Cerca
Notizie locali
Rubriche
Servizi

L'incontro con Jehoshua

San Benedetto del Tronto | La terza puntata della prima parte del romanzo "L'Eterno e il regno" di Angelo Filipponi

di Angelo Filipponi

Un giorno, Agrippa, mentre era solo, in una piccola insenatura, a circa 20 stadi dalla sua casa, vicino ad arboscelli di papiro, tutto intento a guardare, ad esaminare come dal basso sorgessero nuovi polloni verdi e radiati, tutto preso nell'analisi, fu interrotto dall'architecton, che seguiva la costruzione di quasi tutto il rione e che stava costruendo il porticato della sua dimora.

Aveva modi gentili, tratti fisici delicati, un'altezza rilevante, una faccia serena e capelli biondi, da Galata, tanto da non sembrare un giudeo, anche se sapeva che era uno di Galilea, terra dove i popoli si erano sovrapposti e il sangue si era variamente mescolato.

L'architetto aveva una voce dolce, suadente, parlava tecnicamente, ma aveva un timbro familiare, semplice, come di uno abituato a parlare e a farsi capire.

L'uomo diceva che era opportuno ampliare il calpestio davanti all'ingresso e non occorreva sporgersi in avanti per consentire una maggiore visibilità e per dare un certo rilievo alla dimora, che era limitata nella luce dalle case adiacenti.

Aggiungeva, come conclusione, che aveva bisogno di un'autorizzazione regia per fare gli opportuni lavori.

Agrippa l'aveva guardato ed aveva subito promesso che avrebbe parlato con sua sorella e che avrebbe ottenuto il permesso di ampliamento e, perciò, poteva già avviare i lavori.

Il tecton aveva salutato, si era allontanato a gran passi e si era disposto coi suoi uomini davanti alla sua casa: verificava le misure tra le varie abitazioni, poi chiamava due banausoi (manovali) e un oicodomos (un muratore) e stabiliva con loro il da farsi, dopo aver ordinato a un lithologos (un muratore abile a scegliere le pietre da lavorare), di squadrare i blocchi e di ornare alcune architravi con decorazioni geometriche.

Agrippa non si era mai soffermato a guardare una costruzione e tanto meno gli operai: lui e i suoi amici avevano sempre considerato gli uomini impegnati in mestieri sordidi, miserabili, indegni di attenzione; ora, invece, li esaminava come fratelli che lavoravano: rimaneva, però, l' abisso tra lui e un am ha aretz!

Agrippa vedeva, comunque, come ogni squadra di 12 elementi fosse funzionale e pratica nelle varie operazioni, come tutto fosse secondo un rigoroso ordine, come in armonia si costruisse, e come regnassero la solidarietà e l‘allegria nel lavoro.

Rilevava che costruire (bana) è cosa sacra, come un parto, tanto che, nella sua lingua , poteva valere fondare una generazione, equivaleva cioè a generare una stirpe.

Notava poi che l'oicodomos dava compiti ad un lithologos e che questo trasmetteva con decisione e precisione ad ogni banausos, come lui le riceveva dal capotekton e comprendeva, quindi, che tra loro c'era perfino una gerarchia in quanto c'erano differenze di lavoro e diverse competenze.

Da quel giorno cominciò a divertirsi a vedere il sistema di operare della squadra e a cercare di capire la logica procedurale, incantato e dall'arte e dagli artigiani.

Era andato con Sila e con Nahum a corte, aveva parlato con sua sorella, che gli era andata incontro con una giovinetta, graziosa, dolcissima, con due occhi nerissimi, che come donna del seguito di Erodiade aveva compiti di assistenza alla piccola Salome, alla quale era quasi coetanea: solo i rigonfiamenti sul petto e certe curve nella tunica facevano intravedere le forme già di donna; comunque, non doveva avere più di 15 anni: guardandola ed esaminandola, gli sembrò di rivivere l'incanto del suo innamoramento per Cipro.

Rivedeva Erodiade svettare sulla giovinetta e quasi annullare la sua figura con la maestosità delle forme e con la bellezza del suo volto truccato: ma rivedeva Cipro coi suoi due occhi, grandi, con le gambe d'avorio, la bocca ardente.

Ricordava bene l'accortezza della sorella e la sua premura: mai aveva ringraziato per il suo interessamento: Diad, allora, si era accorta del turbamento del fratello ed aveva presentato Cipro figlia di Salampsio e di Alexa, una parente, di cui lei era la tutrice e di cui Antipa curava gli interessi!

O povera Cipro quanto aveva sofferto con lui: la rivedeva ancora indifesa, un povera piccola vergine indifesa!.

Lasciati da parte i ricordi, chiese alla sorella di far firmare l'autorizzazione ad un ampliamento della parete anteriore della sua casa, come suggerita dal tekton, aveva salutato: la corte gli faceva sempre un certo effetto, non sapeva vivere da privato, aveva bisogno di fasto, di ricchezza, di essere al centro del mondo: quella era la sua natura.

Era tornato alla sua casa e alla osservazione dei tektones: era, però, disturbato dalle chiacchiere dei due liberti, che, invece, erano presi dalla solitudine e dalla noia, abituati a vivere in mezzo al caos della grande città, non sapevano come passare il tempo e perciò rievocavano le giornate romane e di tanto in tanto importunavano Agrippa, che seguiva i lavori della costruzione.

Ed ora volevano raccontare delle chiacchiere sul suo architetto e su sua madre.

Avevano cominciato, bruscamente, dicendo: lo sai, Agrippa, che Jesous é figlio di Vergine e ridevano.

Ormai avevano iniziato e dovevano raccontare: Jesous é figlio di Yosip ben Yakob, ma tutti lo chiamano uios Parthenou (figlio della Vergine) dal nome greco corrotto del nonno: il vecchio Yaqob, che aveva fatto il militare in truppe ausiliarie romane, era stato soprannominato "parthenos" perché obbligato alla purezza fino a venti anni, e poi era stato chiamato volgarmente "panthera" dai giudei, che mal parlavano il greco, secondo il sistema aramaico.

Un nostro amico ci ha narrato una strana storia di violenza e di stupro circa la madre, una parrucchiera o una tessitrice, non si sa, che poi è stata costretta a fuggire in Egitto, dove è rimasta per anni col figlio.

