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Aree in ritardo di sviluppo e ruolo delle Università tra innovazione e trasferimento di tecnologie.

Benevento | Lo sviluppo economico e sociale di un territorio è sempre più una sfida per imprenditori e istituzioni. Ma è necessario che si attivino i nuovi profili professionali de"Trasferitore di tecnologie" che non sono più quelli del ricercatore universitario.

di Felice Di Maro

Prof.Eugenio Corti

Equilibrio economico per una impresa e in particolar modo quando questa è di piccole dimensioni e magari è collocata all'interno di un territorio in ritardo di sviluppo economico. Come può relazionarsi con le innovazioni tecnologiche che sono ormai processi in continua evoluzione? Cerchiamo di dare un contributo con questa intervista a Eugenio Corti, studioso della gestione dei processi dell'innovazione e professore fuori ruolo a contratto di "Economia del Cambiamento Tecnologico" e di "Economia dello Sviluppo Imprenditoriale" presso la facoltà di Scienze Economiche ed Aziendali dell'Università del Sannio (Benevento), e responsabile per la formazione e l'internazionalizzazione della Società professionale "CE.S.I.TT. s.a.s." di Benevento, la cui mission è di promuovere e diffondere la cultura imprenditoriale nelle aree in ritardo di sviluppo.

L'innovazione per un'azienda è il risultato di anni di investimenti. Ma questi investimenti sono separati da quelli per la ricerca ad esempio di nuovi prodotti o può esservi una integrazione continua?
Vorrei approfittare di questa intervista per precisare il concetto di innovazione. Dopo tanti anni di rapporti soprattutto con piccole imprese per aiutarle a diventare più competitive, mi sono convinto che innovazione significa un insieme di scelte, azioni, modifiche, attività, comportamenti, ecc. che un'impresa realizza, dopo aver verificato la fattibilità tecnico-organizzativa ed economica dell'idea originaria di cambiamento, che conduce al raggiungimento di un risultato positivo, non solo per l'imprenditore, ma anche per i suoi collaboratori interni ed esterni. Per realizzare questo obiettivo molto ambizioso l'impresa deve possedere due risorse necessarie in quantità e qualità sufficienti, la risorsa tecnologia e la risorsa finanziaria. Inoltre è indispensabile che sappia usare in maniera opportuna queste due risorse, cioè deve avere opportune competenze al suo interno, per realizzare l'innovazione desiderata.
Inoltre è importante tener in conto che in questa definizione di innovazione la risorsa tecnologia assume il significato di insieme di conoscenze tecniche, organizzative, manageriali, commerciali, economiche, finanziarie, ecc. cioè un insieme di tutte le conoscenze di cui ha bisogno l'impresa per operare.
Preferisco poi parlare di innovazione piuttosto che usare l'espressione innovazione tecnologica perché per realizzare una qualunque innovazione l'impresa ha bisogno di gestire contemporaneamente sia la risorsa tecnologia, sia la risorsa finanziaria. Infatti ogni Progetto d'innovazione necessità di un sostegno finanziario, più o meno grande, per una opportuna durata temporale prima di raggiungere il punto di break-even, cioè l'istante di tempo in cui i desiderati benefici economici ripagano l'impresa per l'investimento fatto.
Infine l'innovazione, unico strumento per l'incremento della competitività di una qualunque impresa può essere una innovazione di prodotto, quanto questa innovazione è orientata a migliorare l'appetibilità di un prefissato prodotto, sia migliorando un prodotto vecchio sia introducendo un nuovo prodotto, oppure può essere una innovazione di processo se tale innovazione è orientata a rendere più efficiente una parte o tutta la struttura organizzativa dell'impresa a parità degli obiettivi di business, la maggiore efficienza implica in questo caso che l'impresa ottiene una riduzione dei costi totali.
In tutto questo la ricerca scientifica non c'entra, perché qualunque attività di ricerca ha solo l'importante funzione di produrre nuova conoscenza tecnica, ma soprattutto una piccola impresa per realizzare innovazione non ha quasi bisogno di acquisire una nuova conoscenza tecnica, ma gli può essere sufficiente acquisire una conoscenza tecnica matura, cioè una conoscenza che deriva da attività di ricerca scientifica svolta molto tempo addietro.

