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Francesco Ruiz e Javier Girotto quartet: un viaggio alla riscoperta di se stessi

San Benedetto del Tronto | Interessante, coinvolgente ed emozionante il quinto appuntamento di In Art domenica 30 ottobre al Medoc.

di Elvira Apone

foto di gruppo

La serata del 30 ottobre al Medoc ha segnato il quinto appuntamento della rassegna letteraria e musicale In Art, organizzata dall’associazione culturale Rinascenza con la direzione artistica di Annalisa Frontalini. Protagonisti di questo incontro sono stati lo psicologo e counselor psico-corporeo Francesco Ruiz, che ha presentato, in anteprima nazionale, il suo ultimo libro dal titolo “La pulsazione del Sé” (edizioni Crisalide) e Javier Girotto quartet (Javier Girotto sax soprano e flauti andini, Natalio Mangalavite pianoforte, tastiere e voce, Luca Bulgarelli basso elettrico, Emanuele Smimmo batteria e percussioni), che ha regalato al pubblico un concerto di altissimo livello, dando prova di straordinario talento e di grande professionalità.

A dialogare con gli ospiti è stata la psicologa, psicoterapeuta, specialista in criminologia e assessore alle pari opportunità del comune di San Benedetto del Tronto, Antonella Baiocchi, che, gettando un ponte tra psicologia e musica, tra il compito dello psicologo e quello del musicista, ha rintracciato nell’anima, e nella necessità di curarla, il loro comune denominatore.  Conducendo, così, le fila di un dibattito quanto mai vivace, acuto e ricco di spunti, la Baiocchi ha portato a galla tanti contenuti importanti, affrontati con lucidità, saggezza ed esperienza dal dottor Ruiz nel suo manuale, e toccati con lievità, sensibilità e maestria da Javier Girotto nel suo ultimo disco dal titolo “Alrededores De La Ausencia”.

Si è discusso di paura e di rabbia, i principali impedimenti al raggiungimento della felicità, di mancanza di coraggio, il maggiore ostacolo ad affrontare le novità della vita, di benessere fisico, intimamente legato a quello psichico, di dolore, la prima sensazione che si prova venendo al mondo, di solitudine, una dimensione soltanto apparente, perché, in realtà, non siamo mai soli, ma sempre insieme al nostro vissuto interiore, e, soprattutto, si è parlato di mancanza, quella mancanza fisica, spirituale, affettiva che deriva dalla separazione dalle persone care e che ci lascia dentro un senso di vuoto e di disagio. Ma sia la psicologia sia la musica possono aiutarci a curare le ferite dell’anima; entrambe, in forme e modalità diverse, possono avere una funzione terapeutica e liberatoria, possono farci riconquistare quella serenità che ciascuno, a proprio modo, ha avuto il piacere di sperimentare domenica sera, prima ascoltando le parole del dottor Francesco Ruiz, poi assistendo alla splendida esibizione di Javier Girotto Quartet.

Esperto di Counseling e mediazione corporea, Francesco Ruiz ha alle spalle un ampio background acquisito anche grazie ad anni di studio in California e, attraverso un percorso cha parte dal suo primo libro dal titolo “Il massaggio del Sé”, in cui espone una nuova tecnica di massaggio da lui elaborata, passa attraverso “Il Couseling psico-corporeo” e arriva fino a questo suo ultimo lavoro, “La pulsazione del Sé”, ha raccontato con precisione e chiarezza la sua lunga esperienza lavorativa, umana e formativa.

“Chi è esattamente il counselor psico-corporeo?”

Francesco Ruiz: “La mia pratica di counseling psico-corporeo consiste nell’andare a recuperare le potenzialità delle persone che sono in un momento di difficoltà e attualizzare queste potenzialità, cioè renderle concrete. Ad esempio, se una persona ha problemi con il partner o con il datore di lavoro o con i colleghi, io cerco di facilitare il suo processo di consapevolizzazione delle sue risorse e, in questo modo, la persona può riprendere il proprio percorso evolutivo, trovando da sola le soluzioni; io non do consigli, anche se “counseling” significa letteralmente “consiglio da un consigliere”, ma, attraverso un’attivazione corporea, favorisco l’arrivo di una consapevolezza che passa dal livello limbico, così che il cervello incomincia a lavorare su un piano diverso da quello puramente mentale. Il counselor è una figura professionale abbastanza nuova, e altrettanto nuovo è l’approccio corporeo, perché fino a oggi si è preferito lo scambio verbale, ma io ritengo che anche il piano corporeo sia molto importante”.

