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Incontri con l’autore: Salvatore Niffoi ha presentato "Il pane di Abele".

San Benedetto del Tronto | Nel parlare di ciò “che ama, conosce e rispetta” Salvatore Niffoi ce ne spalanca le porte offrendoci codici che ci permettono di decifrare sentimenti, emozioni valori e linguaggi della sua terra.

di Maria Teresa Rosini

"Affabulando senza rete, come trapezisti..." Ascoltando Salvatore Niffoi ieri sera, alla Palazzina Azzurra durante la presentazione del suo ultimo romanzo Il pane di Abele, edito da Adelphi, abbiamo provato un po' anche noi l'ebrezza del volo: quello della mente al quale l'autore ci ha invitato nell'esordio della conversazione sul suo libro. Noi marchigiani un po' diffidenti, che lasciamo sempre uno spazio, una sospensione razionale tra noi stessi e gli "altri", abbiamo finito con l'essere travolti dal fascino del volo attraverso le parole di Niffoi.

Era il meno che ci potesse capitare di fronte ad un autore cantastorie per vocazione già dall'infanzia, prestigiatore di parole che, mescolando un italiano colto all'accento e alla lingua sarda, ha delineato spazi e tempi del suo mondo in un intreccio fluido e appassionato accompagnandolo dal lampeggiare di uno sguardo fessurato ma instancabile.

Approdato alla pubblicazione dopo una vita trascorsa in compagnia della scrittura, insegnante nel piccolo paese, Orani, in cui continua a vivere, nella Barbagia di cui ci fa percepire chiaramente la sua appartenenza, Niffoi deve il suo successo letterario alla casualità per la quale Giancarlo Coccia, della RCS libri, ha avuto occasione di leggerlo in una sua edizione di una casa editrice sarda.

Il paragone con Garcia Marquez, come ci racconta lo stesso Coccia, presente ieri sera con Niffoi, è scaturito immediamente attraverso un'intuizione felice confermata dai riconoscimenti successivi.
E Niffoi, da parte sua, tiene a sottolineare la gratitudine che lo lega al suo scopritore durante il dialogo iniziale con la presentatrice della serata Antonella Roncarolo.

Come per Marquez, il rapporto con la sua terra e la millenaria cultura che ne ha tracciato la mitologia, l'immaginario, i valori, gli eccessi, è per Niffoi la radice stessa da cui nasce la sua scrittura e il contesto assolutamente privilegiato e imprescindibile in cui ambienta i suoi racconti.
E' una terra, ci dice, che merita di essere raccontata a partire dalla sua natura fisica, in cui si fronteggiano asperità e dolcezze che "percuotono" le nostre percezioni e dalla "isolitudine" inquietante del suo panorama umano, connotato da definizioni nette per cui "o sei tronco o scheggia".


"Chi sostiene che la Sardegna che racconto non ha nulla a che vedere con l'attualità, non conosce davvero la mia terra": seppure il terremoto antropologico provocato dall'omologazione dei media tenda, soprattutto nelle giovani generazioni, a creare un conformismo che ne sbiadisce le peculiarità, ciò che connota l'essere sardo è ben lontano dall'essere un retaggio del passato.

Il pane di Abele racconta la storia di una amicizia tra diversi, l'incontro tra due mondi, quello della cultura "alta" del continente e quello in cui una tradizione ineludibile detta, pur nella capacità di accoglienza del forestiero, le regole ferree di una appartenenza ancestrale.
La crescita in comune di Nemesio e Zosimo, a contatto con una natura a volte difficile ma sempre maestra, testimonia la possibile interazione tra mondi lontani che subiscono una fascinazione reciproca tra le ruvide e solide radici dell'uno e i riferimenti più incerti e formali dell'altro che lo proietteranno verso un futuro di individualistico riscatto.

Nello svolgersi della storia però le parole, che per l'uno corrispondono perfettamente al proprio essere ("sono piombo, riso e lacrime"), per l'altro diventeranno una maschera accattivante in cui si può finire per perdersi.

Scopriremo che nonostante siano cresciuti insieme, nonostante che Nemesio sia imbevuto della cultura sarda, grembo all'interno del quale è cresciuto, di cui padroneggia linguaggi e riti, finirà per tradirne l'essenza più profonda, quel senso dell'onore e del rispetto dell'altro, quella dura struttura ineludibile che invece Zosimo porta incisa come un DNA dentro il suo essere.
Vrades pro sempere, litania che si ripete ossessivamente durante tutto il romanzo avrà in realtà un significato e un attuarsi molto diverso per ciascuno dei due amici.

Nel parlare di ciò "che ama, conosce e rispetta" Salvatore Niffoi ce ne spalanca le porte offrendoci codici che ci permettono di decifrare sentimenti, emozioni valori e linguaggi della sua terra e nonostante si definisca "un uomo da penombra, molto proustiano e pudico" la passione del raccontare che si è manifestata così precocemente nella sua vita, per nostra fortuna riesce a vincere la sua riservatezza regalandoci pagine, parole e personaggi che non potremo dimenticare.

17/07/2009





        
  



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Niffoi a San Benedetto( Foto Cicchini)
Niffoi a San Benedetto( Foto Cicchini)

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