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Interim

| Se la politica s'illude di riempire un vuoto

di Tonino Armata

Frattanto! E' questo il semplice e affascinante significato dell'interim che tanti nodi scioglie o almeno sospende nella politica e tutto sommato nella vita italiana. La tematica postmoderna degli interstizi, dei frattali e dei frattempi col frattanto dell'interim trova la sua declinazione politica. I veri ponti sono questi: non quelli temporali che collegano giorni di festa a weekend, non quelli spaziali che ardiscono collegamenti fra Scilla e Cariddi, ma quelli logici, le soluzioni provvisorie le quali tendono a prolungarsi indefinitivamente.

L'ultima volta con gli Esteri, il frammento frattale del frattanto e del frattempo fu risolto dal Frattini. Adesso, con l'Economia, ci vorrà un frate, un fratello, o magari spunterà un nuovo ministro delle Frattocchie. Orate, Frates. A proposito di latinorum, mentre l'Europa minacciava con l'early warning noi rispondavamo con l'interim. Dietro la formula latina, un avverbio: gli avverbi placano i diverbi, le congiunzioni si addicono alle congiunture. E allora il migliore commento politico lo darà quell'annosa filastrocca di Yorick: "Quando talor frattanto/ forse sebben così,/ giammai piuttosto alquanto/ come perché bensì…".

L'interim della vita è il coma, nella scuola è supplenza, negli uffici c'è la sostituzione ferie, nel calcio la melina e più recentemente lo sputo, nel ciclismo su pista l'interim si chiama surplace.

E' interim il piétiner, vale a dire il muovere i piedi senza spostarsi, è interim aspettare Godot ed è interim il mal di vivere, il mettersi tra parentesi.

E' interim lo struscio nel viale B. Buozzi, è interim la virtù dei deboli e dei mafiosi.

E' interim l'attendismo, è interim l'assenza di vento, che è la bonaccia contro cui impreca il marinaio.

E' interim il caldo paralizzante dell'ora meridiana, hora diaboli, sospensione della vita.

E' interim la parola strozzata, la pavidità cautelosa. Sicuramente l'interim si addice al Cavaliere perché è la veste dell'uomo di transizione, dell'uomo interimistico.

Persino la legge del Cavaliere è un interim del codice vigente: i suoi processi penali sono sospesi e, dunque, anche le sue responsabilità penali sono sospese. Insomma, molto più della vocazione autoritaria e ducesca che è un'etichetta appiccicatagli dalla cattiva e fuorviante polemica, negli interim a cui ricorre il Cavaliere si nasconde e si svela la sostanza del parvenu, che è una sostanza interinale perché il parvenu è marginale rispetto al vecchio ma certamente non è ancora il nuovo. Più chiaramente: il Cavaliere non è Crispi né Mussolini, non è Togliatti né Fanfani, non predilige l'interim per esercitare direttamente meglio un dominio assoluto. Sceglie l'interim perché è nel "fare le veci" che si riconosce e si realizza: al posto della politica, al posto dell'allenatore del Milan, al posto dei cantanti, al posto di Tremonti, al posto di Bossi malato, Ruggiero, al posto di Agnelli, al posto di De Gasperi, al posto di Dio.

Un uomo-interim non si misura con l'orologio. Già nel 1994 il Cavaliere scese in campo ad interim: Craxi era in esilio, l'Italia moderata era stata sbaragliata da Tangentopoli, i suoi interessi industriali non avevano più rappresentanti politici. E il Cavaliere ha governato ad interim, che è il tempo e lo spazio degli annunci, i quali a loro volta sono l'interim dei fatti: le grandi opere, il taglio delle tasse, la rivoluzione liberale, tutta la realtà del governo è stata virtuale e, dunque, ad interim, perché l'interim è il posto occupato da qualcosa che si sostituisce alla cosa. La pubblicità è un interim, le foto truccate sono l'interim del viso.