La tecnologia intesa come conoscenza tecnica, organizzativa e gestionale, consente di realizzare risultati positivi per l'impresa. Ma oggi le aziende hanno veramente la possibilità di essere informate?
Direi che un'impresa che intende fare innovazione e si accorge che non ha tutte le conoscenze necessarie per costituire quella che ho definito la risorsa tecnologia, deve necessariamente procurarsela. Ma attenzione non basta che si informi, perché l'informazione è solo la componente esplicita di una conoscenza, mentre per realizzare innovazione una impresa deve possedere anche la componente tacita della conoscenza di cui ha bisogno. Però questa componente tacita non può essere trasferita perché essa si sviluppa negli individui e quindi nelle imprese solo quando si impara ad usare la nuova conoscenza esplicita acquisita. Pertanto la maggioranza delle piccole imprese non solo ha problemi di acquisire particolari conoscenze nella loro componente esplicita, ma dovrebbero essere aiutate ad imparare in fretta come usarle. Ciò potrebbe significare che la piccola impresa, che vuole fare un'innovazione, ma gli manca una specifica conoscenza dovrebbe rivolgersi ad un consulente, ma tale consulente potrebbe costare troppo per tale piccola impresa. Infatti la stragrande quantità di consulenza alle imprese, non solo in Italia, è svolta dai consulenti con le medio-grandi imprese. Per abbattere i costi della consulenza per l'innovazione alle piccole imprese bisognerebbe mettere a punto un opportuno sistema in internet. La mia Società sta studiando come realizzare questo importante obiettivo.
L'ambiente esterno all'azienda come può influire sui processi di innovazione?
Visto che una piccola impresa, che intende realizzare una innovazione, potrebbe non possedere, come ho già detto, sufficienti risorse tecnologiche e risorse finanziarie, ma dovrebbe cercare ciò di cui ha bisogno nel suo ambiente esterno. Ecco allora che se tale ambiente esterno è organizzato in modo da facilitare l'acquisizione delle risorse necessarie, la piccola impresa ne trarrebbe grandi vantaggi. Il problema generale è quello di come dovrebbero organizzarsi le istituzioni pubbliche e private che fanno parte dell'ambiente per facilitare l'acquisizione delle due risorse mancanti e come sostenere l'impresa che le ha acquisite per realizzare la desiderata innovazione.

Da sole le piccole aziende non ce la fanno a fare innovazione per essere più competitive. Quindi oltre naturalmente alle risorse umane e a quella finanziaria quale altre risorse sono indispensabili?
Vorrei precisare che qualunque piccola impresa per diventare più competitiva deve assolutamente imparare a realizzare innovazioni, all'inizio con l'aiuto di competenze esterne, ma poi deve realizzare innovazioni da sola con una opportuna periodicità, salvo particolari casi in cui potrebbe ancora aver bisogno di un aiuto esterno. Per ciò che riguarda le risorse necessarie, mi debbo ripetere, infatti ho già detto che una piccola impresa per realizzare una qualunque innovazione deve possedere in quantità e qualità due risorse necessarie: la risorsa tecnologia e la risorsa finanziaria. Si noti che ogni specifica risorsa per realizzare l'innovazione desiderata è facilmente reperibile se l'impresa ha tutte le conoscenze necessarie (le tecnologie) e una quantità sufficiente di quantità di risorsa finanziaria.