Smettetela, troncò corto Agrippa, neppure le donne parlano così di un uomo, di un grande uomo come Jehoshua il tekton!

Certo signore, disse confuso Sila, toccato dal rimprovero, tu sei il nostro signore; tu sei un filosofo, tu vai oltre, e scaltramente aggiungeva come per farsi perdonare per questo, Dio ti ha fatto nascere, ma...

Agrippa aveva così parlato perché aveva simpatia per quel giovane, potente e forte come un figlio di Isai.31

L'affascinava quel giovane tekton e per la sua innata signorilità di modi e per la precisione di ordini impartiti e per la calma decisionale, con cui affrontava le tante situazioni difficili che si frapponevano tra il disegno e la conforme realizzazione e soprattutto per la serietà con cui superava i problemi e gli ostacoli con un sorriso, con un incoraggiamento e con una incrollabile fede nella capacità di realizzazione.

Anche i lavori pesanti, come la positura di lunghe e pesanti travi di cedro, che facevano inarcare gli uomini, che già grondavano sudore per il sole cocente di quell'estate afosa galilaica, avvertita perfino da loro che erano al coperto, venivano fatti in silenzio, ordinatamente e serenamente.

Dentro di sé Agrippa ammirava sempre di più l'architetto che sembrava un rab (maestro) ed un giorno a corte, parlando con Erodiade si era sentito dire: Jehoshua? Si, è veramente fine educato e bravo.

Certo, lui è un re, anche lui è un re! Sorrise Erodiade.

Agrippa non sapeva come interpretare quel sorrisetto malizioso e quelle parole.

La sorella, allora, continuò e precisò: tu non puoi saperlo, sei stato tanto tempo lontano: Jehoshua è chiamato da molti maran, re, un re di origine davidica; ma, nonostante questo, è stimato da mio marito, è considerato un uomo di esperienza, tecton scelto tra molti perché ha lavorato ad Alessandria alla grande sinagoga.

E così dicendo, frettolosa, aveva salutato tutti, parlando delle amiche, che l'aspettavano alle terme

Voltandosi, aggiunse: Agrippa, sta attento , però; è parente del Battista, il rozzo nabi (profeta) nostro nemico!

E' anche un re! andava ripetendo Agrippa, trascurando gli altri messaggi,

Gli si era fissato nella mente questo enunciato, mentre tornava a casa dalla reggia, passando lungo il cardo e rifletteva sul suo architetto, una mattina di Av, quando il sole cominciava a dardeggiare ed infuocava la zona.

Al fresco di un pergolato, Agrippa rifletteva sul tekton, ragionando secondo le dottrine dei medici di Alessandria.

Il tekton aveva veramente molto dei geni della famiglia di Giuda, dei discendenti di Giuda, specie della linea di Peres, figlio di Thamar32.

L'architetto ricordava Salomone, pure lui biondo, e tanti re di Giuda, forti e biondi: quella di Giuda era certamente la migliore razza di Israel!

Altro che le chiacchiere popolari!

Jehoshua ricordava la figura di Salmon, famoso per la sua abilità fisica e quella di Booz e principalmente quella dei figli di Isai, sette ercoli biondi, fratelli di David, anche lui biondo, bello gentile.

Se poi pensava alle caratteristiche morali, egli notava che aveva non solo il portamento regale, ma anche la prudenza e la sapienza dei davidici.

Comunque, anche nel lavoro, era un uomo infaticabile: non solo svolgeva la funzione di guida e di coordinatore, ma anche di operaio, non disdegnando di aiutare altri che non riuscivano a mantenere il ritmo operativo o per stanchezza o per debolezza costituzionale.

Si era ormai in autunno; era finito Tishrì ed iniziava Cheshvàn e lui ancora osservava muto il tecton e il suo sistema di vita.

Un giorno aveva colto dal suo giardino una melagrana e l'aveva spaccata.

Osservava attentamente le 11/12 comparti divise da una pellicola, che racchiudeva nel suo interno, ognuna un nucleo stopposo e membranoso, su cui erano costipate una sessantina di semi di colore bianco rosato, tutti eguali, in cellette, simili a quelle di un favo e formanti una piramide dalle punte rotondeggianti, rosseggianti.

Vedeva la meravigliosa armonia naturale, il suo nomos, il suo kosmos, e la comparava con l'architettura artificiale della città, dove però rilevava difformità, disuguaglianze e contrasti.

Meditava sulla paritarietà dei microsistemi delle cellule, delle comparti, dei singoli semi racchiusi in ogni sezione e sulla loro possibile comunicazione: riteneva che la skepsis33 fosse sempre un superamento delle precedenti proposizioni e che aprisse verso nuove possibili ricerche.

Rifletteva sul significato naturale della paritarietà: spontanea, quindi, gli venne la domanda all'architetto che passava, come chiedesse ad un amico filosofo, con deferenza, però, quasi da inferiore:

Tekton! Disse fermamente, con una fermezza che non aveva e mostrò la melagrana E' giusta la paritarietà (isotes) tra gli uomini?

Jehoshua si fermò e si girò, pacatamente: lo guardò fisso, coi suoi due occhi azzurri, come se non fosse sorpreso e pacatamente così rispose, come se fosse pronto e preparato per la risposta: Noi viviamo in un sistema, dove il padre ci ha posto, ed occupiamo una porzione della terra minima e siamo fratelli gli uni gli altri, perché fatti a sua somiglianza: ogni paese è una comparte di quella tua melagrana, che osservi, in cui ogni cittadino svolge la funzione, che il Padre ha stabilito e quindi è limitato nella sua azione, perché è uniformato alla funzione del gruppo.

Tutte le comparti formano il mondo, che è costituito da parti paritarie e solidali.

Ed Agrippa, stupito per il tono e per la sagacia della risposta, soddisfatto per aver comunicato ad uno degno di lui, nonostante le apparenze, il suo pensiero, guardò compiaciuto il suo interlocutore ed innalzò il suo linguaggio, passando ad un livello tecnico, proprie degli schemata (figure) : Tu vedi la melagrana come metafora del mondo e metaforicamente, come i terapeuti, fai associazioni e deduzioni secondo la Legge, trovando la spiegazione in senso spirituale: io parlo da skepticos, seguendo la scienza: è giusto che nel mondo ci sia communitas o individuo, valori comunitari o valori individuali o ambedue simultaneamente?

