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Magdi Allam: “giusto l’intervento americano in Iraq. Disastroso il dopoguerra”

San Benedetto del Tronto | Intervista al giornalista, che ha presentato il suo ultimo libro “Kamikaze Made in Europe”

di Giovanni Desideri

Magdi Allam torna a San Benedetto per il secondo anno consecutivo. Lo scorso anno aveva presentato Saddam. Storia segreta di un dittatore, pubblicato da Mondadori. Questa volta (stesso editore) è il turno di Kamikaze Made in Europe. Riuscirà l’Occidente a sconfiggere il terrorismo islamico? Un libro di meno di cento pagine, dedicato dall’autore alla sua compagna Valentina Colombo, con lui nel consueto giro estivo di presentazioni. Un libro denso e apprezzato dal pubblico che ieri sera ha assistito alla presentazione presso la Palazzina Azzurra, almeno a giudicare dal numero di copie autografate.
 
Ritiene che l’occidente faccia troppo poco per difendersi dal terrorismo?
“Il mio libro parte dalla tesi centrale secondo cui il terrorismo di matrice islamica, a partire dall’11 settembre, emerge come un fenomeno interno all’occidente e non più soltanto esterno. L’attacco viene oggi portato dall’interno. Questo vuol dire che l’occidente è un terreno di coltura del terrorismo e lo esporta. Detto questo, ritengo che i paesi occidentali dovrebbero fare fronte comune contro tale fenomeno, anche in Iraq. Non credo si debbano criminalizzare i musulmani. Al contrario si dovrebbero migliorare le loro condizioni di vita e accelerare il processo per concedere la cittadinanza ai musulmani che vivono nei paesi occidentali. Così il terrorismo sarà sconfitto.”
 
Rispetto allo scorso anno molte cose sono cambiate in Iraq. Dallo scandalo per le torture ai dubbi in occidente su quella guerra. Li ritiene incidenti di percorso di una causa giusta?
“Credo che la liberazione dell’Iraq da Saddam Hussein e la gestione del dopoguerra siano due questioni separate. È indubbio che la stragrande maggioranza degli iracheni sia soddisfatta della fine di un regime tirannico, responsabile del genocidio di un milione di iracheni, di un milione di iraniani e della protezione di terroristi come Abu Nidal o Abu Abbas. Saddam Hussein conduceva una vera guerra contro il proprio popolo. Ma per altro verso c’è in questo momento un risentimento e anche un sentimento di ostilità nei confronti degli americani, in primo luogo perché non sono riusciti a concretizzare le aspettative degli iracheni concernenti la stabilizzazione del fronte interno, l’avvio di un processo di risanamento economico e la realizzazione della pacificazione politica. Il dopoguerra è stato gestito in modo disastroso, senza una strategia.”
 
Obiettivi che anche in Europa, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, hanno richiesto anni. Non le sembra eccessivo il compito che gli americani si sono dati?
“Finora non ci sono stati segnali soddisfacenti che si stia andando nella direzione che ho detto. Al contrario c’è stata l’esplosione della violenza all’interno dell’Iraq e un peggioramento delle condizioni di vita degli iracheni. Con pesanti involuzioni, come appunto le torture nel carcere di Abu Ghraib. Tutto questo ha determinato il crollo della credibilità degli Stati Uniti, che pure hanno avuto un ruolo vitale nella caduta di Saddam Hussein. Ma gli stessi iracheni non vogliono che gli americani se ne vadano: sia il governo in carica, guidato da  Iyad Alawi, sia la maggioranza della popolazione.”
 
In Iraq c'è il terrorismo di una minoranza, piuttosto che una resistenza popolare all’occupazione?
“In Iraq è stata ristabilita una situazione di legalità internazionale con le risoluzioni ONU n. 1511 e n. 1546. C’è un calendario concordato in seno alle Nazioni Unite, per arrivare gradualmente ad una costituzione ed alla formazione di un governo e di un parlamento iracheni eletti democraticamente. Il ritiro delle forze straniere è previsto per il gennaio 2006. Detto questo, il terrorismo è per definizione minoritario. E questo è dimostrato proprio dal fenomeno dei kamikaze. Chi si fa esplodere in mezzo a giovani iracheni che cercano di ottenere un lavoro nella nuova polizia o nel nuovo esercito è un terrorista. Diverso è il clima di ostilità nei confronti degli USA. Chi è critico verso gli Stati Uniti non necessariamente si fa esplodere o mette bombe. Oggi che le vittime degli attentati sono per lo più irachene, non si può pensare che il terrorismo sia resistenza o che sia maggioritario nel paese.”
 
La difficoltà a smantellare il terrorismo evidenzia secondo lei una inefficienza dei servizi segreti americani?
“Il terrorismo esiste in tante parti del mondo, anche se in questo momento l’Iraq ne rappresenta il fronte di prima linea, il luogo in cui si concentrano gli investimenti di Bin Laden. Oggi il terrorismo islamico è quello che ha la maggiore visibilità, anche per la disponibilità di mezzi di comunicazione di cui non disponeva in passato. Inefficienza e collusioni ci sono, ma questo non nobilita il terrorismo. Oggi l’Iraq è un calderone, una polveriera. È stato un errore, da parte degli americani, smantellare esercito e forze di polizia preesistenti, per il solo fatto che chi ne faceva parte avesse la tessera del Baath, il partito di Saddam Hussein.”
 
Il terrorismo di Bin Laden è dunque un terrorismo nuovo rispetto al passato?
“Indubbiamente è un terrorismo diverso da quello tradizionale noto all’occidente. Le Brigate Rosse, per esempio, seguivano ancora una logica, comprensibile dagli inquirenti. Le BR si proponevano di colpire simboli del potere. L’attentato era in rapporto con un obiettivo. Il terrorismo islamico, invece, non stabilisce un rapporto diretto tra il mezzo e il fine. Se l’obiettivo strategico è quello di ricreare una mitica nazione islamica a livello mondiale, gli attentati sono semplici tappe, in cui si uccide per uccidere. Con i più mezzi di comunicazione che fanno da megafono a tali azioni. Siti internet o altre strutture che andrebbero tolte dalle mani dei terroristi.”
 
Lei esclude che azioni diplomatiche possano risolvere alcune situazioni alla base del conflitto in corso?
“Credo che esistano alcune situazioni che andrebbero definite, ma credo anche che il terrorismo vada combattuto senza incertezze. Risolvere la lotta tra israeliani e palestinesi è uno dei passaggi da compiere. Nel 2000 Yasser Arafat ha senz’altro perso un’occasione storica. Sono sempre stato fautore di uno stato palestinese accanto ad Israele. Due stati, due popoli. Ciò non toglie che altrove occorrano iniziative diverse. Per esempio, in questo momento si fanno pressioni sugli italiani affinché lascino l’Iraq, isolando gli Stati Uniti, che sono il nemico da sconfiggere. Bin Laden intende conquistare il potere in Arabia Saudita, controllare l’area con le maggiori riserve petrolifere mondiali e i principali luoghi di culto per i musulmani, come La Mecca o Medina. Per questi scopi ha superato le diffidenze verso Saddam Hussein, già a partire dal suo messaggio “ai fratelli iracheni” dell’11 febbraio 2003.”

07/08/2004





        
  



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