IL VALORE DELLA FIABA POPOLARE
Cupra Marittima | I bambini son più convinti degli adulti dell'importanza delle fiabe popolari. Essere adulti,infatti,significa spesso,essere adulterati da spiegazioni razionali e sottovalutare gli aspetti infantili che si ritrovano nelle fiabe.
di Antonio De Signoribus
"Ho cercato di dimostrare-sottolinea il celebre psicoanalista James Hillman-con abbondanza di particolari come adulto e bambino siano ormai posti l'uno contro l'altro:l'infanzia significa meraviglia,fantasia,creatività e spontaneità,mentre la condizione adulta significa la perdita di queste facoltà".
E'indispensabile,allora,rendere più attento l'adulto e ridare all'immaginazione quella posizione di primaria importanza che le compete.In tal senso è importante riconsiderare il discorso sulle fiabe popolari perché,il bambino,le percorre in lungo e in largo,facendo lavorare la sua fantasia;ma si raccontano sempre di meno e un grandioso patrimonio fantastico sta morendo. La responsabilità maggiore è,senza dubbio,della televisione,che indebolisce le relazioni affettive e "produce violenza",come afferma anche il grande filosofo Karl Popper.
Molti genitori parcheggiano,per ore,i figli davanti al televisore,facendoli assistere a centinaia di scene violente ogni giorno, con tutto ciò che ne consegue,ma evitano le fiabe popolari,come fossero la peste,perché le ritengono violente. Non è assurdo questo comportamento? La fiaba,invece,ha un tipo di svolgimento,per dirla con un altro grande psicoanalista, Bruno Bettelheim, che si conforma al modo in cui un bambino pensa e percepisce la realtà;per questo è così convincente per lui. Tra l'altro la fiaba gli comunica che una lotta contro le avversità della vita(la strega,il drago, l'orco, la matrigna cattiva) è inevitabile. Ma il lieto fine gli procura una certa sicurezza e sollievo.
Fu Perrault a conferire dignità alla fiaba popolare alla fine del 1600. La raccolta,poi,dei fratelli Grimm,pubblicata negli anni 1812 e 1815, diede il via a raccolte di fiabe popolari,nelle lingue e nei dialetti di mezzo mondo. Il più grande raccoglitore italiano fu il siciliano Giuseppe Pitré, ma lo studioso che le fece conoscere fu Italo Calvino, che scrisse nel 1956,per Einaudi,"Fiabe Italiane". Ma ecco la nota positiva che ci riguarda. Nella introduzione a "Fiabe Italiane" Calvino scrisse:"Delle Marche ho trovato solo una dozzina di pezzi, ma raccontati in modo così allegro e vivace che sono tentato di passare anche questa tra le regioni privilegiate". In una nota si legge poi:"La zona di Jesi ebbe un ottimo raccoglitore in Antonio Gianandrea".
Un giusto riconoscimento,dunque.Non c'è che dire. Citerei, però, anche gli altri raccoglitori storici che non furono da meno:Comparetti, Gargiolli, Mannocchi, Pigorini-Beri, Crocioni, Ginobili, che hanno fatto conoscere un ricchissimo e straordinario patrimonio di letteratura popolare,di cui possiamo andare fieri. Le fiabe marchigiane non sono,infatti,meno importanti di altre italiane o europee,perché la fiaba è universale,è di natura migratoria,viaggia,attraverso secoli e continenti,e si riproduce e trasforma gli ascoltatori in narratori e viceversa.
Ecco,il perché di tante varianti e motivi ricorrenti.Nelle nostre fiabe si rintracciano,comunque,temi legati alla terra,spaccati di vita popolare di cui si è persa quasi completamente la memoria. E temi di ampio respiro,come quello della sposa/frutto;o del figlio minore,sempre sottovalutato,che riesce a sposare la bella principessa o a sconfiggere il cattivo. Né ciò è privo di significato se pensiamo alla simpatia, che in genere suscita il più piccolo,specialmente quando i privilegi sono riservati al primogenito.
Poi,ci sono fiabe che giocano sull'astuzia e sulla stupidità di certi personaggi. Il contadino,in genere, è furbo,e riesce sempre a districarsi e a superare le prove stabilite da un re che non gli vuole dare sua figlia in sposa;oppure riesce a gabbare il padrone,proprietario terriero,che vuole mandarlo via dal fondo. Non mancano, poi, violini, o cappelli magici, tovaglie che apparecchiano ogni ben di Dio.
Ecco, poi, le mele d'oro, gli arcolai, le pietre preziose, le stelle lucenti che s'imprimono sulla fronte; ecco le brutte che diventano belle e viceversa,in un sottile e affascinante gioco di trasformazioni, senza il quale la fiaba perderebbe molto del suo fascino,della sua bellezza e magia.
