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Un oscuro bisogno di uccidere: MASSIMO PICOZZI e la sottile linea di confine tra normalità e follia

San Benedetto del Tronto | Presentato alla Palazzina azzurra, nell’ambito della manifestazione “Incontri con l’autore” il libro “Un oscuro bisogno di uccidere” di Massimo Picozzi, un viaggio dall’ “interno” nelle storie più inquietanti della cronaca nera degli ultimi anni.

di Maria Teresa Rosini

Presentato ieri sera alla Palazzina azzurra, nell'ambito della manifestazione "Incontri con l'autore", organizzata dall'Amministrazione Comunale e dalla Libreria "La Bibliofila", il libro "Un oscuro bisogno di uccidere" di Massimo Picozzi , un viaggio dall' "interno" nelle storie più inquietanti della cronaca nera degli ultimi anni. E' Nicoletta Vallorani, scrittrice di noir e fantascienza, a presentarci l'autore.
Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, è un osservatore "privilegiato" in quanto, come consulente criminologo del Ministero dell'Interno, ha avuto accesso, attraverso i colloqui con gli autori di alcuni dei delitti più efferati degli ultimi anni, al mondo interiore, alle motivazioni e all'intreccio di circostanze (così puntuali da sembrare predisposte da una "sapiente" casualità) che conduce uomini e donne, a volte fino a poco prima reputati "normali" ( ma esiste la "normalità"?) a privare altri della vita.

Narratore deambulante, come egli stesso si definisce, di storie terribili eppure così semplici nella successione dei passaggi del loro attuarsi da sfiorare la banalità, passeggiando di fronte al pubblico è stato in grado di trascinarne l'attenzione senza soluzione di continuità per quasi due ore.

L' "oscurità" è evocata nel titolo, a testimonianza di quanto la nostra razionalità sia incapace di offrire risposte e di quanto l'impulso ad uccidere scaturisca spesso da motivazioni banali e occasionali che rendono patetiche le equazioni e i sillogismi che ci affanniamo ad elaborare per spiegarceli.
E i delitti commessi da adolescenti e da madri, essendo quelli che disorientano e sconvolgono di più l'universo delle nostre "idee rassicuranti", sono anche quelli che alimentano di più in noi il desiderio di trovare giustificazioni o spiegazioni adottando forzature di ogni genere e attribuendo colpa e innocenza con estrema facilità ad attori e comprimari.

La nostra tentazione ad improvvisarci tutti criminologi è, del resto, sapientemente eccitata dalla stampa e dai media, che spesso trasformano i casi di cronaca in avvincenti romanzi a puntate, offrendo sempre nuove circostanze, vere, presunte vere o addirittura false, alla fantasia e al voyeurismo dei lettori.
La cronaca nera, del resto, si è trasformata da tempo in canale privilegiato per catturare l'attenzione dei lettori e guadagnare posizioni nella gara per le vendite e gli ascolti dei media, finendo per diventare anche, a volte, strumento di pressione sull'ordine giudiziario.

Risultano sconvolgenti appunto per la loro banalità, il racconto che l'autore ci fa del rituale di iniziazione delle "bestie di satana"(tanto puerile da risultare quasi comico), o quello relativo alla successione dei tentativi posti in essere dalle ragazze di Chiavenna prima di approdare all'azione, l'omicidio di suor Laura Mainetti: il rapporto alterato con la realtà, subita piuttosto che agita, l'incapacità di rappresentarsi una mappa di valori e significati che orientino le azioni, l'oscillazione frenetica della mente tra due impulsi, quello a "fare un botto" e quello a trattenersene, condurranno le tre ragazze a trascinarsi reciprocamente in una dimensione in cui il tempo sembra rallentare e fermarsi, fino alla casualità per la quale approderanno all'epilogo più tragico.

Ed è ancora la casualità che conduce il ragazzino di Sesto San Giovanni (caso, questo, non presentato nel libro), a compiere a scuola l'omicidio della sua ex fidanzatina: l'arma, un minuscolo coltellino, la afferra per caso dall'astuccio aperto sul banco di una compagna di classe, il colpo indirizzato alla ragazza diventa mortale solo perché lei si gira di scatto nell'istante in cui glielo indirizza contro.

Perché siamo tutti così attratti dalle storie di "nera"? Perché le storie di omicidi, soprattutto quelli più efferati e apparentemente immotivati riescono così facilmente a suscitare il nostro interesse a volte troppo morboso e a trasformarci in improbabili criminologi e investigatori?

L'autore ci offre una risposta che ci sentiamo di condividere: esiste un "lato oscuro" in ognuno di noi che l'occasione di fatti cruenti commessi da altri ci dà l'occasione di "manipolare" e osservare con uno sguardo razionale, all'esterno di noi stessi.

08/08/2008





        
  



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