Milleuristi, generazione 1000 euro
San Benedetto del Tronto | Tema il precariato giovanile. Lincertezza dei nostri tempi prepara il terreno per forme embrionali di totalitarismo e di conformismo.
di Tonino Armata
PRECARI. Sul piano sociale e psicologico, l’impatto più profondo della flessibilità consiste nel rendere precaria la posizione delle persone prese di mira e nel mantenerle precarie, con l’adozione di misura quali la sostituzione dei contratti a tempo indeterminato e garantiti dalla legge con assunzioni a termine o collaborazioni temporanee, che permettono il licenziamento immediato.
Tutte tecniche d’assoggettamento che, nel complesso, producono una situazione d’incertezza endemica permanente. La cieca esecuzione dei compiti fissate dalle imprese si radica in questo senso d’incertezza annichilente, nella paura, nello stress e nell’ansia generati dall’incertezza. E poi c’è l’arma decisiva: la minaccia costante, a tutti i livelli della gerarchia, del licenziamento, e quindi della perdita dei mezzi di sussistenza, dei diritti acquisiti, di un posto nella società e della dignità umana che essa comporta: “ il fondamento di tutti i regimi economici che si pongono sotto il segno della libertà e perciò la violenza strutturale della disoccupazione, della precarietà e dell’implicita minaccia di licenziamento” (Zygnunt Bauman).
Forse essere un umano equivale a essere capace di darsi un proprio mondo senza fermarsi a subire ciò che già esiste. Questo presuppone la possibilità di poter progettare un futuro e tracciare così un orizzonte in cui stare e divenire. In altre parole, essere umani esige di non essere solo il risultato o lo schiavo di una situazione imposta dall’ambiente in cui viviamo o dai nostri istinti o pulsioni. Sarebbe umano chi è capace di trasformare la sua energia tramite progetti che comportano un certo grado di libertà rispetto sia alla situazione ambientale che ai propri bisogni istintivi.
Se la mia definizione dell’umanità si avvicina alla realtà, allora l’umanità oggi è in pericolo! Questo lo sappiamo attraverso molteplici aspetti del nostro malessere, che si tratti della nostra esistenza naturale, affettiva o spirituale. Conosciamo il crescente squilibrio del pianeta, l’impatto sempre più evidente che esso ha sulla nostra vita quotidiana ma anche l’incertezza che grava su di noi rispetto a un possibile futuro. Sperimentiamo anche ogni giorno fino a quale punto il contesto economico-sociale in cui viviamo è sempre più difficile, precario, disumano senza che intravediamo una speranza di cambiamento.
E la maggior parte di noi non si fida più di valori che l’hanno ingannata e che, d’altronde, non corrispondono alla nostra esistenza e alle nostre esigenze presenti.
Come dunque progettare il futuro senza certezze a livello della stessa vita, degli affetti, delle convinzioni? Non c’è da stupirsi che ormai la gente sia così violenta, che torni la violenza contro di sé, contro gli altri o contro il mondo. Non ha più la possibilità di progettarsi un futuro, non nell’aldilà ma quaggiù e questo la lascia sempre meno capace di trasformare i suoi istinti in pulsioni in progetti che utilizzano l’energia immediata per la realizzazione di opere umane. Questa impossibilità pesa in modo più inesorabile sui giovani perché hanno allo stesso tempo più energia vitale e sempre meno futuro. Si trovano dunque costretti a spendere, e perfino a distruggere, la loro energia in tutti i modi possibili perché non possono coltivarla attraverso la costruzione di un futuro. E non si tratta per loro solo di un’angoscia esistenziale che tocca l’avvenire dell’umanità, ma dell’impossibilità di strutturarsi un’identità umana.
L’incertezza del nostro futuro non grava solo su di loro inquietudine, paura, disperazione. Sono anche il risultato dell’incertezza che ormai impregna e governa tutta la nostra cultura: incertezza relativa allo stato della terra e del cielo; incertezza relativa all’aria che respiriamo, al cibo che mangiamo e al loro impatto sulla nostra salute; incertezza relativa alla verità dell’informazione che veicolano i discorsi che ascoltiamo; incertezza relativa al nostro luogo d’abitazione, alle nostre frontiere, all’avvenire della nostra civilizzazione; incertezza relativa alla pace o alla guerra eccetera.