Il tekton non rispose subito alla nuova domanda, ma dapprima parlò genericamente e poi precisò: Ogni uomo, in quanto figlio dell'uomo, è miseria e nullità rispetto a Dio, ma nella sua innata miseria e nullità ha un suo valore comunitario, come gruppo che, consorziato, tende a purificarsi in una collettiva ascesa verso il padre: così ha meriti, non come isolato elemento, ma come individuo comunitario.

Vuoi dire, lo interruppe Agrippa, che ogni uomo nasce uguale in quanto uomo, nato da donna, soggetto alla vita e alla morte, e che ha bisogno di associarsi per pregare, per guadagnare meriti, per diventare santo e che quindi deve adeguarsi al gruppo, conformarsi all'altro vicino, non cercare di essere individuo, ma di rimanere parte della cellula in cui vive?

Il filosofo aveva parlato, con irruenza, tradendo il suo stato inquieto, rivelando la tensione della sua anima, da mesi esacerbata e depressa.

Oh no, signore, replicò il tekton, serenamente, l'uomo nasce libero ed eguale e vive come figlio della luce, come prediletto dal padre, che tende necessariamente verso altri figli della luce, verso altri figli del padre, che vanno necessariamente verso lo stesso fine, la purificazione individuale e l'unione col padre: noi, come semi di una stessa melagrana, tendiamo insieme allo stesso fine sapendo che gli altri sono confratelli: Dio sa per ognuno di noi quale sia la individuale funzione e su ognuno ha già stabilito un disegno: noi docilmente ed inconsciamente andiamo verso quella meta: recalcitrare è da bambini.

Ma, replicò Agrippa, emotivamente, ogni uomo ha un suo ingegno, una sua volontà di esprimersi personalmente e tende a differenziarsi, pur sapendo di essere figlio di uomo: non è possibile o è utopico credere che gli uomini si lascino costipare tutti allo stesso modo, secondo la volontà del padre, che essi non vedono, né sentono: noi abbiamo in noi differenti scintille del padre!

Certo, soggiunse il tekton, come cercando in sé l'equilibrio, che metteva nelle parole come per mostrare un nuovo paradigma proprio nella contraddizione, cara agli scettici, è un sogno, un ideale, irrealizzabile sulla terra, dove domina l'ingiustizia e dove è forte l'egoismo: ma se si diventa piccini, si entra nel Regno dei cieli.

Poi spiegava la sua sentenza, contraddittoria.

L'uomo santo, il qadosh, cosciente di ciò, diventa strumento di Adonai, si fa canna per assecondare il suo vento, si vuota della propria vanità per aver un suono proprio di figlio della luce e per tendere verso la giustizia, si fa servo del suo fratello, si umilia, indifferente allo spettacolo quotidiano di forti che annientano i deboli, di liberi che sottomettono gli schiavi, di violenti che massacrano i pacifici, di ingiusti che prevalgono sui giusti: egli attende vigilando il tempo del signore, la sua ora.

Egli sa che da sempre la vita si svolge così sulla terra, ma aspira all'affermazione della giustizia, alla venuta del suo regno.

Noi, secondo la nostra tradizione, aspettiamo il Meshiah, il Regno dei cieli e la realizzazione della giustizia.

Malkut ha shemaim? Fece Agrippa, sorpreso.

Si, signore, il Regno dei Cieli, voluto dal padre, vaticinato dai nostri profeti, sognato da Daniele, provato e propagandato dagli esseni da diecine di anni e dai nostri commentatori, è vicino: sta per realizzarsi un malkut, in cui il leone e l'antilope, il lupo e la pecora convivono in un ambiente, dove i fiumi, che fanno scorrere latte e miele, sono metafore di un nuovo patto di alleanza tra l'uomo e Dio: allora si avrà l'uguaglianza tra i suoi figli con una nuova funzione del Sabato, come momento di meditazione, ma anche come regolarizzazione della vita collettiva e dell'alternanza sociale.

Ma questo è il sogno impossibile dei nostri padri! Si lasciò sfuggire Agrippa.

Jehoshua seguitò, come se non avesse sentito:

Nella pratica quotidiana le differenze sono apparenti e destinate e capovolgersi: gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi: per ora, la provvidenza del padre dispone ogni cosa, secondo il lavoro.

In questo modo il padre rivela la differenza e la paritarietà degli uomini: chi in un modo chi in un altro, l'uomo ha le stesse capacità, anche se differenziate.

Nel complesso l'uno equivale all'altro, fatte le somme: ognuno deve trovare in sé ciò per cui Dio l'ha fatto e deve esprimere quell'aspetto per cui è nel mondo: noi, perciò, non possiamo giudicare, ma solo accettare il disegno di Dio, che provvede al fiore della terra, all'uccello dell'aria e agli uomini con lo stesso amore, guidando ogni specie al suo fine: tu, signore, fa ciò per cui sei nato ed Adonai sarà la tua via!

Jehoshua aveva chiuso il suo intervento, come un scettico, con l'epochè: quale e quanta differenza, però!

Agrippa aveva ascoltato e neanche replicato al suo tecton, aveva accettato la lezione, come un bambino, senza fiatare, lui, che aveva frequentato le scuole di retorica romane, che era stato discepolo di Ermagora34 che si riteneva un abile teodoreo, che era un maestro pirroniano.

Lui accettava la lezione di uno, che non era letterato, né liberale, ma che sapeva convincere con paradossi e con esempi semplici.

Lui, scettico, apatico, era vinto da un dogmatico, patetico, e ne era turbato.

Un indotto lo affascinava con la parola: era un assurdo!

Si rovesciava ogni valore: lui scettico capiva che questo era un segno di grave crisi.

Era forse giunto al fondo della sua ricerca, alla massima sospensione di giudizio: era questa la vera epochè!

L'epochè di Enesidemo35 non era, però, questa!

 

Il ricordo del Battista
Agrippa meditava, dopo che il tecton, fatto un profondo inchino, si era allontanato; pensava dove mai avesse già sentito quel discorso o qualcosa di simile, dove lo avesse mai letto, in quale libro fosse codificato e lo confrontava fra sé e sé e soprattutto rifletteva su quella frase finale fa ciò per cui sei nato, e diceva che essa non gli era nuova.

Ricordava il suo primo periodo presso Teudione, la sua ricerca di purificazione e il suo deserto, cercava di ricordare le successive fughe ad Engaddi e subito si fece luce chiara nella sua tenebra memoriale.

