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Una riflessione sulla tragedia in Iraq

| Dai versi di Borges un pensiero sui morti italiania Nassirya.

di Antonella Roncarolo

"Esente ormai da memorie e speranze, /illimitato, astratto, quasi futuro, /il morto non è un morto: è la morte".

Jorge Luis Borges da "Rimorso per qualsiasi trapasso"

Amo molto i versi del grande scrittore argentino, che si riaffacciano sulla superficie della memoria ogniqualvolta la morte entra prepotentemente nella mia giornata e nella quotidianità della gente.

Da molti mesi, le notizie giornaliere dell'uccisione di soldati americani erano diventate  neutre, amorfe, capaci di passare indisturbate sopra i nostri piatti di spaghetti, le preoccupazioni e le risate familiari.

Oggi tutto è cambiato. I diciotto cadaveri smembrati, resi irriconoscibili dalla rabbia e dalla ferocia delle bombe kamikaze, sono italiani, fanno parte di noi, della nostra storia e del nostro Dna. La guerra irachena è entrata nelle nostre case, prepotentemente, recando con sé il suo bagaglio di sangue e di violenza.

I nomi dei diciotto militari massacrati nell'attentato di Nassirya, recano con sé la loro storia fatta di famiglie, figli, sogni e di un domani che non sarà. Ma, svolgendo i versi di Borges, si trasformeranno, per chi sa non dimenticare, nell'archetipo stesso della morte. La morte, immaginata, temuta, rappresentata, ignorata, sublimata, ma presente nella sua veste più nera e temibile, sempre, qualora si decida di scegliere la via della guerra.

Non voglio entrare nelle polemiche politiche sull'intervento iracheno, sulla guerra santa dell'impero contro l'islam, sul conflitto che serve a portare la pace. Sui morti "esenti ormai da memorie e speranze" non cresce la squallida pianta del chiacchiericcio, del "io l'avevo detto".

Poche ore fa, mentre scrivevo, per queste pagine, la recensione del bellissimo film di Ermanno Olmi, "Cantando dietro i paraventi", nuovamente Borges, il cantore dell'impossibile possibile, mi è venuto incontro. La storia della vendicativa piratessa cinese e degli aquiloni colorati lanciati nel cielo in segno di pace era stata già raccolta dal grande poeta argentino.

E' un sogno, ma un sogno possibile se ci muoviamo alla ricerca della speranza di veder volare aquiloni in cielo invece di bombe e di sentire un canto coprire il rumore dei proiettili.

Anche dietro i paraventi.      

12/11/2003





        
  



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