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Federico Caffè e il Referendum sulla scala mobile del 1985

San Benedetto del Tronto | Grazie a il manifesto che ha pubblicato una raccolta degli articoli di Federico Caffè tra il 1976 ed il 1985 ho riletto con piacere l'articolo dal titolo "Il mio Voto" che porta la data di pubblicazione del 6 giugno 1985.

di Felice Di Maro

In questo scritto, breve ma denso di significati, ovviamente all'epoca c'erano i benpensanti (Ci sono ancora s'intende!) che ritenevano che l'economista non dovrebbe mai prendere una posizione quando la scelta è politica, ed allora non si diceva ancora politica-economica. La politica non si era ancora fatta aggettivare dall'economia. La politica era politica e l'economia era economia. Diciamo che la politica non si era ancora fatta corrompere dall'economia: lo Stato poteva ancora giocare un ruolo ed essere protagonista nei processi di mercato.

Il sistema delle Partecipazioni statali aveva come imperativo quello di dare risposte di tipo sociale e non solo essere un sistema per rispondere con efficacia ed efficienza alla domanda sempre alta anche allora delle leggi del profitto. Il 1985 è stato un anno importante in quanto il capitalismo italiano da più o meno capitalismo straccione nella sfera del pianeta terra, si è avviato a diventare quello che poi è oggi: capitalismo selvaggio. Anche se non tutti i gatti sono neri e un po' di chiaro per la verità lo abbiamo sempre visto, ovviamente parliamo di gocce nel mare dell'indifferenza dell'economia verso i problemi sociali.

Non vi è mai stata una gara vera tra i politici e gli economisti a spendersi verso i più deboli sia di quelli socialmente per condizione (E famigliare anche!) e sia per quelli a basso reddito. Federico Caffè è la personalità più alta ed è stata la figura che maggiormente la scienza dell'economia ne ha ricevuto un metodo di studio e di ricerca. La ricerca economica, qualunque essa sia non può eseguirsi in laboratorio. I fenomeni dei processi economici vanno analizzati in tempo reale e non sono programmabili a monte nel senso che la loro bontà o meno, la si riscontra a valle quando purtroppo ve lo assicuro non c'è più quasi niente da fare: chi ha dato ha dato, e chi ha ricevuto se lo deve tenere.

In quest'articolo Federico Caffè ha offerto un contributo sul quale occorre oggi riflettere in quanto gli squilibri che sono all'ordine del giorno hanno la loro origine nel trattamento pressappochista e superficiale dell'opinione pubblica di quegli anni. Opinione pubblica che è stata manovrata dai media come le televisioni commerciali. Egli è stato un economista che ha cercato di spendersi, e non a chiacchiere ma con lavori di ricerca e studi, per quella parte della società che vive storicamente sempre in ombra e spesso non è rappresentata non solo nei processi economici ma anche nei corsi e ricorsi della politica corrente.

La riflessione che intendo proporre non può non tener conto del clima dell'Italia degli anni ottanta. In una Roma blindata ed egemonizzata dall'allora Democrazia Cristiana, il manifesto è stato un punto di riferimento per quanti volevano una Italia diversa.. Purtroppo le cose sono andate diversamente ma conta comunque -si voglia o no- essere stati capaci di capitalizzare le sconfitte. E Il referendum sulla scala mobile con il quale si voleva abolire la norma che riduceva l'indicizzazione dei salari dall'inflazione è stata una sconfitta storica dei lavoratori italiani. I no ebbero il 54,3% dei voti.

Caffè ha preso apertamente posizione per il si. Perché? Ecco il finale del suo articolo: "L'appello al <> significa affrontare i sacrifici necessari per una ripresa durevole del paese, in condizioni di riconfermata dignità. E non vi sarà mai ombra nell'ideale di chi avrà concorso a difenderla".

Nell'articolo a più riprese cerca di far comprendere le ragioni che non sono solo quelle di "variazioni nelle buste paga" ma chiaramente si tratta di una diversa politica economica dell'Italia che si dovrebbe affermare. Parla di "enunciazioni" in funzione di "obiettivi validi" e "i problemi eternamente aperti del mezzogiorno". Ma non c'è peggior sordo di chi non voluto sentire. Il fatto che i fallimenti del sistema capitalistico sono strutturali ossia fanno parte del sistema non ha interessato per niente l'insieme del mondo economico del tempo. Sia chiaro non è che oggi l'insieme dei circoli economici italiani si preoccupi più di tanto. Lo stato sociale è ridotto all'osso ed oltre agli interventi sullo status di lavoratore, di certo oggi francamente non noto che si faccia molto.

Certamente un articolo anche se di Federico Caffè non poteva assolutamente presentare l'insieme delle ragioni economiche che il referendum poneva ma in quegli anni assicuro che queste erano ben chiare. Ed ecco quindi la domanda. Chi ha vinto? Si, è vero! Hanno vinto loro e mi riferisco a coloro che pensavano che l'Italia doveva cambiare in bene solo per loro. Chi erano questi "loro"? Risposta: "i benpensanti degli anni ottanta".

Un esempio eloquente del senso degli sviluppi in funzione delle scelte degli anni ottanta sono state le privatizzazioni degli anni novanta. Che tante famiglie si sono impoverite non ha pesato minimamente e non pesa ancora oggi sulla coscienza dei circoli ideologici degli economisti di maniera della nostra Italia.

Con il Referendum sulla scala mobile del 1985 è iniziato lo smantellamento dello stato sociale. Ormai è sotto gli occhi di tutti che i fallimenti del sistema capitalistico sono strutturali. Lo stato come interviene oggi? Può essere solo questione di assicurare sussidi ai disoccupati? L'economia deve cercare di far raggiungere un livello di benessere sociale per tutti e non solo per pochi.

Abbiamo ancora bisogno delle lezioni del professor Caffè, ormai a vent'anni dalla sua scomparsa, possiamo dire che è oggi un amico sincero di tutti ricercatori di economia.

01/07/2007





        
  



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