Allora la voce di un nabi si faceva sempre più sentire, ingigantiva e gli rimbombava nella mente: Agrippa, fa ciò per cui sei venuto sulla terra.

Ecco quando ho sentito queste parole! Ecco dove le ho sentito ! Ecco da chi le ho sentite!

Ora ricordava chi aveva parlato così, chi gli aveva ordinato così.

Allora, quando stava nel deserto, non la conosceva quella voce, che gridava nel deserto, ora sapeva bene di chi fosse: ora tutti i giudei seguivano quella voce, rude e selvaggia; da tempo ormai funzionavano comunità, ispirate al pensiero del profeta del deserto.

Il rozzo profeta di Diad! Il parente di Jehoshua, il suo tekton!

Non solo Diad ma anche lo stesso suo cognato temeva quella bocca, che condannava le nozze sacrileghe, che bollava di infamia sua sorella, che predicava e chiamava tutti alla penitenza perché il regno dei cieli era vicino.

Questo pensava Agrippa.

Ora Yochanan predicava lungo il Giordano, spostandosi dai territori controllati da Pilato a quelli sotto Erode Antipa, specie di Perea, e battezzava secondo un rito nuovo e costituiva comunità.

Agrippa ricordò nettamente quel volto, quella bocca, quella voce e quella frase, molto simile a quella del tekton, che tanto lo ammaliava, che lo richiamava alla sua vita da Giudeo.

Ricordò.

Ricordò chiaramente che, due anni prima circa, subito dopo il naufragio finanziario, vedendo piangere la sua Cipro, comprendendo la disperazione della sua famiglia, preso da sconforto, aveva deciso di morire ed aveva incontrato un nabi, un profeta.

Laggiù, nel deserto di Giuda, proprio quando aveva deciso di morire incontro quel rozzo profeta.

Aveva camminato per ore sotto il sole, si era addormentato tra gli anfratti del Giordano e si era augurato di essere inghiottito dalle sue acque.

Aveva proseguito la sua marcia verso sud, aveva visto splendere Sion in alto, aveva notato la bellezza selvaggia di Yericho e le sua palme, aveva guardato con ammirazione e con odio Erodion , alla sua collina tronco-conica, stranamente regolare, che si stagliava netto nel panorama spoglio, tra le alture, a sud di Gerusalemme.

Erodion!36 aveva sospirato.

Aveva maledetto tutte le costruzioni del nonno e i suoi delitti, specie quello di suo padre e del suo prozio, il sommo sacerdote.

Era entrato nel deserto e quello era lo scenario giusto per lui ingiusto: rupi, dirupi, caverne, rocce e desolazione.

In tanta desolazione si vedevano solo ramarri, locuste, serpi, scorpioni, che si inerpicavano per le fessure ripide o che scalavano monticelli pietrosi.

Aveva visto il paese degli esseni brulicare di vita su una costa marnosa ed era passato oltre: voleva morire.

Aveva cercato una grotta dove nascondersi, dove morire, lontano da tutti per scomparire dal mondo.

Dopo aver esaminato un costone, dove scaglie pungenti di rocce permettevano solo a capre di salirvi, aveva deciso di raggiungere in alto quel buco, quasi invisibile dal basso, visto solo da uno che voleva morire.

Agilmente come solo un atleta poteva fare, si era arrampicato con una piccola otre a tracolla: il buco non era un buco, ma una grossa caverna, che dopo pochi passi, scendeva giù a precipizio per una ventina di cubiti e poi si allargava per un'ampiezza di un quadrato, di una trentina di cubiti di lato.

Lì, nell'angolo buio, si era raggomitolato, raccolto nella posizione fetale, coprendosi la faccia, contento di aver trovato un posto per morire.

Per la stanchezza si era addormentato quasi subito: aveva camminato due giorni senza mangiare, sotto il sole, sotto il sole di Giudea, la sua barba si era allungata, la sua faccia si era sfilata e fatta più volpina, e l'ultimo suo pensiero era stato: Adonai ha un suo disegno su ogni uomo: lascialo fare secondo la sua volontà.

Ricorda, ricorda, Erode Agrippa!

Quel pensiero ricorrente gli era stato martellante, ossessivo ed era diventato un ordine mentre gli turbinavano volti arcigni, figure femminili procaci e sguaiate, efebi mielosi, uomini ebbri.

Ricorda, ricorda, Erode Agrippa!

Era diventato sempre più imperioso e una massiccia figura di uomo si materializzava ed aveva puntato un dito, che si era ingrandito minaccioso e sembrava forarlo nel petto, terrorizzandolo.

Quella voce l'aveva sentita tanti anni prima, bambino, nella sinagoga Velia, a Roma, sulla sinistra del Tevere, mentre seguiva le lezioni insieme a tanti altri nipoti di Erode e a tanti altri figli di Israel rampolli dei più notabili giudei dell'impero romano, finanziatori più o meno grandi delle famiglie patrizie del periodo di Augusto.

Ismael!

Ismael era il capo sinagoga della più grande tra le cinque sinagoghe romane, un vecchio pesante, dalla barba squadrata, bianca, venerato da tutti, pagani e giudei, dottore della legge, fariseo, un giusto che predicava con una voce potente: morte e vita sono la stessa cosa, due punti di una medesima linea, l'alef e tau di un medesimo alfabeto continuato...nella fine c'è l'inizio ed ogni inizio ha la sua fine, ciò che marcisce, rinasce.... ogni anno che comincia è finito... Adonai inizio e fine, vive in noi.

Il suo shemà era un urlo come l'amen della folla.

Agrippa mentre ansimava dolorosamente nella grotta, ricordava distintamente le parole.

Eppure le aveva credute sepolte, cancellate da tante altre ascoltate altrove, provenienti da tanti messaggi di retori, di filosofi, di imperatores.

Ora perfino aveva coscienza di comprendere quelle parole, quelle frasi, quei pensieri.

Ora capiva, solo ora capiva.

E si meravigliava che era così semplice e facile capire, così dolce la lingua nativa, ora lo disgustava l'ornata perifrasi greco-latina.

E le parole di Ismael, aramaiche, nel sogno, lo riportavano all'infanzia, ai volti cari del padre Aristobulo, alla madre.

