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Il Premio Fonadazione Fellini a Roman Polanki

| RIMINI – Il regista Polacco a Rimini in occasione di un convegno internazionale

di Rossella Rinaldi

E’ stato un Roman Polanski particolarmente espansivo quello che ha ricevuto a Rimini il Premio Fondazione Fellini, sabato scorso. Il regista polacco, la cui riservatezza è proverbiale, in questa occasione non ha deluso le aspettative di pubblico e giornalisti, raccontando senza parsimonia, spesso in un buon italiano, aneddoti della sua vita professionale e privata. Polanski ha ricevuto l’ambito riconoscimento, l’anno scorso conferito a Martin Scorsese, dal Presidente della Fondazione Pupi Avati, nel corso di una cerimonia che ha avuto luogo al termine di un convegno in cui si sono alternati sul palco del mitico cinema Fulgor, tante volte citato da Fellini, illustri rappresentanti della scena culturale italiana.

Sono intervenuti tra gli altri Giuseppe Piccioni, Giorgio Faletti, lo sceneggiatore Domenico Starnone, Vincenzo Cerami, l’architetto Pierluigi Cervellati e Carlo Verdone. I relatori hanno illustrato il loro personale rapporto con il Maestro riminese e di come le sue opere hanno influito sulla loro carriera: si sono alternati quindi discorsi più o meno accademici e testimonianze più personali ed intime. Si è parlato dei luoghi dei film di Fellini (Cervellati), della sua poetica di svelamento e affascinazione della finzione (Starnone), del suo rapporto con la provincia e di come i suoi film siano stati l’approccio alla sensualità durante l’adolescenza (Faletti, che si è dichiarato invidioso di Roberto Benigni e Paolo Villaggio quando erano stati scelti per lavorare ne La voce della luna). Sicuramente l’intervento più sentito è stato quello di Cerami, l’unico ad aver conosciuto Fellini avendo collaborato con lui alla stesura di due progetti poi non realizzati, e che
quindi ha potuto portare le uniche testimonianze.

In particolare Giuseppe Piccioni ha parlato del suo amore per i primi film della carriera di Fellini, quelli in bianco e nero che vanno fino ad Amarcord, ed in particolare I vitelloni, ripetutamente citato ne Il grande Blek, con cui condivide il tema della fuga del protagonista dalla provincia. Ma ha parlato anche della sua capacità geniale di mettere in scena le sue ossessioni registiche come in Otto e mezzo. Piccioni ha parlato della figura di Fellini come quella di un regista ideale, con quel suo essere un sognatore che forse tutti i registi contemporanei, divenuti spesso solo dei semplici questionanti, dovrebbero tornare ad essere.

Ma la vera star della due giorni è stata indubbiamente Polanski, che ha ricordato il suo incontro con Fellini, quando erano andati insieme a visitare Disneyland con Giulietta Masina. Lo ha ricordato come un uomo pieno di humour e che amava godersi i piaceri della vita. Uno degli elementi che condividevano era la passione per il cinema e l’esprimersi attraverso i disegni (una delle modalità che Polanski preferisce per comunicare con la troupe sul set), ma anche le molte ossessioni personali rispecchiate nei film. Polanski ha poi ricordato i suoi esordi sul grande schermo con lo sceneggiatore Gerard Brach e i suoi primi film Cul de Sac e Repulsion, di come era cresciuto in Polonia nell’atmosfera culturale del realismo socialista e di come poi arrivarono l’impressionismo, il surrealismo, il teatro dell’assurdo, che condizionarono grandemente i suoi primi lavori.

E se il suo film preferito di Fellini è Rosemary’s Baby (infatti proiettato al cinema Fulgor venerdì sera), il film che Polanski preferisce di Fellini è Otto e mezzo. Lo vide per la prima volta a Cannes e fu subito una rivelazione, tanto che quando entrambi erano il lizza per gli Oscar (lui con Il coltello nell’acqua), non fu geloso della sua vincita perché credeva che la meritasse appieno (ma è stato ricompensato nel 2003 con la statuetta per Il pianista). Polanski ha poi citato Toby Dammit come “film polanskiano”. Invece alle domande relative ad un documentario che una filmaker sta girando sulle sue vicende giudiziarie in USA, Polanski ha risposto che preferiva tenersi al di fuori e non esserne coinvolto. La testimonianza più emozionante è stata però quella riguardante la lavorazione de Il pianista, con i toccanti ricordi autobiografici della sua infanzia nel ghetto di Cracovia.

21/12/2006





        
  



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