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Rapporto tra le credenze religiose e lo Stato

| Preoccupa il tripudio del pensiero reazionario in Europa, di quanti esortano a capire la prevalenza dell’America peggiore su quella migliore.

di Tonino Armata

Da parecchio tempo avevo in animo di tornare su un tema che accompagna da molti anni i miei pensieri e i miei comportamenti politici e professionali. Il tema è quello del laicismo, del rapporto tra le credenze religiose e lo Stato, tra i diritti individuali e l’organizzazione di una società d’uomini liberi. Questo gruppo di questioni sta all’origine della modernità occidentale e perfino dell’evoluzione delle Chiese cristiane. Se infatti il cristianesimo ha saputo e potuto aggiornare costantemente la propria dottrina e i canoni interpretativi della realtà sociale senza rinchiudersi nelle bende del dogma, ciò è dovuto soprattutto al fatto della presenza dialettica del potere civile accanto a quello ecclesiastico, nella reciproca autonomia dell’uno e dell’altro, alle lotte che ne sono derivate e agli equilibri che di volta in volta ne sono scaturiti.

Dal “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” alla guerra delle investiture sul finire dell’XI secolo, al lungo contrasto tra Impero e Papato che segnò il XIII e il XIV, fino alla nascita dell’umanesimo, della libera scienza, della Riforma, delle monarchie nazionali, del diritto civile accanto e al di sopra del canone ecclesiastico, questa è stata la storia dell’Occidente europeo. Essa ha toccato infine il suo culmine nell’epoca dei Lumi, dell’egemonia della ragione e della tolleranza, nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, nella guerra d’indipendenza americana e nella grande rivoluzione dell’Ottantanove incardinata nei principi tricolori di libertà eguaglianza fraternità.

Se tra le grandi religioni monoteistiche il cristianesimo è stato quello che più e meglio ha conservato e arricchito la sua dinamicità e se l’Occidente euro-americano ha prodotto il pensiero, la cultura e le istituzioni liberali e democratiche, l’elemento fondativi e il filo con il quale questo percorso è stato tessuto sta interamente in quella dialettica mai spenta tra lo Stato, le Chiese, gli individui. La compresenza degli Stati e delle Chiese hanno consentito agli individui d’essere attori sia all’interno delle Chiese sia all’interno degli stati, impedendo alle prime di scivolare nella teocrazia e ai secondi di trascinare dall’assolutismo regio al totalitarismo, approdando infine alla democrazia repubblicana.

Ecco perché il discorso sulle “radici” dell’Occidente è molto più complesso di quanto a prima vista non sembri e non può ridursi all’evangelizzazione dell’Europa post-romana da parte dei Cirillo, degli Isidoro, dei Metodio e di quanti vescovi testimoniarono il Vangelo e impartirono il battesimo ai celti, ai franchi, ai longobardi, ai goti. Certo la religione fu cemento comune in un’epoca che stava ancora traversando la profonda crisi dell’Impero Romano, delle sue istituzioni, del suo assetto economico e sociale. Ma quella religione sarebbe rimasta probabilmente semplice culto se non avesse potuto recuperare le tracce di Roma e di Bisanzio che avevano irradiato il “lago” mediterraneo e pontico con rispettivi retroterra in tutti i quattro punti cardinali.

La discussione storica è dunque aperta da qualche tempo su queste questioni, ma essa ha registrato negli ultimi anni una trasformazione rapida e profonda. La sua natura storica ha ceduto il posto ad un’attualizzazione politica, ideologica e addirittura elettorale. Si è visto sorgere, nel corso delle elezioni presidenziali americane, una sorta di “partito di Dio” nell’ambito della destra conservatrice, i teo-con accanto ai neo-con con alla testa lo stesso George W. Bush sempre più infervorato e pervaso da un ruolo quasi messianico che ha saldato la sua azione politica con i sentimenti di una vasta parte del popolo. L’analisi del voto effettuata dopo il 2 novembre è ormai univoca: Bush e i suoi strateghi elettorali hanno unito insieme la pulsione missionaria di chi assegna all’America il compito di portare nel mondo il modello americano della democrazia e del libero mercato con la pulsione altrettanto potente di chi vuole recuperare nella società la moralità tradizionale contro ogni deviazione.

Ethics-con e teo-con uniti insieme presuppongono come punto di riferimento religioso, anzi ideologico, un barbuto e severo Dio degli eserciti, il Dio mosaico tonante dalle vette del Sinai, che ha molto più i tratti vetero-testamentari che non quelli del Figlio incarnato e ammantato d’amore e misericordia. Non a caso le Chiese evangeliche mobilitate in occasione del voto del 2 novembre hanno indicato il loro modello di riferimento nel “maschio bianco che ha il fucile in casa e che va ogni domenica in chiesa”. Certo, esiste anche un’Europa che simpatizza con la follia teo-con e con i nuovi crociati, così come per fortuna esiste un’altra America che contrasta nettamente con quella di Bush. Gli schieramenti su problemi così complessi sono sempre trasversali. Ma il dato nuovo è questo: dopo un breve periodo di caduta delle ideologie in favore d’un pragmatismo tutto politico, le ideologie tornano prepotentemente in campo. L’America imperiale ed evangelica ha chiaramente enunciato la propria.