L’incertezza economica è spesso evidenziata come quella che rovina la vita, anzitutto dei giovani, anche se non è l’unica e che spesso si parla dei suoi aspetti immediati senza interrogare a sufficienza le loro cause. Questo non cambia un granché il fatto che la relazione con il lavoro è ormai sottoposta alla precarietà, quale che sia la maniera di travisarla. Molti giovani non sanno se domani avranno un lavoro, quale esso sarà, dove si situerà, quale sarà il loro stipendio. Com’è possibile costruirsi un futuro in un simile contesto?
L’energia, l’immaginazione, il cuore coinvolti per l’elaborazione di una vita sono annichiliti o dispersi senza che possano servire a realizzare un’opera umana, nemmeno quella dell’amore. Il consumo di sé attraverso un godimento senza condivisione amorosa è il frutto della necessità di scaricare un nervosismo permanente, un’aggressività disoccupata, una rabbia impotente.
L’incertezza dei nostri tempi, la loro precarietà preparano così il terreno per forme embrionali di totalitarismo: le tendenze di moda, il conformismo, le opinioni da condividere pena l’allontanamento, diverse modalità di nazionalismo o di provincialismo, l’affermazione più o meno palese d’integralismo, eccetera. Ci sono oggi tante varietà d’impostazioni a cui non siamo abbastanza attenti e che, a poco a poco, si sostituiscono alle nostre libertà e creatività umane. Ora, se abbiamo doveri di memoria rispetto alla nostra storia, ne abbiamo anche rispetto alla costruzione di un’umanità futura, cominciando con il compimento della nostra umanità. Senza la possibilità di un divenire attraverso il progettarsi un futuro, l’umanità come tale non può esistere.
E’ la forma basilare di trascendenza di cui necessita. E’ questo gesto che consente a ciascuno/a di noi di passare senza sosta da un’identità naturale a un’identità umana, pur restando vivi. Ma non può equivalere a un salto nel buio: un tipo di violenza ormai di moda. Bisogna che un contesto di vita e di cultura renda possibile la costruzione di un luogo in cui abitare, convivere e compiere la propria umanità.
Tutte tecniche d’assoggettamento che, nel complesso, producono una situazione d’incertezza endemica permanente. La cieca esecuzione dei compiti fissate dalle imprese si radica in questo senso d’incertezza annichilente, nella paura, nello stress e nell’ansia generati dall’incertezza. E poi c’è l’arma decisiva: la minaccia costante, a tutti i livelli della gerarchia, del licenziamento, e quindi della perdita dei mezzi di sussistenza, dei diritti acquisiti, di un posto nella società e della dignità umana che essa comporta: “ il fondamento di tutti i regimi economici che si pongono sotto il segno della libertà e perciò la violenza strutturale della disoccupazione, della precarietà e dell’implicita minaccia di licenziamento” (Zygnunt Bauman).
Forse essere un umano equivale a essere capace di darsi un proprio mondo senza fermarsi a subire ciò che già esiste. Questo presuppone la possibilità di poter progettare un futuro e tracciare così un orizzonte in cui stare e divenire. In altre parole, essere umani esige di non essere solo il risultato o lo schiavo di una situazione imposta dall’ambiente in cui viviamo o dai nostri istinti o pulsioni. Sarebbe umano chi è capace di trasformare la sua energia tramite progetti che comportano un certo grado di libertà rispetto sia alla situazione ambientale che ai propri bisogni istintivi.
Se la mia definizione dell’umanità si avvicina alla realtà, allora l’umanità oggi è in pericolo! Questo lo sappiamo attraverso molteplici aspetti del nostro malessere, che si tratti della nostra esistenza naturale, affettiva o spirituale. Conosciamo il crescente squilibrio del pianeta, l’impatto sempre più evidente che esso ha sulla nostra vita quotidiana ma anche l’incertezza che grava su di noi rispetto a un possibile futuro. Sperimentiamo anche ogni giorno fino a quale punto il contesto economico-sociale in cui viviamo è sempre più difficile, precario, disumano senza che intravediamo una speranza di cambiamento.