“Come si colloca questo tuo terzo libro, “La pulsazione del Sé”, rispetto ai due precedenti?”

Francesco Ruiz: “ Questo mio terzo libro è il completamento del mio primo lavoro, “Il massaggio del Sé”, in cui esploravo il tema del massaggio, cioè del contatto corporeo, che per me è un pretesto relazionale. Il secondo testo, invece, era una descrizione dettagliata degli elementi che caratterizzano il counseling corporeo, mentre in questo mio terzo libro esamino un piano più filosofico e umanistico della relazione di aiuto ad approccio corporeo; mi rifaccio alle teorie psicologiche del corpo di Wilhelm Reich e Alexander Lowen e le rielaboro in una chiave personale; la mia particolarità è proprio quella di aver rielaborato la teoria della pulsazione del Sé: il Sé si muove come una cellula vivente e il suo funzionamento va verso il benessere, verso la gioia, verso tutte quelle emozioni positive; quando parlo di Sé, non mi riferisco solo all’aspetto biologico, ma soprattutto a quello psicologico, comportamentale, sociale, che mira al raggiungimento di tutto ciò che fa stare bene la persona e la porta a un’integrazione regolare con l’ambiente in cui vive”.

“Si può dare una definizione del Sé?”

Francesco Ruiz:” Sì, il Sé si può definire. Il Sé è una funzione. Non è una struttura con la quale nasciamo, ma si forma in virtù dell’ambiente in cui si vive, cioè l’ambiente sociale, la famiglia, la cultura sono tutti elementi che condizionano la formazione del Sé, che si adatta costantemente alle situazioni che incontra; è un atteggiamento fenomenologico che si basa, appunto, sulla filosofia fenomenologica, che sostiene che tutto succede nel momento in cui succede, cioè niente esiste a priori: l’incontro con le persone, con le situazioni, con il lavoro non è preesistente, ma nasce esattamente nel momento in cui lo viviamo. Io lavoro da circa trenta anni nel settore psicologico e pedagogico e credo che una cosa importante sia insegnare alle persone a vivere in modo più pieno, a sfruttare tutte le proprie potenzialità, a stare in una relazione sana. Il mio massaggio è un pretesto relazionale, un pretesto per sentire una relazione diversa dalle precedenti”.

“Qual è il malessere o la principale causa di malesseri che hai rilevato nei tuoi pazienti nel corso della tua esperienza professionale?”

Francesco Ruiz: “È la mancanza di coraggio, aspetto su cui ultimamente mi sto concentrando, dovuta soprattutto al fatto di aver vissuto una vita ridotta, in cui è mancato qualcosa per potersi esprimere. Il termine espressione viene proprio da “es” e “pressione”, cioè pressione dell’es, quell’entità psicologica profonda messa in evidenza per la prima volta da Freud che l’aveva individuata come la parte più antica dell’individuo, che, nel sistema nervoso centrale, appartiene al sistema limbico. L’es preme per venire fuori, ma deve avere lo spazio e la via giusta per potersi esprimere. Tutto questo deve essere vissuto all’interno di una relazione d’aiuto empatica, perché l’atteggiamento empatico è quello che fa la differenza: se c’è l’empatia si può sospendere il giudizio e il paziente, se sente che dall’altra parte c’è qualcuno che non lo giudica, riesce ad accettarsi, acquistare consapevolezza di se stesso e cominciare a esprimersi in assoluta libertà. Purtroppo le categorie mentali ci condizionano e un obiettivo, ad esempio, della meditazione è proprio quello di superare le categorie e il giudizio morale, riuscendo a vedere le cose e le persone nella loro vera essenza e facendo, così, un salto per il quale ci vuole coraggio, perché significa uscire dalla confort zone, uno spazio comodo, per entrare nel mare e cominciare a nuotare, pur con tutti i rischi che ne conseguono. Un autore a me caro, ad esempio, è Charles Bukowski, perché ritengo che sia un uomo che ha avuto tanto coraggio di essere se stesso, di essere vero nella sua crudezza, essenzialità, immediatezza”.

