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Anna Oliverio Ferraris con “La sindrome Lolita” alla Palazzina Azzurra

San Benedetto del Tronto | Con la presentazione del libro di Anna Oliverio Ferraris “La sindrome Lolita” alla Palazzina Azzurra si è tornato a parlare di educazione.

di Maria Teresa Rosini

anna oliverio ferraris

Con la presentazione del libro di Anna Oliverio Ferraris "La sindrome Lolita" ieri sera alla Palazzina Azzurra si è tornato a parlare di educazione.

Di educazione familiare, di educazione sociale, e ci si è di nuovo, mestamente interrogati sulle cause che sempre più spesso ci vedono increduli spettatori dei fenomeni sempre più estremi ed estranei che si manifestano nelle nuove generazioni.

Dalle pubblicità ammiccanti di stilisti, che utilizzano bambini per veicolare il desiderio di abiti o accessori, ma anche un universo di riferimenti emotivi che nulla può avere a che fare con il mondo dell'infanzia, all'utilizzo spasmodico e compulsivo dei nuovi balocchi tecnologici ( videogiochi, telefoni sempre più sofisticati e complicati, Ipod e quant'altro) trastullo e appendice imprescindibile delle "moderne" esistenze dei nostri figli.

La televisione, imputata ormai abituale, "cattiva maestra" da decenni additata come causa primaria di un fallimento educativo generazionale, nel tempo non ha fatto che registrare una costante perdita di qualità e di significato dei suoi programmi, sempre più infarciti di pubblicità al limite del messaggio subliminale, a dimostrazione che non c'è mai limite al peggio.

"Grandi fratelli", "isole" e "fattorie" "tronisti" e "amici" hanno sollecitato oltre l'umanamente comprensibile uno spirito voyeristico che in mancanza di altre giustificazioni non ci resta che imputare ai nostri geni, mentre l'informazione, ibridata coi connotati dell'intrattenimento (subrette, attrici, e non meglio definibili presenze dalle cosce ben in evidenza), straborda nei talk show.

Ma, si dice, "è questo ciò che il pubblico desidera". In realtà i desideri, si sa bene, sono indotti e le immagini parlano al nostro mondo emotivo più che alla nostra ragione fino a soggiogarlo, e ciò vale particolarmente per quello dei bambini e dei giovani, meno schermato e difeso e quindi più esposto nel subirne la fascinazione.
Il principio della responsabilità è diventato estraneo al mondo degli adulti, e il mercato è ormai l'unico valore indiscutibile nel crollo generale di tutti gli altri.

In Italia tutto questo si manifesta in modo particolarmente drammatico: la propensione ad ignorare o ad aggirare regole e leggi, e le contorsioni logiche con le quali tutto questo viene giustificato impediscono ad una opinione pubblica poco attenta e matura di percepire l'imbroglio restando perennemente vittima di un gioco "delle tre carte".

Quali le soluzioni, ci interroghiamo tutti?
Ritornare alle parole, coinvolgere i figli in giochi, letture, conversazioni in cui la capacità personale di ognuno di crearsele in testa da solo le immagini venga continuamente stimolata, in cui le storie, reali o inventate abbiano lo spazio per essere raccontate, commentate, assorbite, rielaborate: questo il suggerimento dell'autrice.

Come diceva Don Milani, è il numero di parole che conosci che può fare la differenza nel costruire la consapevolezza della realtà e metterti nelle condizioni di agire con responsabilità e difenderti da che vuole approfittare di te.

Un apprendimento significativo e non formale, collegato in modo funzionale alla realtà in cui i giovani sono immersi, un'attenzione priva di pregiudizi ai bambini ai ragazzi che ci passano davanti, spesso non più di un numero o di un nome in un registro: questo forse l'impegno che oggi, sul fronte della scuola, dovrebbe ricevere una risposta.

12/07/2008





        
  



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