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Il made in italy ci salverà?

Porto Sant'Elpidio | I rappresentati del CNA si incontrano per discutere della crisi del calzaturiero

di Francesca Ripa

Made in Italy, aggregazione d’impresa, ricerca-sviluppo-formazione, Europa, accordi internazionali: questi i temi dibattuti tra i rappresentanti del settore calzaturiero in occasione della tavola rotonda sul tema: "L'artigianato calzaturiero, le sfide per lo sviluppo" organizzata da Federmoda Cna e svoltasi a Villa Baruchello.
 
Ad aprire i lavori Giovanni Luciani, presidente regionale del CNA. “Questo distretto è uno dei più importanti nel mondo del calzaturiero - ha osservato - in questo momento abbiamo un periodo economico molto difficile, una congiuntura in fase negativa, ma quello che ci deve preoccupare di più è l’aspetto strutturale, il rinnovamento delle nostre imprese”.
 
Dopo questa breve introduzione la parola è passata a Giovanni Dini del centro studi regionali CNA, che ha voluto presentare i dati congiunturali, ovvero il complesso degli elementi che governano e pesano sull’economia del settore calzaturiero marchigiano. Sono dati recentissimi aggiornati fino al secondo e terzo trimestre del 2005.
 
Il primo dato fondamentale riguarda le imprese iscritte all’albo. “Una prima conclusione è che in questi anni, dal 2000 ad oggi, il calzaturiero delle marche perde colpi, ma ne perde di più l’Italia. Le Marche hanno un andamento favorevole rispetto al dato nazionale”.
 
Altro problema è il saldo tra le importazioni e le esportazioni che risulta essere negativo -11,23%, ciò significa che le importazioni sono maggiori delle esportazioni. Atro fattore preoccupante è la cassa integrazione, indice anch’esso della crisi del lavoro.
 
Un dato che fa pensare viene dall’osservatorio EBAM (Ete Blaterale Atigianato Mrche), che su un campione di 50 imprese ha riscontrato una certa bilateralità. "C'è in atto nel settore un allontanamento tra i casi di miglioramento e peggioramento, il distacco aumenta con il passare del tempo”. Il divario tra chi riesce nell’economia e che invece soccombe è crescente.
 
L’argomento “investimenti” non rincuora. Nel primo e secondo trimestre del 2005 c’è stato un netto crollo. “Nel 2000 gli investimenti si aggiravano per il comparto artigianato intorno al 18-20%, il che vuole dire che il 20% delle imprese investivano. Oggi i dati dicono che la diffusione degli investimenti è basso”.
 
Dopo il resoconto statistico di Dini, si sono susseguiti gli interventi dei presenti che hanno illustrato, ognuno secondo il proprio punto di vista, problematiche e soluzioni.
 
Luigi Silenzi, segretario regionale, ha confermato il disagio che il settore sta affrontando. “La situazione evidenzia come siano rapidi i tempi economici. Allora vedevo una situazione diversa, anche se si presagivano i problemi e la necessità del Made in Italy, il settore aveva una grande tenuta. In sostanza - ha osservato - stiamo registrando un impoverimento del settore e le imprese più penalizzate sono quelle che lavorano per conto terzi. Imprese, queste che, al pari delle altre, sono parte del Made in Italy che tanto sosteniamo”.
 
Il problema non è solo garantire il valore del marchio italiano, sono necessarie misure internazionali adeguate. “Al governo chiediamo reciprocità negli accordi internazionali, non chiediamo protezione, ma vogliamo essere messi alla pari negli accordi internazionali”.
 
Silenzi ha fatto appello ad un cambio di rotta e di mentalità nei riguardi della vendita. “E’ cambiato anche il mercato. Noi dobbiamo guardare in tutto il mondo. La Cina è oggi in grado di comprare i nostri prodotti, l’italiano, invece, non ha più uno stipendio adeguato per acquistare. Per questo è necessario spostare il mercato all’estero, dove hanno la possibilità economica e vedono il prodotto italiano come garanzia di qualità”.
 
Paolo Petrini, presidente del COICO, ha ammesso la prevedibilità della crisi. “Già 4 anni fa si aveva la constatazione che il campo del calzaturiero sarebbe scemato, non solo per la concorrenza estera, ma anche per il cambio generazionale, che non desidera più impiegarsi nel settore”.
 
E’ necessaria un’apertura di mentalità da parte dell’imprenditore. “Questi 4 anni sono irti di cambiamenti, ma è cambiato anche il settore distributivo”. Le esigenze del mercato sono diverse, così come lo sono il compratore, i gusti e le tendenze. “Le imprese non hanno mentalità di marketing, sanno produrre, ma non vendere”. Il segreto sta nel “...puntare verso le innovazioni” afferma Petrini, attraverso le imprese e la formazione che passa per l’università e la ricerca, “...e riuscire a fere cose che fuori stanno già facendo”.
 
Il sindaco di Porto Sant'Elpidio Mario Andrenacci ha dimostrato la volontà di essere vicino all’imprenditore con controlli a tappeto sul territorio perché la legge sia uguale per tutti “Dobbiamo collaborare in forte sinergia, perché le imprese sentano le istituzioni vivine e presenti”.
 
Nel corso dell'articolato dibattito sono intervenuto anche il sindaco di Montecosaro, Stefano Cardinali “Abbiamo portato la legge del Made in italy alla camera e ora è ferma al senato, siamo andati per sollecitare le procedure. Dobbiamo prendere in mano la situazione e dar voce a tutti gli imprenditori, per essere protagonisti” e il sindaco di Monte San Giusto “...mettersi insieme per una migliore sinergia”.
 
Il problema più saliente sembra essere l’invasione di prodotti dall’estero, e la necessità di spostare il mercato verso quei paesi che, come la Cina, hanno invaso l’Italia con le loro merci. Si chiede una politica internazionale di sostegno e non di penalizzazione e quindi una presa di coscienza maggiore da parte del governo nei confronti del calzaturiero. E soprattutto il cambio di mentalità da parte degli imprenditori e dell’artigiano votato verso una migliore riorganizzazione delle strategie di marketing, ma anche verso l’unione delle forze, e soprattutto un balzo in avanti verso l’innovazione e la tecnologia, quindi nel campo della formazione e della ricerca con il fondamentale aiuto delle università.

14/10/2005





        
  



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