“Quanto è stata determinante la tua esperienza di studi negli Stati Uniti?”

Francesco Ruiz: “ Negli Stati Uniti ho studiato ad Esalen e ho fatto alcune esperienze a New York, ma quella di Esalen, in California, è stata quella veramente trasformativa. Esalen è un luogo particolare, in cui le persone possono sentirsi libere, ed è importante anche per lo studio cognitivo. Quello che mi porto dagli Stati Uniti è tanta libertà, una libertà che in Europa non esiste allo stesso modo, perché l’Europa ha una struttura più costruita, ha una storia che gli Stati Uniti non hanno. In Europa si può sperimentare, ma con fatica, mentre negli Stati Uniti le cose si possono fare con più facilità”.

“Che pensi di questa iniziativa, il cui intento principale è quello di unire e far confluire diverse forme d’arte?”

Francesco Ruiz: “Quando Annalisa Frontalini mi ha proposto di partecipare a questa rassegna ne sono stato felicissimo, anche perché le forme d’arte sono contigue, cioè è difficile stabilire dove inizia l’una e finisce l’altra. Scrivere ha le sue particolarità e difficoltà esattamente come quelle che, per esempio, incontra un musicista quando impara un pezzo, ma, in ogni caso, c’è sempre la libertà di essere se stessi. È un’iniziativa assolutamente pregevole che mi piace molto”.

Bravura, passione, impegno, amore incondizionato per la musica e un enorme bagaglio professionale accomunano e caratterizzano i quattro artisti di Javier Girotto quartet, che, con semplicità e disponibilità, hanno risposto ad alcune domande. Ecco cosa ha detto Javier Girotto:

“Può parlarci brevemente di questo suo ultimo CD dal titolo “Alrededores De La Ausencia”?

Javier Girotto: “Si tratta di un disco che ho registrato a Cordoba, in Argentina, insieme ad amici di vecchia data con cui, per la prima volta, ho realizzato un progetto musicale in forma discografica. Il titolo, che significa “intorno all’assenza”, nasce dal fatto che, mentre lo preparavamo, ci siamo messi a ricordare fatti del passato e persone che, purtroppo, non c’erano più: alcune a causa della legge naturale della vita, altre perché erano state coinvolte in avvenimenti tragici durante il periodo della dittatura. Questo disco è, quindi, dedicato soprattutto alle persone care che non sono più intorno a noi, immaginando che ancora ci siano. L’assenza è, quindi, la mancanza delle persone care.

“Questo disco è legato alle sue produzioni precedenti o è qualcosa a sé stante?”

Javier Girotto: “ Si tratta di un disco che contiene vari brani, qualcuno originale, qualcuno che appartiene alla tradizione folcloristica argentina rielaborata e riinserita nel mondo del jazz, che per me equivale a improvvisazione, più che al genere nord americano. Abbiamo, quindi, realizzato dei brani che stilisticamente hanno a che fare con il mondo folcloristico argentino; qualche pezzo è cantato, qualcun altro è molto melodico, ma si dà sempre spazio all’improvvisazione”.

“Questo ritorno alla musica argentina è anche un modo per sentirsi più vicino alla sua terra natale?”

Javier Girotto: “ No, in realtà l’ho sempre fatto, sono sempre cresciuto con questi stili e fare questo genere musicale mi dà sempre una grande emozione”.

“Tra tutti i suoi progetti e i suoi lavori, ce n’è uno in particolare cui si sente maggiormente legato?”

Javier Girotto: “No, a nessuno in particolare; ogni lavoro è come un figlio e nasce da un desiderio, da un’esigenza musicale e da una ricerca, per cui per me valgono tutti allo stesso modo”.

Ho chiesto poi a Natalio Mangalavite:

“Come e quando è iniziato il suo rapporto di lavoro con Javier Girotto?”