E così il sorriso ghignante, i sopratacchi, la tintura sulla calvizie, il lifting. Allo stesso modo la riforma Moratti, anche per chi la sostiene con accanimento, persino per la stessa signora Moratti, e un work in progress, un interim, perché nell'interim non c'è responsabilità, è il tempo dell'estemporaneità, il tempo frammentato, dove ogni frammento non si ricollega a quello precedente e non annuncia quello seguente: via la Storia Classica e dentro il Medioevo; insalsicciamento in un solo anno di tutta la Storia Moderna, dalla scoperta delle Americhe all'Unità d'Italia. L'accanimento sulla storiografia è l'interim, la sospensione della storia, e così la perorazione a favore dell'inglese è un interim della lingua italiana. L'interim è una filosofia magrittiana, l'uomo sospeso, la pipa che non è una pipa, la scuola che non è una scuola, il ponte sullo Stretto che non è un ponte sullo Stretto, il falso in bilancio che non è un falso in bilancio, il ministro dell'Economia che non è un ministro dell'Economia.

Ovviamente la nostra storia politica è ricca d'interim. Forse l'intera storia d'Italia è storia d'interim, perché è la storia di un paese provvisorio, potenza industriale interinale, sospeso tra sviluppo e sottosviluppo, tra Nord e il Sud del mondo, sempre presente ad interim tra i vincitori, sempre assente ad interim tra gli sconfitti. Anche in Iraq siamo intervenuti ad interim, non siamo stati protagonisti della guerra e non saremo protagonisti della pace, ma ci siamo, ad interim in guerra e ad interim in pace. E' vero che i precedenti interim istituzionali sono stati spesso nobili, al punto che, come ha ricordato il Foglio (testata parente), è stato il Cavaliere a sollecitare uno studio sui successi degli interim nella politica italiana, beandosi soprattutto del paragone con Cavour il quale grazie all'interim avrebbe avviato le prime grandi riforme economiche.

Ma Cavour non somigliava al Cavaliere per il ricorso all'interim che, come ho detto, nel Cavaliere è sostanziale e in Cavour fu raspodico, discreto. Forse il Cavaliere dovrebbe commissionare un altro studio comparato, e di nuovo la testata parente il Foglio potrebbe riprenderlo, per segnalare la straordinaria somiglianza- dissimiglianza, nel conflitto d'interessi. Ha scritto Luciano Cafagna nell'astuta biografia che ha dedicato a Cavour, (ma era già stato raccontato dal grande Rosario Romeo): "Cavour fu in pratica il primo uomo d'affari della storia politica italiana. Quando decise di entrare attivamente in politica non era più un ragazzo: era un uomo d'affari con ampie esperienze imprenditoriali, finanziarie, speculative, coltivate da molti anni, fra le più ardite e di avanguardia nel Piemonte di quei tempi".

Cavour era banchiere, proprietario terriero, agricoltore, fabbricante di prodotti chimici, padrone di giornali, tra i quali Il Risorgimento, proprietario di mulini, mediatore di grandi affari al 3%, azionista delle ferrovie e addirittura industriale ferroviario in proprio con il fratello Gustavo e il marchese Stanislao Cordero di Pamparato. "Al limite, poi, tra gli affari e la politica sta la partecipazione di Cavour alla creazione dei primi moderni istituti di credito a Genova e a Torino destinati da lì a qualche anno a confluire nella Banca Nazionale degli Stati Sardi che più tardi divenne, com'è noto, la Banca d'Italia": scrive ancora Romeo che per tutti questi successi in molti gli dicevano: "Ah! che uomo abile. Voi meritereste di essere primo ministro del re d'Italia".

Attenzione dunque a giocare con i precedenti: quell'enorme conflitto d'interessi che spinse Cavour a scendere in campo non produsse un'interim della politica. Nel Piemonte preunitario a suffragio censitario, Cavour fece leva sugl'interessi privati, suoi e della sua regione, per sollevare e per fare l'Italia, mentre il Cavaliere, nell'Italia democratica e repubblicana del suffragio universale, vuole esattamente il contrario: disfare l'Italia. Ad interim, voglia Dio.

29/07/2004





        
  



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