E l’Europa laica?
I laici non hanno né vescovi né pap . Neppure imperatori né re, tantomeno regine cattoliche. Hanno come signore di se stessi, la propria coscienza. Il senso della propria responsabilità. I principi della libertà eguaglianza e fraternità come punti cardinali d’orientamento. In conformità a questi principi il loro percorso si è intrecciato anche con il cristianesimo e con il socialismo. Con quest’ultimo sulla base d’una eguaglianza che in nessun caso può essere disgiunta dalla libertà vissuta come inalienabile diritto degli individui al di là d’ogni discriminazione di razza, di religione, di sesso.

Con il cristianesimo sulla base anch’essa, della non-discriminazione e quindi del valore dell’individuo vivificato dalla pulsione verso la solidarietà e l’amore del prossimo. Il sempre più spesso ricordato “perché non possiamo non dirci cristiani” di crociata fattura rappresenta un lascito storico e storicistico dal quale traluce un’incompatibile impronta laica poiché la coscienza laica assume nel suo sé gli eventi che hanno potentemente contribuito a trasformare la realtà (e il cristianesimo è stato ed è tra i più rilevanti) privilegiandone gli aspetti dinamicamente propulsivi e inserendoli nel quadro di una modernità umanistica che concilia la fede con il rispetto dell’altro e con la libera scelta individuale.

Il laicismo ha il suo culmine nell’abolizione dell’idea stessa di “peccato”. Non c’è peccato se non quello che rafforza le pulsioni contro l’altrui libertà. Non c’è peccato se non l’egoismo dell’io e del noi contro il tu e il voi. Non c’è peccato se non la sopraffazione contro l’altro e contro il diverso.

Il laico non è relativista né, tantomeno, indifferente. Soffre con il debole, soffre con il povero, soffre con l’escluso e qui sta il suo cristianesimo e il suo socialismo. Perciò il laico fa proprio il discorso della montagna. Fa propria la frusta con la quale Gesù scaccia i mercanti dal tempio della coscienza, si dà carico dell’Africa come metafora dei mali del mondo. Il laico vuole l’affermazione del bene contro i mali che abbruttiscono l’individuo sulla propria elementare sussistenza impedendogli di far emergere la propria coscienza, i propri diritti e i propri doveri al di sopra della ciotola  sulla quale reclina la poca forza di cui ancora dispone per appagare i bisogni primari dell’animale nudo che è in lui.

E’ secondario che il laico abbia una fede e dia sulla base della propria fede un senso alla sua vita, oppure che non l’abbia, non creda nell’assoluto e non veda nella vita se non il senso della vita e non veda nella morte se non la restituzione della sua energia vitale ai liberi elementi dalla cui combinazione è nata la sua consapevole individualità.

Questa è a mio avviso la moralità e l’ontologia del laico ed anche sua antropologia e la sua pedagogia. Il Cristo che perdona l’adultera e associa Maria di Magdala allo stuolo dei suoi discepoli è un laico, come il Cristo che riconosce al potere civile ciò che al potere civile spetta per organizzare la civile convivenza.

In realtà il Figlio ha profondamente modificato l’immagine del Padre che, annichilendo Giobbe, inneggia alla creazione del Leviatano come manifestazione della sua infinita e indiscutibile potenza. Con la quale annulla ogni teodicea e l’idea stessa della giustizia. Noi europei abbiamo conosciuto purtroppo il Leviatano all’opera e quindi siamo vaccinati contro ogni sua possibile incarnazione. La stessa immagine d’un qualsiasi impero contrasta i valori dell’Occidente laico e dovrebbe contrastare ancor di più con i valori del cristianesimo e del singolo cristiano, fosse pure in nome del Bene con la maiuscola.

Per questo è vero che non possiamo non dirci cristiani ed è altrettanto vero che non possiamo non dirci laici in tempi nei quali cresce la bestiale violenza, l’inutile guerra, l’intolleranza, l’egoismo, il disconoscimento dell’altro e del diverso. I contrari di tutti questi sono i valori dei laici e con essi noi laici c’identifichiamo. E’ anche questa una fede, che ingloba le fedi al livello di ragione. Una fede che si affida alla volontà anziché alle illusioni e agli esorcismi contro la morte.

Personalmente mi consola pensare che la nostra energia vitale è indistruttibile e servirà anch’essa a mantenere la cosmica energia che alimenta in perpetuo la vita.

09/12/2004





        
  



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