Comparivano i suoi fratelli Erode e Aristobulo e con loro sorrideva ed ammiccava ed essi sorridevano ed ammiccavano: si temeva il capo sinagoga allora, si venerava l'autorità di un anziano.

Nel dormiveglia quella frase enunciativa e la prescrizione lo assillavano anche perché il sonno era agitato, le visioni si popolavano di mostruose stragi: quel volto e quel dito riempivano la mente, colmavano la caverna, tappandola, senza scampo.

Facevano capolino di volta in volta volti femminili dolcissimi, che si chinavano su di lui, come per pacificarlo, rasserenarlo, sfiorandolo.

Ora era sua madre Berenice che gli accarezzava i capelli neri e ricci e lo baciava, gli sussurrava qualcosa e prometteva una vita edenica, gli mostrava un trono, raccontava favole più belle di quelle apprese dal litterator.

Dietro quel dito sbucava ora una domina, la iustitia romana, che subito si trasformava nella faccia di Tiberio, di Tiberio, mago che interpretava gli astri sul suo destino, che gli mostrava un giovane con la corona radiata, che lo incoronava basileus (re).

Dietro quel dito, ora, appariva la shekhinah divina, ora il volto radioso di suo padre Aristobulo, che era come il nonno, regale e ricco, potente che sorrideva e lo invitava a salire sul suo trono, a ricevere l'applauso della folla.

Era arso dalla sete, ormai nell'otre non c'era quasi più acqua, ormai le sue labbra erano screpolate gli occhi erano accesi, febbricitanti: la mente lucida, farneticava, implorava: Antonia, mater, adiuva.

Implorava Antonia, la matrona austera, la moglie di Druso fratello di Tiberio, l'amata dal popolo.

Gli sembrava d'aver accanto Antonia, la figlia del triumviro Antonio; a lei tendeva le mani; al suo petto si aggrappava e succhiava latte dalle sue mammelle, che lei, materna, offriva dolcemente.

Subito quel dito enorme lo comprimeva sul petto e lo faceva ansare: Adonai, Selach lanu (Signore perdonaci).

Mehal lanu (assolvici).

Il dito si era trasformato in un mostruoso tentacolo, lungo, sulla cui punta, flessuosa, era la faccia pitturata di Diad, ghignante che stizzosamente urlava: sei un fallito, fratello! Un ladro, uno spergiuro, un assassino. Io lo so! Io lo so! ripeteva infantilmente.

Ridente e sensuale poi si avvicinava e con la mano toccava il suo petto, il suo ombelico e scendeva giù verso il suo membro eretto, mentre con la bocca sussurrava parole volgari e lascive ripetendo: sei un fallito, fratello, ma mi piaci, mi piaci: tu sei il mio sangue, io sono la tua janiki. Noi siamo figli di Aristobulo, e ci amiamo ed odiamo: siamo stirpe di re, nati da incesti, da legami incestuosi: noi siamo divini!

Via!diceva Agrippa e con la mano destra cercava di allontanare qualcosa, colpiva la parete.

Via, va via Diad, io sono in penitenza: io ho già tanto peccato! tu sei la mia dannazione! sei la dannazione di ogni uomo. Vattene!

E così sbraitando, sbatteva con forza la mano di nuovo contro la parete e se la faceva sanguinare. Per il dolore si svegliava di soprassalto, cercava l'otre e beveva le ultime gocce.

Rifletteva, ora, Agrippa sul significato dei sogni, sulla frase di Ismael, su quel dito, su Basileus.

Ora la sua mente esercitata all'analisi secondo la cultura latina, capace di cavilli secondo la dottrina scettica, abilitata dalla ermeneutica ebraica, individuava la matrice lontana della sua infanzia senza padre, le turbe infantili, le fobie del nonno, il timore santo di Dio, le sue più profonde e segrete aspirazioni.

Tutto gli sembrava che era rievocato in quel sogno.

Perché , dunque, quel sogno ad uno, deciso a morire? Quale messaggio Adonai gli inviava?

Non doveva uccidersi!

E ricordava tutto e la frase di Yohanan e quella di Ysmael e il sogno.

Ricordava.

Ricordava che, essendo immerso in questi pensieri, sentì come un mare in tempesta, come un vento.

Ricordò che subito la tempesta si era precisata come un immenso ronzio, che si fece vocio rumoroso, divenne un mare di alleluianti.

Aveva sentito rumori laggiù in basso, ad una diecina di stadi, come un tumulto ed aveva pensato di non essere solo ed aveva imprecato: neanche qui sono solo, anche qui sono perseguitato dalla folla, neanche nell'ora della morte si è soli!

Si era sporto un poco per guardare.

Un uomo, vestito di pelli era a capo di una masnada di straccioni e di morti di fame, un uomo che gridava Fate penitenza! il regno dei cieli è vicino!.

Un pensiero esseno per un zoticone ciarlatano, aveva pensato, quando quel selvaggio a gran voce disse: fa, Agrippa, ciò per cui sei venuto sulla terra, rivolto verso di lui, ritto ed inebetito.

Come quel rozzo uomo poteva conoscerlo? e cosa voleva dire con quelle parole? Che significato potevano avere!

E si dimenticò di tutto, delle cause che lo avevano spinto a cercare la morte, del suo fallimento spirituale e finanziario: tutto scordò.

Si eccitò come un bambino, mentre rimuginava tra sé e sé dove mai avesse conosciuto quello strano individuo che chiamava per nome lui, proprio lui, dopo averlo visto così da lontano e tra le rupi, lassù in alto.

Si precipitò giù, ma non poté raggiungere il gruppo, ma solo una vecchietta che si era fermata sulla riva del Giordano, stanca, incapace di seguire gli altri, che avevano attraversato il fiume e si erano diretti verso la Perea.

Alla donna sfinita semisdraiata chiese:

Nonna, chi è che mi ha chiamato?

Uomo, da dove vieni? Rispose la vecchia,

E' Yohanan, è il battezzatore! Disse tutta meravigliata, sgranando gli occhietti avvizziti e facendo una smorfia con la bocca, per la sorpresa.

 

Disperazione di Agrippa
I giorni passavano e la disperazione cresceva in Agrippa.

Egli si deprimeva ogni giorno di più pensando alla mancanza di funzione umana personale; egli metteva in relazione il suo alzarsi quotidiano col suo fare niente e nell'ozio era logorato dalle sue analisi scettiche; poco valeva il ricordo delle parole di Jehoshua e la frase profetica di Johanan.