L'intreccio innovazione - competitività - sviluppo deve essere gestito con continuità. Ma se le risorse finanziarie non sono sufficiente i pubblici poteri come possono intervenire?
E' proprio vero l'intreccio tra innovazione, competitività e sviluppo deve essere gestito e realizzato con continuità senza alcun termine. Ma, come ho già detto, per qualunque innovazione è sempre assolutamente necessario avere adeguate risorse finanziarie. Purtroppo le risorse finanziarie pubbliche vengono distribuite più come assistenza generalizzata piuttosto che per mettere in moto processi di sviluppo.
Infatti le misure del POR della mia regione Campania, come sono certo in tutte le regioni in ritardo di sviluppo, hanno soprattutto sviluppato una specifica consulenza aziendale che funziona nel seguente modo. Il consulente venuto a sapere che sta uscendo un opportuno bando per proposte di piccole imprese per fare innovazione telefona al piccolo imprenditore e gli chiede se sia interessato ad acquisire dei soldi pubblici dal bando che sta per uscire. Ovviamente l'imprenditore gli chiede subito se deve fare qualche cosa e soprattutto quanto gli costa. Il consulente lo tranquillizza immediatamente dicendogli che non deve fare alcunché, perché loro hanno già preparato il progetto da presentare alla Regione, e l'imprenditore deve solo firmare la Proposta e questa firma non costa nulla per ora. Ma se il finanziamento arriverà solo allora l'imprenditore si deve sentire impegnato a versare al consulente una piccola percentuale della somma da incassare. A queste condizioni il piccolo imprenditore si convince facilmente e firma la Proposta preparata dal consulente. Supponiamo che la Proposta presentata era ben fatta e quindi viene approvata. L'imprenditore riceve una comunicazione ufficiale dell'avvenuto finanziamento, certamente anticipata oralmente dal consulente, e resta positivamente impressionato dal fatto di poter incassare dei bei soldi senza aver fatto nulla, e quindi versa al consulente la percentuale di denaro concordata. Ma poi legge attentamente la comunicazione dell'avvenuto finanziamento e solo in questo momento si accorge che è vero che, per esempio, riceverà dalla Regione 60.000 € per realizzare l'innovazione inserita nella Proposta preparata dal consulente, ma deve rendicontare una spesa di 100.000 per incassare la somma di 60.000 € dalla Regione. In altre parole deve spendere in attività e impianti 40.000 € in co-finanziamento. Infuriato telefona al consulente, che molto pacatamente lo calma dicendo che la sua Società ha un secondo servizio alle imprese: la preparazione della rendicontazione da presentare alla Regione, e aggiunge con la nostra rendicontazione non dovrà sborsare il previsto co-finanziamento ne tanto meno le costerà il nostro servizio. Ovviamente il piccolo imprenditore accetta subito il proposto secondo servizio aziendale.
Tempo fa un consulente del tipo qui sopra descritto mi raccontava che stava organizzando la rendicontazione per un piccolo imprenditore a cui era riuscito a fargli avere il finanziamento con la modalità sopra indicata, ma si era impuntato su di una fattura che il piccolo imprenditore gli aveva consegnato insieme a tutti gli altri documenti di spesa necessari per fare la rendicontazione. Il testo della fattura era relativo all'acquisto di un "mobiletto" per il prezzo di 800 €, che, mi confessava il consulente, gli era sembrato troppo alto. Infatti mi disse che aveva subito chiesto al piccolo imprenditore quale fosse questo "mobiletto" così caro, e l'imprenditore glielo aveva indicato con molta semplicità. A questo punto il consulente, uomo di mondo, aveva subito affermato che il valore di quel mobiletto non poteva essere più di 100 €. Ma immediatamente l'imprenditore aveva detto: "E' proprio questo il prezzo che mi è costato !".
A questo punto il consulente per dimostrarmi la sua competenza mi confesso di aver suggerito all'imprenditore di far scomparire la fattura di 800 € e di sostituirla con una di 200 €, perché così facendo la rendicontazione di questa spesa sarebbe stata più accettabile. Ovviamente feci osservare al consulente che il valore ufficiosamente dichiarato dall'imprenditore era 100 € e non 200 €, ma il consulente un pò seccato mi disse che i 100 € in più dovevano servire al co-finanziamento, insieme ad altre fatture e note di spesa simili !!
In questo modo tutti sono stati contenti: la Regione perché in buona fede ha ritenuto di finanziare una piccola impresa per un'innovazione, il consulente che è stato giustamente remunerato per tutto il suo lavoro, ed anche l'imprenditore che ha incassato 60.000 €, ma ovviamente tutto è stato fatto tranne l'innovazione che se fosse stata fatta avrebbe contribuito allo sviluppo dell'impresa e quindi del territorio.
Tutto ciò può succedere se la Regione si limita, come di fatto fa, a verificare la correttezza delle spese (il valore di un mobiletto è tra 100 € e 200 € !) e non è capace di valutare se l'innovazione è stata fatta, ma ancora di più, se non è capace di valutare se la piccola impresa ha le competenze di realizzare una data innovazione e poi la fa veramente.
Voglio precisare che ovviamente alcune piccole imprese finanziate la fanno realmente l'innovazione prevista, approfittando dei finanziamenti pubblici, ma non hanno bisogno di consulenti come ho qui sopra descritto.
Responsabilità sociale dell'impresa e ruolo delle università in particolare in un'area in ritardo di sviluppo. Quali sono le acquisizioni recenti e quali possono essere le prospettive?
