"Cosa fare quando sembra non ci sia più niente da fare"
San Benedetto del Tronto | È questo il tema dell'evento formativo organizzato dalla Unità Operativa di Medicina Riabilitativa della Area Vasta 5 di San Benedetto del Tronto e dalla locale Sezione Diocesana dell' Associazione Medici Cattolici Italiani (A.M.C.I.).
di Redazione
L'evento si è svolto presso l'Auditorium del Comune di San Benedetto del Tronto, sabato 20 ottobre 2012 ore 08.30. Ispirato dalla esperienza umana e professionale del dott. Marco Mengoni, recentemente scomparso, fraternamente raccolta dal dott. Alfredo Fioroni, alla base di questo incontro c'è l'idea che quando sembra "non ci sia più niente da fare", nel dilemma continuamente riproposto - interrompere la vita o prolungarla - e in tutte le variazioni tematiche contenute dentro di esso, passa in secondo piano o non viene considerata affatto, la prospettiva di dare un senso alla vita.
Eppure ci appare proprio questa la visione realistica del problema. Prolungare la vita era la legittima attesa degli uomini del passato. Oggi che siamo vicini alla massima espressione di longevità delle nostre potenzialità genetiche, avrebbe più senso occuparsi di come "illuminare il tempo", dando significato e competenza alle cure riabilitative ed assistenziali in situazioni di cronicità o in fase terminale. Rendere compiuta la vita, fino all'ultimo istante che ci viene concesso.
Hanno partecipato all'evento il Vescovo Mons. Gervasio Gestori, il Direttore generale Dott. Giovanni Stroppa, il vice Sindaco Eldo Fanini, la presidente provinciale del Collegio IPASVI Roberta Corradetti. Ospite d'onore S.E. Mons. Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona-Osimo ed Assistente Nazionale dei Medici Cattolici. Erano presenti tutti i relatori ed i moderatori annunciati.Il corso è accreditato per tutte le professioni sanitarie.
Ecco l'intervista al Dottor Alfredo Fioroni
Da dove nasce l'idea di questo evento formativo?
Nasce dalla vicenda professionale ed umana di un nostro caro amico che ci ha lasciato, il dott. Marco Mengoni. Grande organizzatore di eventi, come riabilitatori gli siamo stati vicini per gran parte del percorso che egli ha affrontato con grande dignità e serenità. Sostenuto da una famiglia speciale, mi suggerì l'idea di un convegno che trattasse questi temi, era un uomo buono e generoso oggi sarebbe stato qui con noi per testimoniare la sua esperienza.
Come aiutare un paziente che si trova il condizioni di difficoltà per grave patologia o cronicità nel percorso riabilitativo?
La persona con disabilità va posta al centro. Le esigenze sono più spesso sfaccettate e nessun operatore, da solo, può dare una risposta appropriata esaustiva ed efficace ecco pertanto la necessità di affrontarle in squadra. Il Team riabilitativo va allargato sicuramente alla famiglia ed a tutti gli operatori sanitari e sociali che possono dare un contributo fattivo ai sui bisogni, l'intervento per risultare efficace va sempre integrato.
Come una persona si accorge di essere "al centro"?
Questo sta a noi. Il Prof. Mario Melazzini, oncologo malato di S.L.A. , da anni testimone della dignità della persona umana, dal suo particolarissimo ossevatorio, ci fornisce delle imdicazioni importanti. La persona con disabilità percepisce di essere "al centro" quando osserva negli operatori uno SGUARDO, non omologato, ma sempre empatico, bidirezionale, di vicinanza e quando gli stessi operatori riescono a SOSTENERE LA SPERANZA, accettano cioè di essere compagni di strada, spendendosi oltre il proprio "mansionario" professionale. Bene la disponibilità all'ascolto, la medicina narrativa, benissimo la visita inattesa, la telefonata estemporanea...Occorre vincere la paura di mettersi in gioco.
Come comunicare la diagnosi di grave malattia?
Non la bugia pietosa ma la verità. La comunicazione va però modulata empaticamente e con amore in base alla tolleranza del paziente. Le "sentenze" date brutalmente all'inizio del percorso andrebbero evitate, prima di tutto perché l'espressione fenotipica di una stessa malattia varia da individuo ad individuo, in riabilitazione abbiamo dei criteri prognostici ma non sono assoluti , in secondo luogo perché nel percorso riabilitativo vanno considerati anche aspetti sociali ed ambientali che sono spesso diversi. Una comunicazione sbagliata può essere devastante e compromettere il lavoro del riabilitatore.