La speranza era un fiore che lui non coglieva perché lui si sentiva uomo di azione e grande come uomo di pensiero;nessuno gustava i frutti nati dal suo pensiero ed  anzi nessuno conosceva niente della suaopera

Perciò implorava JHWH in modo rabbioso ora, in modo supplichevole talora.

Adonai, Adonai, assistimi, siimi vicino, non ho pace, non so vivere: io non ho una funzione, non ho un compito: tutti fanno, io solo, io solo non ho trovato la mia via: tu sei la mia via, indicami il mio cammino, tu sei la mia luce, illumina il mio percorso: guidami.

Cosi pregava Agrippa, ma aveva l'animo colmo di tristezza, da mesi: non sapeva adattarsi a vivere una vita da privato, una esistenza insulsa, ad attendere la fine dei suoi giorni, a contare i suoi insuccessi, senza aver fatto niente di grande.

Egli si sentiva vittima, nuovo Giobbe.

Egli pensava: la goccia carsica cade sempre nello stesso punto e forma stalagmiti e stalattiti, ma non chiede a nessuno perché cade: cade e cade con quel ritmo: essa cade.

Io devo vivere e non chiedere, devo vivere: questo è il mio compito, di uomo di sofferenza.

Io sono nessuno, io sono niente, le mie lagrime sono niente, le mie angosce sono niente, la vita umana è niente: nessuno importa a nessuno, niente importa a nessuno.

Io, io questo non so accettare, non posso accettare: io sono, sì, una creatura, ma sono un figlio del padre che vive, una luce che cerca la luce, una parte di ruach ha gadosh.

Eppure devo, se voglio vivere, ritenere nulla la mia vita, nullo il mio essere, nulla la mia storia e quella dei miei padri: devo sradicare me dalla storia, come se la toledot non fosse stata, come se i miei padri fossero stati uomini qualsiasi.

Così forse accetto il mio destino, così posso accettare il destino di vita e di morte, come i sadducei, che sono convinti che noi moriamo e che tutto finisce e che conta solo la produzione individuale.

La formica che lavora, lavora; il vento che tira, tira; il sole che folgora, folgora; il diamante che risplende, risplende: ogni cosa è quel che è ed ha una puntuale funzione.

L'ape costruisce: costruisce perché ha il compito di lavorare, cosciente del bene del gruppo, ma non chiede a nessuno l'investitura del suo lavoro, è paga del bene comune.

I popolani lavorano come formiche nella comunità e non chiedono neppure: essi obbediscono ai loro capi e lavorano, né chiedono a Dio la loro specifica funzione: essi sono già funzionali.

Ed io?

Ed io perché non sono funzionale? Perché non sono contento del vivere personale, della vita data ai figli, dell'amore di Cipro, della mia attività di cittadino?

Non sono già una parte di un sistema umano, non svolgo già una funzione, piccola, ma importante per me, per la mia famiglia, per i miei amici?

Cosa allora voglio? Cosa cerco? Dove desidero andare? Quale meta raggiungere?

Zenone37 ha insegnato che l'uomo deve sradicare l'egoismo: allora io devo essere apatico, devo annullare il pathos e sentirmi conforme alla varietà naturale ed essere preso nel vortice del caos naturale, seguire i cicli dell'essere , perdere la propria identità.

Io, scintilla del fuoco divino, parte del tutto, luce anonima di un sistema di luce vivifico, annego nel mare di luce, e non posso sapere la fine dell'io e la sua futura possibilità creativa, immerso nell'immensità ed eternità divina.

Io ora, però, sulla terra, non desidero niente, ma voglio essere una luce, una luce per me e per gli altri: io credo di essere questo, luce per gli altri, come quelli della mia stirpe; essi hanno avuto un compito, tutti, anch'io voglio un compito, la mia missione.

Non posso essere nato senza una missione, senza un significato: devo pur aver un barlume di un istante, che serve pur ad una sola persona, ma devo pure avere un ruolo, da niente, ma un ruolo.

Questo io cerco, non voglio denaro né gloria, ma solo un ruolo: di questo ti prego Adonai, dammi un ruolo, ti prego.

Adonai, aiutami!

Io divento pazzo!

Adonai mostrami uno spiraglio! Io non posso vivere come un am ha aretz: io sono Agrippa ben Aristobulo, discendente di una stirpe di gran sacerdoti e di re: il sangue degli Asmonei e quello degli Erodi reclamano per me un posto nella storia: io devo fare la storia.

Adonai, perdona, perdona, perdona!

Questo io sento dentro di me, questo grido mi sorge dalle viscere; e perfino sento una voce di assenso, misteriosa che mi rimbomba nelle orecchie :"la farai, la farai!"

Questo io voglio.

Ma una voce interna, misteriosamente rimproverava Agrippa che così si lamentava e lo chiamava nabal.

Nabal! Si, urlava Agrippa Io sono un nabal, un incosciente che non ha coscienza di ciò che dice, un insensato che non sa il senso delle sue parole, uno stolto che rinnega la sua umanità ed aspira ad una diversità, non sapendo di essere un canna vuota, polvere, destinata a lasciare, come labile traccia, un pulviscolo di un istante.

Ed allora sentiva la sconfitta dentro di sé e cantava il salmo, per placare la sua rabbia.

YHWH, Dio della mia salvezza,

grido di giorno e di notte, davanti a te.

Giunga al tuo cospetto la mia preghiera,

tendi il tuo orecchio alla mia supplica.

Sazia di mali è la mia anima,

la mia vita è giunta presso lo sheol;

sono censito tra quelli che scendono nella fossa,

sono come un uomo privo di vigore.

E' tra i morti il mio giaciglio,

come quelli che sono trafitti e sono nel sepolcro,

di essi tu non hai più il ricordo,

essi sono ormai fuori dalla tua mano.

Mi hai posto nella fossa più profonda,

nelle tenebre e negli abissi.

Su di me pesa la tua collera,

mi hai afflitto con tutte le tue onde.

Hai allontanato da me i miei conoscenti,

mi hai reso per loro un abominio.

Sono prigioniero, senza via di uscita.

Il mio occhio si consuma nell'afflizione.

Ti ho invocato, JHWH ogni giorno,

verso di te ho proteso le mie mani.