La responsabilità sociale dell'impresa è relativa al fatto che sono le imprese di un dato territorio che con il loro sviluppo creano ricchezza aumentando l'offerta di lavoro in modo che il PIL/abitante cresce e così possono crescere i consumi. Questa è la ragione per cui si dice che lo sviluppo di un territorio è tanto più alto per quanto più alta è la percentuale delle imprese locali che sanno fare innovazione sul totale delle imprese, ed inoltre per quanto più alta è la percentuale delle imprese che sanno fare innovazione nei settori industriali high-tech, in cui il tasso di crescita è più alto che negli altri settori tradizionali, sul totale delle imprese che sanno fare innovazione.
Per ciò che riguarda il ruolo dell'Università per lo sviluppo di un territorio in Italia siamo molto indietro. Infatti la stragrande maggioranza dei gruppi di ricerca nei vari settori scientifici sono orientati a svolgere le attività di ricerca finalizzate alla pubblicazione scientifica. Ciò è nettamente generalizzato perché per fare carriera all'Università o anche nei Centri Pubblici di Ricerca le commissioni nei concorsi valutano il candidato sostanzialmente, se tutto va bene, sulla qualità scientifica delle pubblicazioni. Infatti normalmente una pubblicazione è considerata migliore se è pubblicata su rivista internazionale.
Spesso le attività scientifiche sono il risultato di una commessa che un'impresa formalizza con un gruppo di ricerca accademico, che comporta spesso una forma di collaborazione scientifica. Ma questa collaborazione può realizzarsi solo se nell'impresa operano competenze scientifiche che possano collaborare con le analoghe competenze nel Dipartimento Universitario o di un Centro Pubblico di Ricerca. Da questa collaborazione scientifica tutti ne escono contenti, infatti i professori e ricercatori universitari dei settori tecnici e scientifici sono contenti perché guadagnano un pò di soldi, hanno i fondi per andare a convegni e conferenze, possono pubblicare i risultati della collaborazione scientifica, dopo aver concordato le modalità della pubblicazione con il committente. Anche l'impresa è contenta perché ottiene spesso ottimi risultati scientifici, che sono di sua proprietà, per cui aggiunge a queste nuove tecniche le conoscenze complementari che ha in casa e realizza un nuova tecnologia, che insieme ad una adeguata risorsa finanziaria gli consente di realizzare un'innovazione, oppure trasforma i risultati scientifici in brevetti che può utilizzare o vendere, spesso ottenendo un ritorno che gli consente di ripagarsi dell'investimento fatto con la collaborazione scientifica.
Questa collaborazione scientifica è molto diffusa nelle Università Italiane e la si pratica da sempre. Purtroppo bisogna dire che le imprese che hanno al proprio interno tali competenze sono soprattutto medio-grandi imprese. Pertanto la stragrande maggioranza delle imprese, che sono micro e piccole, non è in grado di trarre vantaggio da una ipotetica collaborazione scientifica. Infatti da tutti gli studi fatti si evidenzia che qualche percento della totalità delle piccole imprese ha saltuari rapporti con le Università. Ma c'è da aggiungere che nei settori accademici di economia, finanza, management, ecc. non si pratica la collaborazione scientifica, in cui è necessario coinvolgere i laboratori scientifici dei Dipartimenti, ma posso dire che quasi tutti i professori in questi settori hanno uno studio di consulenza e quindi si rapportano alle imprese che sono disposte a pagare la loro consulenza. Ma ancora una volta queste imprese sono medio-grandi imprese. La micro o la piccola impresa non percepisce l'idea di dover pagare una persona per ricevere consulenza.
Cosa potrebbero fare le Università Italiane ? Oltre a continuare l'attività tradizionale di collaborazione scientifica, potrebbero attivare in parallelo altre strutture con altre competenze. Ecco una sintesi: potrebbero attivare un ufficio che valorizzi dal punto di vista economico e quindi sociale i risultati scientifici che si ottengono nei vari Dipartimenti. Per fare questo l'Università potrebbe creare un Ufficio Trasferimento di Tecnologie, ma dovrebbe attivare questo Ufficio con figure professionali nuove, cioè quella del trasferitore di tecnologie, che non è affatto un ricercatore, sempre impegnato a creare sempre nuove tecniche, ma è colui che conosce bene la tecnologia che intende valorizzare economicamente, ma conosce anche le possibili applicazioni, e conosce i bisogni delle imprese, sa portare avanti una trattativa tecnica ma sa anche trattare con il potenziale cliente per vendergli la conoscenza prodotto nell'Università.
Questa figura professionale manca nelle Università Italiane, alcune delle quali hanno attivato un Ufficio Trasferimento di Tecnologie, ma lo hanno affidato ad un amministrativo o meglio ancora ad un professore o a un giovane ricercatore.
Ma l'Università dovrebbe anche cercare di promuovere ed attivare l'applicazione degli istituti dei diritti di proprietà intellettuale come i brevetti, le licenze, i marchi, ecc.. Ma, ancora una volta, dovrebbe affidare questi nuovi uffici a professionisti esperti, che mancano nelle Università Italiane.
In fine le Università Italiane dovrebbero promuovere, facilitare e sostenere le nuove idee imprenditoriali, che professori, ricercatori, studenti potrebbero spontaneamente evidenziare, mediante l'opportuna creazione di quelli che io chiamo gli incubatori di nuove idee imprenditoriali, da non confondere con gli incubatori d'impresa, che ovviamente vengono dopo, cioè quando una idea nata in maniera imprevedibile in un ambiente favorevole cresce, matura e diventa persino credibile trasformarsi in una nuova impresa basata sulla conoscenza.
Purtroppo di tutto ciò solo poche imprese sul totale nazionale di 82 Università da pochi anni hanno iniziato ad organizzarsi. Ci vorranno ancora molti anni prima di individuare dei risultati positivi.
 

