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La fatica di essere giovani

| Essere giovani e soccombere alla gioventù.

di Benedetta Trevisani

Essere giovani e soccombere alla gioventù. Può succedere che finisca così, nel fiore degli anni, una vita diventata troppo pesante quando ancora  il carico dell'età non sembra adeguato ad un esito del genere. E allora ci si interroga, per capire e non soltanto compatire. Di fronte a un gesto estremo, però, è meglio evitare facili sociologismi che addebitano a generiche o specifiche malattie sociali il malessere dei giovani. Non perché tali malattie non ci siano ma perché a volte più che della malattia conviene interessarsi del malato.

 Il suicidio ha sempre alle spalle un fallimento ed è il fallimento di un progetto personale che non riesce a funzionalizzarsi nella realtà sociale. E non ci riesce per un rifiuto che può essere bilaterale, a due direzioni, se è l'uomo che rifiuta la società o è la società che rifiuta l'uomo. Ma anche dire genericamente "società" può essere un'ulteriore astrazione se non la si identifica in concreto come famiglia, come scuola, come "insiemi" di persone tra loro legate e organizzate in sistemi di relazioni diversi ma uguali nella loro funzione integratrice.

Si parla sempre più spesso della fragilità dei giovani, della condizione di "precariato" che essi vivono per un processo di crescita che è naturale, ma viene "denaturalizzato" in modi e per scopi diversi. Marco Lodoli, di professione insegnante e scrittore, ha scritto  un articolo apparso sul quotidiano  La Repubblica nel novembre 2002, in cui parla dei giovani insidiati dal demone della Facilità. Facilità che non va certo confusa con la Semplicità perché, mentre questa "è il miele prodotto dal lavoro complicato dell'alveare, è il vino squisito che dietro di sé ha il lavoro della vigna", la facilità è un imbroglio che promette la felicità a portata di mano e invece disarma le intelligenze per catturare più facilmente le prede. E le prede sono più spesso i giovani che, per un modello educativo propiziato dalla nuova cultura del consumo, non hanno esperienza della fatica, dell'impegno di camminare con le proprie gambe su un percorso personale che realizzi un carattere, una personalità, un progetto individuale.
   Se la facilità configurasse realisticamente una facilitazione a vivere, non avrebbe senso contrastarla; andrebbe anzi propiziata come di fatto oggi è propiziata da molti adulti che per affetto o per calcolo premasticano ai giovani le difficoltà della vita. Statistiche alla mano, però, non risulta per niente scontata l'equazione facilità=felicità, per cui chi ha, a qualunque titolo, responsabilità  educative dovrebbe farsi carico di denunciare l'imbroglio e mettere in guardia dagli abbagli quei giovani che credono di succhiare la vita e ne restano succhiati.

30/03/2003





        
  



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