Natalio Mangalavite . “ Il nostro rapporto di lavoro è iniziato nel 1991, appena Javier è arrivato in Italia. Anche se quello era già un periodo molto felice per la musica sudamericana, a quel tempo noi non facevamo ancora questo tipo di musica. Così abbiamo deciso di intraprendere questa nuova strada insieme”.

“L’Italia vi ha dato la possibilità di esprimervi?”

Natalio Mangalavite: “ Sì certamente. Oltre che per motivi culinari, siamo stati noi a scegliere questo paese per molte ragioni e ci siamo resi conto che, evidentemente, era qui che dovevamo fermarci”.

Poi la parola è passata a Luca Bulgarelli:

“Avendo collaborato con molti artisti sia nel campo del jazz sia della musica leggera, ha notato un approccio diverso, un differente modo di esprimersi in questi due mondi?”

Luca Bulgarelli: “ Il modo di esprimersi è sostanzialmente diverso perché il cantautore usa anche le parole, mentre la musica va da sola; noi cerchiamo disperatamente un senso nelle cose, ma, mentre nelle parole deve esserci una logica, un modo di comunicare che possa essere comprensibile a tutti, nella musica è tutto molto più aleatorio, il suo senso sta nel ritmo, nell’armonia, nella melodia, nella sua concretezza. Un cantautore, invece, attraverso le parole, racconta delle storie”.

 “È, quindi, più difficile esprimersi solo con la musica?”  

Luca Bulgarelli: “ No, sono due cose diverse. Da un lato, con le parole è più facile perché è un modo più diretto di raccontare emozioni, però, dall’altro, è anche più facile bleffare e dire bugie, mentre solo con la musica le bugie non si dicono, perché non si dice nemmeno la verità”.

Infine, le parole di Emanuele Smimmo:

“Lei ha lavorato con tantissimi artisti di fama internazionale: ce n’è uno che ricorda con più affetto o da cui sente di aver ricevuto qualcosa di più?”

Emmanuele Smimmo: “In realtà non si può fare una classifica. Ci sono piuttosto artisti che si vanno a cercare, come io ho cercato Javier da quando, nel 1993, l’ho conosciuto, perché per me, nel campo della musica latino-americana, è sempre stato un punto di riferimento. Ho sempre tentato di avere un rapporto musicale con lui e ho sempre studiato cose che mi avvicinassero alla musica latino-americana; alla fine, con questo progetto, sono riuscito a coronare il mio sogno di suonare musica jazz di alto livello unita a musica sudamericana, che è poi sempre stato il mio scopo principale sin da quando ho cominciato a suonare la batteria. Questo gruppo è sempre stato un obiettivo che ho rincorso e anche quello per me più interessante. In generale, tutte le esperienze che ho avuto sono state utili e importanti per la formazione del mio bagaglio culturale e musicale”.

“Ha sempre avuto, quindi, una predilezione per la musica latino-americana?”

Emanuele Smimmo: “Ho iniziato a suonare la batteria da piccolo e il mio primo approccio serio è stato proprio con la musica latina, anche grazie al mio primo insegnante di batteria, che mi ha dato questa forte impronta. Tra l’altro, la musica latina è molto complicata e occorre molto tempo per entrare in questo mondo e nei suoi tantissimi e svariati stili”.

Per concludere, ho chiesto a tutti:

“Che cosa pensate di questa iniziativa, in cui i musicisti suonano in mezzo alla gente e hanno un rapporto diretto con il pubblico?”

Javier Girotto ha risposto: “Il rapporto diretto con le persone è sempre una cosa positiva perché si crea una sinergia tra pubblico e artista”.

E anche su questa serata è calato il sipario; su una serata ricca di stimoli e di riflessioni, in cui persino le sensazioni e le emozioni più nascoste e sopite sono riemerse in tutta la loro pienezza e fragilità, in tutta la loro complessità e varietà, dando a ciascuno la possibilità di riscoprire se stesso e di riprendere, con più consapevolezza ed energia, il cammino della propria esistenza.

01/11/2016





        
  



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