Dott. Fioroni, cosa fare quando sembra non ci sia più niente da fare?
Esserci. Sulla base della fiducia e della credibilità guadagnata sul campo, negli anni, garantire al paziente che non sarà mai abbandonato, ma che anzi su di noi, su questo team, potrà sempre contare.
Eppure ci appare proprio questa la visione realistica del problema. Prolungare la vita era la legittima attesa degli uomini del passato. Oggi che siamo vicini alla massima espressione di longevità delle nostre potenzialità genetiche, avrebbe più senso occuparsi di come "illuminare il tempo", dando significato e competenza alle cure riabilitative ed assistenziali in situazioni di cronicità o in fase terminale. Rendere compiuta la vita, fino all'ultimo istante che ci viene concesso.
Hanno partecipato all'evento il Vescovo Mons. Gervasio Gestori, il Direttore generale Dott. Giovanni Stroppa, il vice Sindaco Eldo Fanini, la presidente provinciale del Collegio IPASVI Roberta Corradetti. Ospite d'onore S.E. Mons. Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona-Osimo ed Assistente Nazionale dei Medici Cattolici. Erano presenti tutti i relatori ed i moderatori annunciati.Il corso è accreditato per tutte le professioni sanitarie.
Ecco l'intervista al Dottor Alfredo Fioroni
Da dove nasce l'idea di questo evento formativo?
Nasce dalla vicenda professionale ed umana di un nostro caro amico che ci ha lasciato, il dott. Marco Mengoni. Grande organizzatore di eventi, come riabilitatori gli siamo stati vicini per gran parte del percorso che egli ha affrontato con grande dignità e serenità. Sostenuto da una famiglia speciale, mi suggerì l'idea di un convegno che trattasse questi temi, era un uomo buono e generoso oggi sarebbe stato qui con noi per testimoniare la sua esperienza.
Come aiutare un paziente che si trova il condizioni di difficoltà per grave patologia o cronicità nel percorso riabilitativo?
La persona con disabilità va posta al centro. Le esigenze sono più spesso sfaccettate e nessun operatore, da solo, può dare una risposta appropriata esaustiva ed efficace ecco pertanto la necessità di affrontarle in squadra. Il Team riabilitativo va allargato sicuramente alla famiglia ed a tutti gli operatori sanitari e sociali che possono dare un contributo fattivo ai sui bisogni, l'intervento per risultare efficace va sempre integrato.
Come una persona si accorge di essere "al centro"?
Questo sta a noi. Il Prof. Mario Melazzini, oncologo malato di S.L.A. , da anni testimone della dignità della persona umana, dal suo particolarissimo ossevatorio, ci fornisce delle imdicazioni importanti. La persona con disabilità percepisce di essere "al centro" quando osserva negli operatori uno SGUARDO, non omologato, ma sempre empatico, bidirezionale, di vicinanza e quando gli stessi operatori riescono a SOSTENERE LA SPERANZA, accettano cioè di essere compagni di strada, spendendosi oltre il proprio "mansionario" professionale. Bene la disponibilità all'ascolto, la medicina narrativa, benissimo la visita inattesa, la telefonata estemporanea...Occorre vincere la paura di mettersi in gioco.
Come comunicare la diagnosi di grave malattia?
Non la bugia pietosa ma la verità. La comunicazione va però modulata empaticamente e con amore in base alla tolleranza del paziente. Le "sentenze" date brutalmente all'inizio del percorso andrebbero evitate, prima di tutto perché l'espressione fenotipica di una stessa malattia varia da individuo ad individuo, in riabilitazione abbiamo dei criteri prognostici ma non sono assoluti , in secondo luogo perché nel percorso riabilitativo vanno considerati anche aspetti sociali ed ambientali che sono spesso diversi. Una comunicazione sbagliata può essere devastante e compromettere il lavoro del riabilitatore.
Dott. Fioroni, cosa fare quando sembra non ci sia più niente da fare?
Esserci. Sulla base della fiducia e della credibilità guadagnata sul campo, negli anni, garantire al paziente che non sarà mai abbandonato, ma che anzi su di noi, su questo team, potrà sempre contare.
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22/10/2012
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