E la maggior parte di noi non si fida più di valori che l’hanno ingannata e che, d’altronde, non corrispondono alla nostra esistenza e alle nostre esigenze presenti.
Come dunque progettare il futuro senza certezze a livello della stessa vita, degli affetti, delle convinzioni? Non c’è da stupirsi che ormai la gente sia così violenta, che torni la violenza contro di sé, contro gli altri o contro il mondo. Non ha più la possibilità di progettarsi un futuro, non nell’aldilà ma quaggiù e questo la lascia sempre meno capace di trasformare i suoi istinti in pulsioni in progetti che utilizzano l’energia immediata per la realizzazione di opere umane. Questa impossibilità pesa in modo più inesorabile sui giovani perché hanno allo stesso tempo più energia vitale e sempre meno futuro. Si trovano dunque costretti a spendere, e perfino a distruggere, la loro energia in tutti i modi possibili perché non possono coltivarla attraverso la costruzione di un futuro. E non si tratta per loro solo di un’angoscia esistenziale che tocca l’avvenire dell’umanità, ma dell’impossibilità di strutturarsi un’identità umana.
L’incertezza del nostro futuro non grava solo su di loro inquietudine, paura, disperazione. Sono anche il risultato dell’incertezza che ormai impregna e governa tutta la nostra cultura: incertezza relativa allo stato della terra e del cielo; incertezza relativa all’aria che respiriamo, al cibo che mangiamo e al loro impatto sulla nostra salute; incertezza relativa alla verità dell’informazione che veicolano i discorsi che ascoltiamo; incertezza relativa al nostro luogo d’abitazione, alle nostre frontiere, all’avvenire della nostra civilizzazione; incertezza relativa alla pace o alla guerra eccetera.
L’incertezza economica è spesso evidenziata come quella che rovina la vita, anzitutto dei giovani, anche se non è l’unica e che spesso si parla dei suoi aspetti immediati senza interrogare a sufficienza le loro cause. Questo non cambia un granché il fatto che la relazione con il lavoro è ormai sottoposta alla precarietà, quale che sia la maniera di travisarla. Molti giovani non sanno se domani avranno un lavoro, quale esso sarà, dove si situerà, quale sarà il loro stipendio. Com’è possibile costruirsi un futuro in un simile contesto?
L’energia, l’immaginazione, il cuore coinvolti per l’elaborazione di una vita sono annichiliti o dispersi senza che possano servire a realizzare un’opera umana, nemmeno quella dell’amore. Il consumo di sé attraverso un godimento senza condivisione amorosa è il frutto della necessità di scaricare un nervosismo permanente, un’aggressività disoccupata, una rabbia impotente.
L’incertezza dei nostri tempi, la loro precarietà preparano così il terreno per forme embrionali di totalitarismo: le tendenze di moda, il conformismo, le opinioni da condividere pena l’allontanamento, diverse modalità di nazionalismo o di provincialismo, l’affermazione più o meno palese d’integralismo, eccetera. Ci sono oggi tante varietà d’impostazioni a cui non siamo abbastanza attenti e che, a poco a poco, si sostituiscono alle nostre libertà e creatività umane. Ora, se abbiamo doveri di memoria rispetto alla nostra storia, ne abbiamo anche rispetto alla costruzione di un’umanità futura, cominciando con il compimento della nostra umanità. Senza la possibilità di un divenire attraverso il progettarsi un futuro, l’umanità come tale non può esistere.
E’ la forma basilare di trascendenza di cui necessita. E’ questo gesto che consente a ciascuno/a di noi di passare senza sosta da un’identità naturale a un’identità umana, pur restando vivi. Ma non può equivalere a un salto nel buio: un tipo di violenza ormai di moda. Bisogna che un contesto di vita e di cultura renda possibile la costruzione di un luogo in cui abitare, convivere e compiere la propria umanità.
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27/10/2006
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