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Nessun governo ancora delle nostre città e dei nostri territori

| L'approvazione del nuovo condono edilizio completa una non-riforma criticabile ed inadeguata della materia urbanistica.

di Ettore Picardi

Con la definitiva approvazione della legge finanziaria corrente è diventata operativa la nuova edizione del condono edilizio. Com'é noto con questo provvedimento si prevede la possibilità per gli interessati di sanare abusi edilizi che risultino commessi entro il 31 marzo 2003: si intende cioè la regolarizzazione di costruzioni non autorizzate che siano state completate entro quella data. Il limite massimo volumetrico perchè sia applicabile il condono è stato fissato in 750 metri cubici per le nuove edificazioni oppure, in caso di ampliamento di costruzione preesistente, il predetto limite vige nei casi in cui l'ampliamento sia stato superiore al 30 per cento del volume originario.

Con quest'ultimo intervento normativo si completa quindi una rivisitazione delle leggi in materia di urbanistica e paesaggio, intrapresa nell'anno 1999 con il Decreto legislativo n° 252 che riordinava la materia dei vincoli paesaggistici, architettonici ed ambientali. Il passaggio più atteso e significativo è stato poi vissuto con il tormentato iter che ha portato all'entrata in vigore del DPR 380/2001, un vero e proprio testo unico delle norme in materia edilizia. Entrata in vigore che era stata più volte differita, con disgiudi e problemi giuridici davvero singolari e delicati, e concretizzatasi definitivamente il 30 giugno di quest'anno.

Va subito detto che il testo unico sull'edilizia si presenta come normalmente appare uno strumento del genere, capace di riordinare una materia ma provocando una serie di modifiche più nella forma che nella sostanza della normativa. Ad esempio vi sono state novità terminologiche: la concessione edilizia è divenuta permesso di costruire. Vi sono state novità procedurali: in alcuni casi la dichiarazione di inizio attività può surrogare il permesso a costruire, ma solo quando la situazione urbanistica della zona interessata all'intervento sia completamente definita dalle norme di piano ed il permesso risulterebbe comunque una sorta di atto dovuto. Vi sono specifiche tecniche interessanti ma sporadiche in materia di ristruttrazioni e ricostruzioni. Tuttavia rimane in piedi un sistema normativo fondato su lungaggini burocratiche ed una cultura proibizionista verso il nuovo edificio.

In sostanza anche gli ultimi interventi sono destinati a scontentare tutti, proseguendo l'ormai trito e consolidato copione: pochissimi possono costruire il nuovo (ricomprendendo con questo concetto anche le ristrutturazioni più incisive), tuttavia ogni tanto si passa la spugna e si legittimano le opere di chi, abusivo, ha avuto l'arroganza di sfidare leggi e controlli. Con questo modo di fare l'urbanizzazione del nostro territorio non viene frenata e nemmeno governata.

Gli architetti sono schiavi di mille vincoli e responsabilità ed il bello nelle nuove costruzioni è irrealizzabile, soprattutto che se la maggior parte di esse sorge in modo abusivo ed anche avventuroso.
Gli urbanisti non possono progettare e gestire l'evoluzione delle dinamiche urbane, con il risultato che le nostre grandi e medie città risultano sempre meno vivibili, incapaci di rispondere alle esigenze dei tempi. Il paragone in merito con il resto d'Europa è davvero avvilente.

Noi addetti ai lavori giudiziari abbiamo poi una gran mole di carte, per processi destinati a veloce prescrizione e che al meglio sarebbero sostituiti da sanzioni e competenze di amministrazioni tecnicamente attrezzate: soprattutto se come sanzione principale in materia fosse definita la demolizione o  rimessa in pristino delle opere illegittime.
Insomma tutte le categorie interrssate resteranno scontente ed il nostro territorio continuerà a vivere solo sulle glorie passate. Finchè dureranno.

26/11/2003





        
  



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