BOY GEORGE; "This is what i do"
San Benedetto del Tronto | E' una vera primavera. Una sorta di gran risveglio dopo un lungo letargo quello capitato al camaleontico Boy George.
di
Dietro i vecchi dreadlocks e i trucchi pacchiani dei famigerati anni Ottanta, dietro il mondo della droga e della prigione c'è ancora un uomo dotato di notevole personalità e di forte volontà e capace di resurrezione.
Trent'anni dopo il clamoroso successo mondiale di "Do you really want to hurt me", a fianco dei suoi Culture Club, George Alan O'Dowd si è rialzato dopo le pesanti cadute degli ultimi anni quando le cronache raccontavano più tristi storie da gossip che fatti artistici. Dopo essere passato dalla musica alla moda come fashion designer, dopo aver attraversato le cronache musicali col nome di Angela Dust e dopo aver realizzato un musical come "Taboo", Boy George ha cavalcato con la sua ingombra mole le discoteche più celebri del mondo per offrire deejay-set di gran classe e oggi, smagrito e quasi emaciato, ci regala quello che egli sa fare realmente per costruire musica e canzoni e continuare a offrire gran belle emozioni.
"This is what i do" è un disco pieno di vigore e fortemente ispirato da composizioni sincere, tutte sue e registrate e prodotte da solo. E che trasformazione per i suoi 50 anni! "King of everything" è un'apertura che suona come una confessione e ammissione dei vecchi torti che l'autore ha fatto a se stesso e, di conseguenza, al suo pubblico, nonostante egli smentisca i riferimenti autobiografici e faccia risalire i versi al racconto della storia di un pugile sulla strada del declino.
E fa il pieno di gran classe, con la voce che rimanda a Morrissey e al suo stile più personale. Tutto il lavoro è ricco di varietà e denso di un bel mix di emozioni. Corale, a tratti, come sapevano essere i dischi soul-gospel degli anni Settanta ("Bigger than you", "Feel the vibration" e "My god", una sorta di inno, pieno di rock, contro la guerra) e pieno di dub & e mid-tempo, di pop e di reggae come ai tempi d'oro dei suoi esordi musicali ("Live your life", "My stars", "Love and danger", "Nice and slow").
Non mancano bellissime ballate come "It's easy", e la riflessiva e amara "Any road" e la superba e dolente "Death of Samantha", cover dello straordinario brano di Yoko Ono risalente agli anni di Lennon e della Plastin Ono Band. La chiusura è affidata a "Feel the vibration" in cui il reggae si mescola al medio oriente, al rap e al jazz. Che bel ritorno!
Voto 7,5/10
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10/12/2013
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