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Buon Anno con BRUCE

San Benedetto del Tronto | BRUCE SPRINGSTEEN - High hopes

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BRUCE SPRINGSTEEN

High hopes

Buon Anno a tutti!

La rete è in festa perché per errore e con due settimane di anticipo sull'uscita ufficiale del 14 gennaio si scoprono le carte sul nuovo lavoro del Boss, "High Hopes", diciottesimo disco di una eterna carriera rock iniziata oltre quaranta anni fa.

Eravamo alla fine degli anni Ottanta quando al Festival del Cinema di Venezia fu presentato "Belle speranze", un film di Mike Leigh nel quale una coppia pensa con amarezza al futuro mentre la vecchia madre perde la memoria e l'altra figlia nevrotica si ubriaca nella vasca da bagno. Un bella metafora adatta al nostro tempo difficile che ha fatto scegliere lo stesso titolo, "High Hopes" al vecchio lupo del mare del rock, quel Bruce che aveva fatto gridare al giornalista Jon Landau (diventato poi suo manager) la celebre frase "Ho visto il futuro del rock e si chiama Bruce Springsteen". Si era allora nel lontano 1974 e dopo quattro decenni Bruce guarda ancora avanti con l'occhio verso il passato per avere energie sufficienti per una spinta propulsiva.

E' lo stesso Springsteen infatti che parla delle dodici canzoni come un'anomalia della sua lunga discografia ma anche del migliore materiale inedito accumulato nell'ultimo decennio. Di sicuro il disco si apre con un gran pezzo (che dà il titolo all'intero disco ma che era già stato inciso in un EP nel 1996) dal tiro definito e dal ritmo quasi afrocubano (che riprende poi in "Heaven's wall") che è anche una botta di energia per un nuovo anno. Forte della canzone degli Havalinas di Tim Scott McConnell, un trio californiano definiti "delinquenti di strada" e vissuti lo spazio di un mattino nel 1990, il Boss si fa regalare energia da una chitarra metal rap come quella di Tom Morello dei Rage Against The Machine, presente in quasi tutte le esecuzioni. Sulle eterne basi blues-rock si snocciolano "Harry's place", (composta all'epoca per "The rising") con chiusura hard metal, e il pomposo "Just like fire would" cover dei Saints di Chris J. Bailey ma non manca il classico sound rock del Boss in "Frankie fell in love" e in "This is your sword", ballate senza tempo figlie di un moderno ed elettrico Woody Guthrie. Il linguaggio à la Dylan non è mai tralasciato e tracce si ritrovano in "Hunter of invisible game" mentre è un gran pugno nello stomaco la rilettura con nuovo arrangiamento di un classico come "The ghost of Tom Joad" (da "Nebraska" del 1982 ispirato da Steinbeck sul problema degli immigrati messicani) rivitalizzato dai riff energici e potenti di Morello.

Il linguaggio che Springsteen usa nel sua musica è ancora simile a roccia usata per frantumare il disimpegno e si traduce nella splendida ballata già apparsa nel concerto "Live in New York City" del 2000, "American skin-41 shots", ispirata alla morte per esecuzione da arma da fuoco (41 colpi, appunto) di Amadou Diallo da parte della polizia di New York. In chiusura uno dei brani più belli, "The wall", amara riflessione sui veterani di guerra e dedicata a Walter Cichon, morto in Vietnam e leader vocale dei Motifs, una band del New Jersey degli anni '60 ("una canzone legatissima alla mia più profonda parte di me", ha affermato Springsteen). Per l'ultimo brano il Boss è andato a pescare un pezzo dei Suicide di Martin Rev e Alan Vega, proto punk elettronici il cui "Dream baby dream" compare da 10 anni nella scaletta dei suoi concerti.

Un bell'augurio di Buon Anno da Bruce Springsteen e dalla sua E Street Band, che tra qualche mese sarà inserita nella Rock and Roll Hall of Fame.

Voto 7,5/10

31/12/2013





        
  



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