della nostra identità, mentre il corpo è ciò che nostro malgrado ci troviamo a essere. Come rilevava Alan Watts tutti dicono: “Io penso” ma nessuno afferma: “Io batto il mio cuore”. Dire che la mente è la sede della nostra identità vuol dire che essa è la misura, fatta di idee, di ciò che per sé non ha ordine: di nuovo il corpo, la natura, l’ambiente. Tale distanza tra il mondo ideale e perfetto della psiche e il mondo imperfetto di tutto ciò che è corpo e materia, genera un senso di angoscia e di tensione sempre volta al cambiamento, e alla trasformazione di ciò che è manchevole. Con ciò, intendiamoci, non vogliamo certo effettuare una diagnosi universale della malattia mentale, ma indicare che la filosofia è il sottosuolo da cui ogni disagio (e ogni rimedio) sorge.
 Se dunque Platone è il fondatore di questa scissione dell’uomo entro sé stesso, tutte le filosofie successive non sono che una versione diversa di pensare tale scissione. La psicologia e tutte le altre scienze nascono da questo unico volto filosofico e ripropongono il tema dei modelli e delle definizioni diagnostiche a cui il soggetto deve adeguare il proprio vissuto. Ma è come curare la malattia con l’agente infettivo, poiché i modelli e le adeguazioni sono proprio i moventi dei disagi di ciò che non può essere omologato.

Qualcuno penserà, data la situazione, che la consulenza filosofica pare già in partenza infruttuosa. Ma non è così, anzi. Il consulente filosofico dovrà favorire il ricongiungimento di ciò che è separato, non fornendo modelli di comportamento in positivo a cui adeguarsi, ma ascoltando (oggi evento raro) e favorendo la percezione di sé stessi e del mondo come un luogo ospitale, poiché solo se si ha tale consapevolezza ne può scaturire un agire efficace. L’ascolto del terapeuta è la prima forma di accettazione che la relazione, ogni forma di relazione, deve manifestare. Solo mettendoci in ascolto possiamo recepire i messaggi che ci vengono mandati, anche quelli impliciti e non veicolati tramite il linguaggio.
E’ in definitiva un’operazione che tende a modificare l’atteggiamento con cui guardare a noi stessi e agli altri. In tale ottica la filosofia presocratica, la prima forma di pensiero razionale nata in Grecia (VI° a.C.), ci offre un campo di intervento molto interessante perché può contribuire al cambiamento del nostro atteggiamento. Essa scopre una dimensione unitaria e accogliente, che è quella dell’essere. Uomini, dei e cose sono e nell’essere ogni tentativo di negazione, di opposizione viene a cadere, poiché l’essere è ciò che vi è di identico in ogni cosa. Noi siamo legati a tutto e il tutto è legato a noi.

Come abbiamo visto in precedenza se ogni forma di mal-essere nasce dalla scissione platonica dell’uomo entro sé stesso, l’essere è la nostra dimensione unitaria non intaccabile da nulla, così come l’oscurità della notte si sovrappone alle cose senza modificarle. Se tutto è essere, allora, noi siamo sempre a casa. Parmenide, uno dei maggiori rappresentanti di questa filosofia, dice: “quando qualcosa esiste, sta in sé stesso, identico a sé stesso, rimanendo nello stesso luogo”.

Non vi è altro luogo dove andare per conquistare il nostro essere, poiché esso è in noi, è sempre stato in noi sin dall’origine.

Dunque perché agitarsi? Dove possiamo mai sperare di rinvenire quello che noi già sempre siamo?   

07/06/2005





        
  



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