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Le fil rouge: l’arte della narrazione.

| MILANO - In mostra alla Galleria Carla Sozzoni fotografie, libro e cortometraggio tratti dalla celebre fiaba “Barbablù” di Charles Perrault.

di Francesca Romana Rinaldi


Da tempo conosciuta per il suo lavoro di fotografa di moda, negli ultimi anni Sarah Moon si è imposta sulla scena artistica per la sua particolare ricerca fotografica e filmica.
Le fil rouge è una mostra estremamente originale: propone stampe, testi estratti dal libro ed un cortometraggio, anche questo dato dall’associazione di fotografie, immagini in movimento, testo, suoni e musica.
Le fotografie sono state realizzate in diverse occasioni e periodi: create appositamente per narrare una scena della celebre fiaba “Barbablù” di Charles Perrault; scattate durante servizi di moda e campagne pubblicitarie; nate da una fugace ispirazione e parte dell’archivio personale dell’artista.
La colonna sonora sottolinea una raffinata coerenza tra tutti gli elementi in gioco, a creare Un’atmosfera poetica, malinconica, a tratti piena di suspense.

Per raccontare l’originalità dell’artista, le lasciamo la parola: “ Vorrei fare una foto in cui non succeda nulla, ma, per togliere, bisogna che all'inizio qualcosa ci sia. Perché non succeda nulla, bisogna che prima qualcosa sia successo…Io ho sempre sentito la fotografia come una possibilità di mettere in scena, di raccontare una storia con immagini. Io cerco un'immagine con un minimo di informazioni e di riferimenti, un'immagine che non sia situata con precisione e che tuttavia mi parli, che evochi ciò che è successo prima e ciò che succederà dopo. So bene che questo modo di fotografare è contestabile - ma perché dovrebbe esserci un solo modo di fotografare? Io voglio creare delle immagini con degli elementi che scelgo, narrativi o evocatori, al di là del fatto documentativo sulla donna che indossa un abito.

Mi do una cornice letteraria, mi racconto una storia. È il solo trampolino che mi son trovata per saltare. D'altra parte, la fotografia applicata mi interessa, perché mi permette di evitare la gratuità. Il contratto tra cliente e fotografo mi sembra del tutto onesto: mi si da l'opportunità di fare delle foto, a condizione che io presenti il prodotto sotto una luce favorevole, sono pagata per farlo e mi vengono forniti i mezzi per farlo bene. Tutto questo mi obbliga ad una disciplina che mi è necessaria, dal momento che io faccio le cose più facilmente quando mi ci trovo costretta. Farle solamente per il mio piacere mi sembrerebbe futile…

Mi sono sentita colpevolizzata, tante volte, dai "puri" della fotografia, che mi considerano come una che ha venduto l'anima al diavolo, perché scambio le mie foto per dei soldi. Cosa che anche loro fanno, evidentemente, dal momento che vendono i loro reportage, ma per meno soldi e comunque con la sensazione di aver reso una testimonianza di una realtà. Mentre io testimonio solo di una mia fantasia, di un'immagine che ho della donna, cose del tutto personali, asociali, apparentemente futili. E sottolineo "apparentemente", perché in fondo non credo che quello che faccio sia futile. Soprattutto mi sentivo colpevolizzata dallo lo scarso interesse che questi fotografi mostravano per le mie foto, mentre io mi interessavo tanto alle loro”.


20/11/2006





        
  



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