"Rita Evelyn". Ipotesi e domande
San Benedetto del Tronto | Ci penserà la Procura di Fermo a dare le giuste risposte. Ma sembra lecito porsi alcune domande
di Carmine Rozzi
Il punto dove è affondato il "Rita Evelyn"
Quando sarà trascorso il tempo del dolore resterà il ricordo di un’altra tragedia del mare. L’ennesima che, quotidianamente, torna a riproporre in maniera tragica il problema della sicurezza e del soccorso in mare. E’ mai possibile che nel 2006 un’imbarcazione di appena 20 metri debba affondare a neanche 18 miglia dalla costa, ci si continuava a chiedere nei giorni della rabbia e dell’attesa. Che il recupero dell’unico superstite è dovuto alla fortunata causalità di un motopeschereccio che si trovava ad incrociare da quelle parti ?
Che, ancora oggi, dopo i tanti morti dell’Adriatico, non esista su questo braccio del Mediterraneo un pontone attrezzato ed equipaggiato al solo scopo del recupero in casi del genere? Con una task force, composta da volontari altamente qualificati capaci di essere reperiti per intervenire nel più breve tempo possibile? Senza voler incorrere in sbagli clamorosi, risulta che il pontone “AD3” in quel sabato 28 novembre, si trovasse ancorato al Porto di Ancona per pura casualità, costretto a ripararvi per le avverse condizioni metereologiche. Altrimenti ? Si sarebbe dovuti ricorrere a quello di La Spezia, come in occasione del “Rodi” ? Uno strattone avrebbe liberato i corpi dei due marittimi imbrigliati nelle reti così da facilitare il loro ripescaggio, cosa impossibile fino ad allora.
Era quindi più agibile tagliare con la fiamma ossidrica la coperta della nave per recuperare il terzo corpo che liberare dalle reti gli altri due ? Nei primi quindici giorni si è detto che si poteva lavorare solo in condizioni di luce diurna senza svelare il perché. Poi, da un giorno all’altro, è diventato possibile farlo anche di notte. Questo perché ci si era “attrezzati” per farlo. Quanto ci vuole per “attrezzarsi” a lavorare in notturna per natanti del genere? Due settimane o alcuni giorni ? Nei giorni 5 e 6 novembre le condizioni climatiche erano all’incirca quelle del 14 e del 15. Ma in quei due giorni d’inizio mese si decise di proseguire al recupero di corpi e natante. Logicamente, oltre a recuperare le salme c’era anche il bisogno di riportare a galla il relitto in quanto oggetto di fase istruttoria.
E’ errato supporre che al Procuratore incaricato sia stato assicurato che tale recupero era tecnicamente possibile (cosa poi smentita dai fatti) ? Non dimentichiamoci che al 5 novembre erano passati già undici giorni dall’affondamento e il Rov aveva effettuato numerose e dettagliate registrazioni filmate (quelle stesse che sono state acquisite agli atti). Non si vedeva già da allora che la poppa era profondamente incagliata nell’argilla?
E’ stato detto che in quel fondo marino persiste una temperatura di circa 17 gradi che renderebbe il suolo più fluido, da qui l’effetto “ventosa”. Per equipaggi abituati a lavorare su pozzi petroliferi la conoscenza delle caratteristiche dei fondi marini è sicuramente essenziale. Da qui la domanda. Visto che l’area non è poi molto distante dalla piattaforma dove operava, quindi con caratteristiche presumibilmente simili, il fenomeno adiposo (che poi si è rivelato determinante impossibilitando il ripescaggio della barca) si poteva ragionevolmente ipotizzare ?
Tutto questo ed altro resta nel campo delle ipotesi e dei numerosi interrogativi che solo la conclusione dell’istruttoria tutt’ora in corso cercherà ufficialmente di chiarire. A parte le determinanti condizioni meteo-marine, a parte le difficoltà tecniche e dopo aver reso un sentito e doveroso ringraziamento agli encomiabili palombari sembra sempre più evidente che il solo recupero dei corpi è stato deciso perché era risultato chiaro che non si poteva più ripescare il motopeschereccio. E non il contrario.
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18/11/2006
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