Compi forse prodigi per i morti?

Sorgono forse le ombre a lodarti?

....ma io a te, YHWH, grido aiuto

al mattino giunge sino a te la mia preghiera.

Perché YHWH mi respingi?

perché nascondi il tuo volto da me?

Io sono povero e moribondo fin dalla fanciullezza,

sono sfinito sotto il peso dei tuoi terrori.

Sopra di me è passato il tuo furore,

i tuoi spaventi mi hanno annientato.

Mi circondano come acqua tutto il giorno,

tutti insieme si riversano su di me.

Hai allontanato da me l'amico e il prossimo,

miei conoscenti sono le tenebre.

Le tenebre!

Le tenebre sono davvero le mie amiche, pensava Agrippa, che ora dopo lo sfogo si sentiva un po' sollevato.

Fino a quando sarò nelle tenebre, Adonai?

Fino a quando....

 

NOTE della I Parte

1. M. Giulio.Erode Agrippa, figlio di Aristobulo e di Berenice, nipote di Erode il Grande, nato a Gerusalemme il 10 a.C. fu filosofo scettico, educator di G. Caligola e re di Giudea 37-44. Come privato cittadino ebbe una vita sregolata, come re fu buon amministratore ed abile politico. In questo inizio di romanzo è visto come avversario di Pallante, un liberto di Antonia, destinato a esser un potente ministro dell'imperatore Claudio.

2.M. Antonio Pallantde, un giudeo, liberto di Antonia Minor, suo ricchissimo amministratore, divenuto poi ministro di Claudio imperatore, caldeggiò il suo matrimonio con Agrippina e fu sostenitore di Nerone contro Britannico. Dopo la morte di Claudio perse di potere a corte quando Seneca e Burro lo sostituirono. La carriera di Governatore di Joudaea di suo fratello A. Antonio Felice, strepitosa , fu in relazione alla sua ascesa politica. Morì nel 62 d. C..

3. Si Chiamavano clientes quei cittadini non autosufficienti che gravitavano nell'orbita di un potente, dal quale avevano protezione e quotidiano sostentamento in cambio di piccoli doveri o di propaganda o di semplice adulazione.

4. Ti. Claudio Druso, figlio di Antonia e di Druso, fratello di Tiberio, nato il 10 a. C. fu storico, etruscologo, erudito in molte discipline, imperatore dal 41 al 54 d. C. , fratello di latte di Erode Agrippa.

5. A. Giunio Silano è genero di Tiberio, futuro suocero (la pecora d'oro) di G. Caligola, da cui sarà ucciso.

6. Elio Seiano, dopo la morte di Druso, viene eletto da Tiberio praefectus praetorii e tutor di Tiberio minor, erede al trono, contrastato da Antonia e da Agrippina, madre e moglie di Germanico, capi del partito Giulio, che proponevano un altro coerede della loro casata . Questi fece una politica di potere personale approfittando dell'assenza di Tiberio, ritiratosi a Capri e in otto anni lentamente fu equiparato all'imperatore finché, smascherato dal partito avverso, fu fatto uccidere il 18 ottobre del 31d.C..

7. Aristobulo (padre di Erode Agrippa) e suo fratello Alessandro furono uccisi da Erode forse l'8 o 7 a.C. a seguito di accuse portate da Antipatro, altro figlio di Erode.

8 Antonia Minor è figlia di Marco Antonio, il triumviro e di Ottavia, sorella di Ottaviano, nata ad Atene intorno al 36-5 a. C. Diventa moglie di Druso, fratello di Tiberio, ed ha tre figli Germanico, Claudio e Livilla. E' donna aristocratica potentissima e ricchissima, in quanto è capo del partito Giulio contro quello Claudio, guidato da Livia Augusta, moglie di Ottaviano e madre dell'imperatore e sua suocera. E'anche una abile finanziatrice e negoziatrice, oltre che politica : argentarii latini e trapezitai greci sono alle sue dipendenze. Antonia scopre la congiura di Seiano e determina la sua morte, grazie alla denuncia di Pallante nel 31 d.C.

9. Tzedaqàh equivale a Carità cristiana e a philanthropia greca, ma è molto diversa come significato perché include il valore di giustizia (deriva infatti da zedek comportarsi da giusto): il suo significato è di fare azione propria di giusto dando l'elemosina, non come superfluo, dato per commiserazione dell'altro, ma come dovuto ad un fratello .

10 I due fratelli furono fatti uccidere da Erode, dopo un processo (in cui il padre aveva accusato i figli di congiura anche se assolti dal consilium principis e da Augusto stesso) perché accusati di nuovo in patria dal fratellastro Antipatro in un clima di pettegolezzi e di rancori femminili, in un contrasto tra le due anime della corte , quella filo Mariamne, moglie uccisa da Erode, erede legittima al trono maccabaico, madre dei due giovani e quella anti -Mariamne formata da Doris, prima moglie idumea e da Salome, sorella del re.

11. Senzio Saturnino, ex console amico di Tiberio, è governatore di Siria nel 7 av. C, incaricato di provvedere ad un possibile inglobamento del regnum di Erode nell'imperium.

12. Marin (o maran) significa re di un Malkuth (regno).

13 Alleluja è grido di festeggiamento in cui si esalta Yhwh

14. I romani chiamavano così i giudei per la circoncisione.

15. Mariamne, figlia di Alessandro di Hircano II, divenne moglie di Erode, già marito di Doris, per legittimare il titolo di basileus, a lui dato illegittimamente da Antonio e dal Senato nel 38 a.C. con la legittima erede asmonea, dopo la morte di Antigono. Fu uccisa da Erode ,che pur l'amava, a seguito di una congiura di corte.

16. Livia Drusilla è moglie di Ottaviano Augusto, madre di Tiberio e Druso.

17 Erode Agrippa è nipote, da parte materna, anche di Salome, infida sorella di Erode, amica stretta di Livia, la madre di Berenice.

18. Il termine significa Cantico dei cantici.

19. La Iudaea si divideva in toparchie, distretti regionali, di origine lagide, che ricalcavano però i peleg persiani.

20. Il calendario giudaico era lunare ed era così suddiviso: Tishri (settembre-ottobre), Cheshvan (ottobre-novembre), Kislev (novembre-dicembre), Teveh (dicembre-gennaio), Shevat (gennaio-febbraio), Adar (febbraio-marzo), Nissan (marzo-aprile), Ijar (aprile-maggio), Sivan (maggio-giugno), Tammuz (giugno-luglio), Av (luglio agosto), Elul (agosto-settembre).

