Quello strano oggetto chiamato libro
San Benedetto del Tronto | Leggere è un atto in cui si mettono in campo temi fondamentali del pensiero: e cioè, il corpo e il senso e la voce e via dicendo.
di Tonino Armata
Complimenti a Graziella Berto, traduttrice “Del libro e della libreria” (Cortina editore), la quale, si è impegnata a fondo e con bravura per restituire lo spumeggiante stile calembour che sostiene la grazia picaresca di questo piccolo libro, prezioso per le parole di Jean-Luc Nancy che lo compongono e per le immagini Jean Le Gacche che lo illustrano. Dico “picaresca”, perché c’è qualcosa d’avventuroso e rocambolesco nello sfoggio di brillanti idee e figure che sostenendosi ad una lingua filosofica di gergo decostruzionista scompongono e ricompongono l’oggetto tema - il libro.
Come uno si arrampica sugli specchi, così Jean-Luc Nancy qui si affida alle parole per svolgere il suo omaggio.
Prima acrobazia: “Un livre livre - il délivre, il libère…” che in una nota giustamente la traduttrice commenta e ci spiega, nell’impossibilità di rendere in italiano l’assonanza tra il sostantivo livre e i verbi livrer e liberér. Le lingue, si sa, giocano in modo diverso, rendendo difficile e insieme gustoso al traduttore il suo compito (anche se in italiano, chi fosse in vena di narcisistico esibizionismo linguistico potrebbe ricorrere al gioco libro, librarsi, liberarsi…).
Seconda acrobazia fondamentale al suo proprio “libello” (così credo definirebbe l’autore questa sua piccola opera, si veda a pagina 12) e il gioco “tour” e “tournure”, e poi a seguire “codex” e “volumen” e “liber”… Di questi volteggi (quasi futuristi), ringraziamo l’autore, perché arricchiscono la nostra percezione dell’oggetto “libro”, che ben sappiamo non coincidere con l’oggetto che prendiamo in mano e apriamo e sfogliamo e riponiamo sullo scaffale o sul comodino. Ripeto, noi sappiamo che c’è di più e che leggendo ci apriamo ad una assai variegata relazione con noi stessi e col mondo. Così seguiamo con interesse le capriole di chi a tale complessità intende risvegliarci.
In generale, a noi lettori fa piacere, senz’altro essere scossi; per questo leggiamo, per provare altre emozioni, per allargare le nostre esperienze, per vedere di più di quel che vediamo, per immaginare, per delirare, per allucinare addirittura. Non vogliamo affatto essere confermati nelle nostre convinzioni, siamo aperti alle scosse del nuovo, dell’imprevisto. E confessiamo senz’altro che sì, è vero, certe domande non ce l’eravamo mai fatte: tipo - è aperto il libro, quando è chiuso? O è chiuso, quando è aperto? E che differenza c’è tra il volume riposto e il volume aperto? Che cos’è una libreria?
Quale la sua differenza da una profumeria, una rosticceria, una pasticceria? Non è anch’essa un’officina di sentori e di sapori? Noi, che c’identifichiamo con quelle “genti del Libro” di cui Nancy qui ci parla, siamo pronti a riflettere su quel che facciamo leggendo; e siamo d’accordo, quando Nancy ci spiega che leggere è un atto in cui si mettono in campo temi fondamentali del suo pensiero: e cioè, il corpo e il senso e la voce e via dicendo. E pur nella nostra ingenua fiducia, conveniamo con lei quando ci spiega che il libro è uno strano oggetto, un feticcio, una merce, e tuttavia soprasensibile. E siamo pronti a seguirla quando c’invita a riflettere sulla materia propria del libro, gli siamo grati che ci faccia riflettere su tanto importanti questioni: le pagine, la copertina, il formato del libro, e anche, più dentro, la sua invisibile anima.
Ma quando a pagina 39, c’insegna che “di per sé il libro è illeggibile, ed è in nome dell’illeggibile che esso ordina o richiede la lettura” (per illeggibile intendo “quel che resta chiuso nell’apertura del libro, quel che scivola di pagina in pagina) tra abbagliati e interdetti ci chiediamo se forti di questa verità rivelata sapremo da qui in avanti leggere meglio.
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07/12/2006
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