Insomma,senza fare inutili processi al lupo cattivo, non bisogna avere timore di queste "perle di vetro", perché sono catartiche, perché sono l'antimmagine della realtà indefinita e sconcertante, oscura e minacciosa del nostro tempo.
E'indispensabile,allora,rendere più attento l'adulto e ridare all'immaginazione quella posizione di primaria importanza che le compete.In tal senso è importante riconsiderare il discorso sulle fiabe popolari perché,il bambino,le percorre in lungo e in largo,facendo lavorare la sua fantasia;ma si raccontano sempre di meno e un grandioso patrimonio fantastico sta morendo. La responsabilità maggiore è,senza dubbio,della televisione,che indebolisce le relazioni affettive e "produce violenza",come afferma anche il grande filosofo Karl Popper.
Molti genitori parcheggiano,per ore,i figli davanti al televisore,facendoli assistere a centinaia di scene violente ogni giorno, con tutto ciò che ne consegue,ma evitano le fiabe popolari,come fossero la peste,perché le ritengono violente. Non è assurdo questo comportamento? La fiaba,invece,ha un tipo di svolgimento,per dirla con un altro grande psicoanalista, Bruno Bettelheim, che si conforma al modo in cui un bambino pensa e percepisce la realtà;per questo è così convincente per lui. Tra l'altro la fiaba gli comunica che una lotta contro le avversità della vita(la strega,il drago, l'orco, la matrigna cattiva) è inevitabile. Ma il lieto fine gli procura una certa sicurezza e sollievo.
Fu Perrault a conferire dignità alla fiaba popolare alla fine del 1600. La raccolta,poi,dei fratelli Grimm,pubblicata negli anni 1812 e 1815, diede il via a raccolte di fiabe popolari,nelle lingue e nei dialetti di mezzo mondo. Il più grande raccoglitore italiano fu il siciliano Giuseppe Pitré, ma lo studioso che le fece conoscere fu Italo Calvino, che scrisse nel 1956,per Einaudi,"Fiabe Italiane". Ma ecco la nota positiva che ci riguarda. Nella introduzione a "Fiabe Italiane" Calvino scrisse:"Delle Marche ho trovato solo una dozzina di pezzi, ma raccontati in modo così allegro e vivace che sono tentato di passare anche questa tra le regioni privilegiate". In una nota si legge poi:"La zona di Jesi ebbe un ottimo raccoglitore in Antonio Gianandrea".
Un giusto riconoscimento,dunque.Non c'è che dire. Citerei, però, anche gli altri raccoglitori storici che non furono da meno:Comparetti, Gargiolli, Mannocchi, Pigorini-Beri, Crocioni, Ginobili, che hanno fatto conoscere un ricchissimo e straordinario patrimonio di letteratura popolare,di cui possiamo andare fieri. Le fiabe marchigiane non sono,infatti,meno importanti di altre italiane o europee,perché la fiaba è universale,è di natura migratoria,viaggia,attraverso secoli e continenti,e si riproduce e trasforma gli ascoltatori in narratori e viceversa.
Ecco,il perché di tante varianti e motivi ricorrenti.Nelle nostre fiabe si rintracciano,comunque,temi legati alla terra,spaccati di vita popolare di cui si è persa quasi completamente la memoria. E temi di ampio respiro,come quello della sposa/frutto;o del figlio minore,sempre sottovalutato,che riesce a sposare la bella principessa o a sconfiggere il cattivo. Né ciò è privo di significato se pensiamo alla simpatia, che in genere suscita il più piccolo,specialmente quando i privilegi sono riservati al primogenito.
Poi,ci sono fiabe che giocano sull'astuzia e sulla stupidità di certi personaggi. Il contadino,in genere, è furbo,e riesce sempre a districarsi e a superare le prove stabilite da un re che non gli vuole dare sua figlia in sposa;oppure riesce a gabbare il padrone,proprietario terriero,che vuole mandarlo via dal fondo. Non mancano, poi, violini, o cappelli magici, tovaglie che apparecchiano ogni ben di Dio.
Ecco, poi, le mele d'oro, gli arcolai, le pietre preziose, le stelle lucenti che s'imprimono sulla fronte; ecco le brutte che diventano belle e viceversa,in un sottile e affascinante gioco di trasformazioni, senza il quale la fiaba perderebbe molto del suo fascino,della sua bellezza e magia.
Insomma,senza fare inutili processi al lupo cattivo, non bisogna avere timore di queste "perle di vetro", perché sono catartiche, perché sono l'antimmagine della realtà indefinita e sconcertante, oscura e minacciosa del nostro tempo.
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30/12/2015
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