21. Questo Erode Filippo era figlio di Erode il grande e Mariamne di Boetho sommo sacerdote, a cui era stata data in moglie Erodiade, sorella di Erode Agrippa, di Erode e di Aristobulo e quindi nipote del marito, che era fratello dell'omonimo tetrarca di Iturea e di Erode Antipa, tetrarca di Galilea e Perea. Dalla coppia nacque Salome che, quando la madre sposò l'altro zio Erode Antipa, con la sua danza ,determinò la morte di Giovanni Battista.

22. Germanico, figlio maggiore di Druso e di Antonia, marito di Agrippina, aveva avuto sei figli, Nerone, Druso, Drusilla, Caio Cesare, Agrippina e Giulia Livilla: era stato associato all'impero e mandato in Germania e poi in Partia: le sue campagne militari fortunate lo resero famosissimo tanto da essere considerato eroe nazionale anche per le qualità fisiche e morali. Morì forse avvelenato ad opera di C. Pisone a trentatre anni nel 19 d. C.

23 Filone Alessandrino (nato tra il 30 /25 a.C.- 42/3, filosofo platonico)scrittore di moltissime opere sia storiche che filosofiche, commenta la Bibbia con metodo allegorico. E' discendente di Onia IV e fratello dell'Alabarca Lisimaco Alessandro e forse anche di Lisimaco

24. Toledoth è plurale e vale tradizione o storia come sunto di storie.

25.Il II libro dei Maccabei è forse un sunto dell'opera di Giasone di Cirene (morto prima del 124 a.C.) di un epitomatore Cfr II Macc. 2.23 Queste cose, esposte da Giasone di Cirene in 5 libri, noi tendiamo di compendiare in uno solo.

26 Su Agrippa Agoranomos cfr Flavio Ant.giud. XVIII,150.

27. Lisimaco Alessandro Alabarca, fratello maggiore del filosofo Filone Alessandrino è personaggio storico, citato da Giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche, XIX,276.

28. kosmos ha tre valori fondamentali, ordine, costituzione e mondo ed ha significato a seconda del contesto e della impostazione filosofica con qualche differenza tra stoicismo e platonismo

29. Nel 26 Yohanan ben Zaccai era a Roma ed era a capo della Velia. Era un po' più anziano di Agrippa ed aveva già un grande potere. Sarà poi il fondatore della scuola di Iamnia, riconosciuta anche da Vespasiano, dopo la distruzione del tempio.

30. Gamaliel il vecchio, figlio di Hillel (il più grande fariseo della cultura giudaica del I secolo a.C.) ricordato anche negli Atti degli Apostoli, fu maestro di S. Paolo.

31. Isai della stirpe di Giuda, padre di David, era famoso per la sua figura alta e per capelli rossicci: i suoi discendenti avevano queste due caratteristiche.

32. Sono uomini della stirpe di Giuda, famosa per il loro fisico e per il loro spirito guerriero.

33. Si ritiene che Agrippa sia anche un filosofo scettico, che ha evidenziato il metodo per arrivare alla epoché, sospensione del giudizio in cinque tropoi (modi). Sulla sua identificazione con un Agrippa, della stessa epoca , di cui parla un certo Apelle, comunque, non si è certi.

34. Ermagora di Temno il Giovane, discepolo di Teodoro di Gadara, forse scrittore del Peri Ypsous(il Sublime)

35. Enesidemo nato a Cnosso di Creta, fu maestro di filosofia in Alessandria, dove fu amico di Filone e pubblicò i Discorsi Pirroniani.

36. E' un palazzo fortificazione costruito da Erode il Grande, come suo mausoleo. Era comunque una roccaforte, a forma circolare, che sorgeva su una cima di un'altura isolata, non lontano da Gerusalemme, alta una sessantina di metri. L'edificio era formato da due mura circolari concentriche di 62 metri di diametro. Le mura erano dominate da una torre circolare, la cui altezza doveva essere di 16 metri e da altre tre torri semicircolari, che sporgevano dalla cinta esterna. L'accesso avveniva tramite un tunnel, che sbucava vicino al giardino interno al palazzo. Nel 134-5 d. C. fu domicilio di Shimon Bar Kokhba.

37 Si tratta di Zenone di Cizio (336-263 a.C.) filosofo greco, fondatore della Stoà poikile (portico dipinto) cioè dello stoicismo, scrittore di molte opere (perdute), di cui si ricordano specialmente Costituzione, Vita secondo natura e Sulle passioni.

07/12/2009





        
  



4+2=

Altri articoli di...

Cultura e Spettacolo

04/04/2025
Una serata di emozioni e scoperte (segue)
31/10/2022
Il Belvedere dedicato a Don Giuseppe Caselli (segue)
27/10/2022
TEDxFermo sorprende a FermHamente (segue)
27/10/2022
53 anni di Macerata Jazz (segue)
26/10/2022
Il recupero della memoria collettiva (segue)
26/10/2022
Giostra della Quintana di Ascoli Piceno (segue)
23/10/2022
A RisorgiMarche il Premio "Cultura in Verde" (segue)
22/10/2022
Porto San Giorgio torna a gareggiare al Palio dei Comuni (segue)

San Benedetto

04/04/2025
Una serata di emozioni e scoperte (segue)
12/10/2022
Studenti omaggiano il Milite Ignoto (segue)
10/06/2020
Samb: Serafino è il nuovo presidente! (segue)
27/01/2020
Istituto Professionale di Cupra Marittima: innovazione a tutto campo. (segue)
25/01/2020
Open Day a Cupra Marittima, al via il nuovo corso Web Community – Web Marketing (segue)
19/01/2020
GROTTAMMARE - ANCONITANA 1 - 3 (segue)
13/01/2020
SAN MARCO LORESE - GROTTAMMARE 1 - 0 (segue)
10/01/2020
UGL Medici:"Riteniamo che gli infermieri e i medici debbano essere retribuiti dalla ASUR5" (segue)
ilq

Una serata di emozioni e scoperte

ASPIC Psicologia di San Benedetto del Tronto presenta il Centro Psiconutrizionale

Betto Liberati