L'intervista finisce qui. Può dirci qualcosa sulle Sue ricerche in corso e quelle future?
Debbo precisare che non mi interessa realizzare attività di ricerca che mi possano consentire di pubblicare un bell'articolo su di una rivista scientifica internazionale, ma mi interessa cercare di risolvere alcuni problemi la cui soluzione potrebbe aiutare micro e piccole imprese a svilupparsi.
Attualmente questi sono alcuni temi su cui mi sto impegnando:
- progettazione e messa a punto di un DSS che possa valutare la capacità di realizzare innovazione di una piccola impresa. Gli indicatori da noi individuati fino ad ora sono circa una trentina, alcuni sono misurabili in via qualitativa mentre gli altri possono essere misurati con una scala quantitativa. Inoltre questi indicatori sono correlati tra loro. Il DSS utilizza tecniche Fuzzy per le misure qualitative e tecniche delle reti neuroniche per realizzare un sistema che apprende.
- progettazione e realizzazione di un metodo per sostenere una piccola impresa a realizzare un'innovazione che le faccia superare un sopraggiunto stato di sofferenza. Questo metodo utilizza un opportuno questionario, specifico per il settore industriale di appartenenza, da utilizzare con un collegamento in rete protetto da una password e che utilizza un opportuno database.
- progettazione e realizzazione di un sistema di valutazione delle caratteristiche personali di un piccolo imprenditore, che valuti l'influenza dell'ambiente in cui vive e si sviluppa l'imprenditore, ed individui i punti di debolezza dell'imprenditore, che una volta individuati possano essere migliorati.

17/10/2007





        
  



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