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Qualche domanda sulla libertà e sull'intelligenza del giornalismo nostrano

San Benedetto del Tronto | Don Armando critica la stampa locale: "I nostri giornali ci propinano il niente".

di don Armando Moriconi

Lo dico in premessa: in queste mie considerazioni non c'è nulla di personale; ce l'ho con un modo di fare giornalismo, e se me la prendo anche con i nostri giornalisti lo faccio proprio a partire da una stima nei loro confronti: se così non fosse, inutile mi apparrebbe qualsiasi pro-vocazione, qualsiasi richiamo. D'altra parte, al di là di riferimenti che mi riguardano da vicino, in questo mio intervento non mi interessa "portare acqua al mio mulino"; è ormai così ignorato da farlo sembrare roba di altri tempi, ma ciò che mi sta a cuore è quello che una volta si chiamava "bene comune".

La questione è ampia, sicuramente nazionale, probabilmente mondiale; ma fermiamoci a S. Benedetto. La questione dura da anni; ma limitiamola a questi giorni.
Ogni volta sembra si sia superato il limite. Ogni volta bisogna amaramente ricredersi…

Cosa abbiamo appreso in questi giorni dalla nostra stampa locale? Su cosa siamo stati informati? Abbiamo saputo delle beghe che interessano i nostri Politici: bene! Abbiamo saputo degli ultimi acquisti della Sambenedettese: bene! Abbiamo saputo soprattutto, e con un'insistenza che fa pensare, di tutte le iniziative che gli splendidi chalet della nostra riviera propongono: bene, interessante; soprattutto per loro (i gestori degli chalet), ma interessante! Abbiamo saputo del compleanno di qualche sconosciuto: bene anche questo!

Ma mi domando: tutto qui? Solo questo si è capaci di dire? Questo è il livello culturale che si è capaci di esprimere? Senza offesa per nessuno, parafrasando il grande Giorgio Gaber, per essere bravi a fare un giornalismo così non è che bisogna essere proprio imbecilli, però aiuta…  

Leggeteli usando della ragione: i nostri giornali ci propinano il niente, o quasi. E quando, per avventura, c'è qualcosa che si distingue da questo pattume, non lo si sa o non lo si vuole vedere. Così, ad esempio (veramente a titolo di esempio), è pazzesco che sia stato quasi totalmente ignorato il fatto (il semplice fatto) che un popolo si sia ritrovato il 14 e 15 di agosto nell'area dell'ex-galoppatoio, attorno ad un evento (l'Avvenimento in piazza) che - a motivo dell'appassionato interesse per l'uomo, per l'io; a motivo degli incontri, degli approfondimenti, delle mostre, degli ospiti… - certamente e a buon diritto e nel senso più alto del termine, può dirsi culturale.

Perché è stata più interessante (con tanto di foto e dovizia di particolari) l'ennesima festa latino-americana nel solito chalet? Perché non c'è spazio per tutti? Perché questo arrogante silenzio? Perché si è fatto riferimento a questo Avvenimento solo per dire - gettando fango e non preoccupandosi punto di andare a verificare le effettive responsabilità - che Fides Vita ha contribuito al degrado della città (cfr. Il resto del carlino, 20 agosto)?

Perché si è potuto piegare e interpretare ed equivocare questo Avvenimento a tal punto da farlo diventare, a leggere il titolone, un luogo di riesumazione di partiti che più non esistono (cfr. Corriere adriatico, 20 agosto)? Si badi: questi gli unici "interventi"; per il resto - fatta eccezione per alcune gradite righe su Il resto del carlino del 14 agosto - il niente, il vuoto, l'odioso ostracismo…

Quanto a noi, poco importa: il nostro essere dentro la realtà non dipende - grazie a Dio - dalla considerazione dei giornali. E poi, questo odio (oggi dal volto mellifluo e buonista) non è cosa nuova: questa meravigliosa storia che è il Cristianesimo ci fa i conti fin dall'inizio…

Quanto a questo modo di fare giornalismo, la domanda - che spero possa avere ulteriore risonanza, magari in un dibattito, magari in un incontro... - resta: rincorrere stupidamente o servilmente la più bassa ed inutile delle notizie è corrispondente al grandioso servizio dell'informazione? Contribuisce alla cultura di un popolo? E, alla fine, serve per davvero anche il legittimo interesse di un giornale alla propria dignità, al proprio prestigio, alla propria diffusione?

Mi sbaglierò, ma continuo a pensare che migliaia di giovani che si ritrovano, senza essere né intellettuali né bigotti, attorno ad un'affermazione di Alessandro Manzoni facciano più notizia di quelli che lo fanno attorno alla Canzone del capitano. Chi è libero e intelligente non può non accorgersene. Non può, perlomeno, non incuriosirsene.

22/08/2003





        
  



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