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Giovani e tossicodipendenza in uno sconvolgente libro inchiesta di Federica Angeli e Emilio Radice

San Benedetto del Tronto | L’inchiesta fotografa una realtà purtroppo non inedita neppure nella nostra più tranquilla provincia, dove il fenomeno delle tossicodipendenze precoci, per quanto più circoscritto rispetto alle aree metropolitane, rientra nell’esperienza comune.

di Maria Teresa Rosini

Serata interessante quella di giovedì allo chalet "La Promenade" con la presentazione del nuovo libro inchiesta "Cocaparty, storie di ragazzi fra sballi, sesso e cocaina", frutto delle indagini sul campo di due giornalisti di "La Repubblica", Federica Angeli e Emilio Radice.

L'occasione offre l'opportunità di sviluppare qualche riflessione in più su un argomento che, al di là delle analisi tecniche e sociologiche, rappresenta una drammatica emergenza, tra le tante che ci affliggono in questa fase, che Radice definisce "bassa", della vita sociale e politica del paese.

L'inchiesta fotografa una realtà purtroppo non inedita neppure nella nostra più tranquilla provincia, dove il fenomeno delle tossicodipendenze precoci, per quanto più circoscritto rispetto alle aree metropolitane, rientra nell'esperienza comune: se ne parla, magari sottovoce, si conoscono alcuni fatti e i giovani che vi sono coinvolti, si sa perfettamente della facilità che consentirebbe a chiunque di procurarsi una "dose".

E' un percorso di autodistruzione quello che si imbocca nell'avvicinarsi a qualunque sostanza stupefacente o comunque psicoattiva come l'alcool. Che si mascheri la decisione di intraprenderlo con motivazioni superficiali o che ci si senta illusoriamente sicuri di riuscire a dominare la dipendenza, la scelta dello sballo, sia pure occasionale o "a puntate", è la risultante di una incapacità di affrontare l'esistenza e la crescita con le risorse ( ragguardevoli se opportunamente sperimentate e dominate) di cui ogni individuo è "normalmente" detentore, con un conseguente precipitare in un'ansia autolesionista di rinuncia.

Il contesto spesso è arido di alternative significative, quindi il contagio fra i giovani e i giovanissimi si propaga rapidamente tra emulazione, noia, desiderio di appartenere a un mondo, qualunque esso sia.

Ed è proprio su questo tema che si sono incentrati gli interventi più interessanti della serata che hanno collegato il ricorso all'uso di sostanze ad un percorso di crescita che, in qualche modo, si inceppa, non si completa, non evolve verso la maturità.

E' automatico chiamare in causa le due istituzioni che detengono, almeno ufficialmente, la responsabilità educativa dei più giovani: la famiglia e la scuola. Tra genitori che non intendono "vedere" e una scuola già ampiamente in crisi di credibilità e di funzione, i giovani si destreggiano, tra disperazione e furbizia, non attribuendo a nessuna figura adulta la dignità di interlocutore. Ma il mondo degli adulti resta pur sempre l'unico polo di riferimento e confronto che sia dato ad essi e prescindere da una efficace relazione educativa non sembra possibile per intravedere una regressione del fenomeno, sia pure a lungo termine.

Si è parlato della solitudine dei ragazzi, di genitori per i quali la crescita del proprio figlio è semplicemente un percorso automatico di cui ci si attende quasi magicamente e indipendentemente dai dati di partenza e dall'efficacia dei propri interventi, un esito positivo che, se non riscontrato, conduce a smarrite procedure di evitamento, ad una paralisi emotiva che a volte sfocia nel cinismo.

Sembra in corso una gigantesca rimozione collettiva del mondo emotivo che sta dietro ogni individuo, ogni famiglia, ogni relazione e che è il luogo dove si compie (o non si compie) ogni vera comunicazione, ogni autentico scambio tra le persone.

In fondo crescere è affrontare con umiltà e razionalità il proprio mondo interiore che è popolato di desideri, paure, illusioni, angosce che l'esperienza ci ha in qualche modo cucito addosso e che spesso ci dominano senza che siamo in grado di comprenderne l'origine.

Credo che il cinismo dei giovani, la loro chiusura non sia che la proiezione esterna di un'emotività che spesso non si comprende e non si "vive" abbastanza e che poi, lungo la strada attraverso la quale costruiamo i nostri progetti e il nostro futuro, ci prepari assalti verso i quali non siamo preparati a resistere.

Il compito che spetta a noi adulti dovrebbe essere quello di offrire una sponda solida al mondo emotivo dei giovani e alle incredibili sollecitazioni alle quali è sottoposto nella crescita: facile più a dirsi che a farsi perché spesso sono i nostri nodi, le nostre difficoltà emotive, i nostri insoluti e irrisolti che influiscono sul nostro comportamento e sulle nostre pretese.

Dal momento che non si finisce mai di crescere, di cambiare, di imparare bisognerebbe interpretare la crescita dei propri figli come un percorso da compiere insieme, nel quale perciò a camminare, a faticare, dovremmo essere anche noi adulti senza barricarci dentro le "cattedrali" in cui abbiamo cristallizzato i nostri riferimenti, i nostri valori, o pseudovalori, le nostre incrollabili certezze, la nostra visione del mondo.

Si è parlato anche del fatto che dietro il sempre più frequente ricorso dei giovani ai surrogati chimici come strumento di adattamento alla vita, ci siano spesso famiglie che hanno smarrito il senso di un'esistenza dignitosa e proiettata nel futuro, e che vivono in un' intollerabile condizione di precarietà psicologica, sociale ed economica dalla quale non sono in grado di risollevarsi solo con le proprie risorse.
Verso di esse non deve mancare l'appoggio concreto ed attivo delle istituzioni, la predisposizione di reti di sostegno che aiutino a non precipitare.

Purtroppo, nonostante tante apprezzabili ed efficaci iniziative, mancano interventi pianificati di sostegno sociale, mancano, particolarmente, le risorse da utilizzare, mancano progetti di ampio respiro e di stabile evoluzione: manca in questa società egocentrica ed edonistica l'abitudine alla condivisione, la passione autentica per l' "altro".

23/08/2008





        
  



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