Parole parole parole all'ombra della Grande Mela.
San Benedetto del Tronto | Roger Dodger, un convincente film newyorkese traboccante di dialoghi, ha chiuso ieri sera il secondo ciclo del Cineforum Buster Keaton.
di Gianluca Traini
Parole, parole, parole quelle che Roger, un pubblicitario di successo che vive e lavora a New York, rivolge continuamente al suo nipote sedicenne Nick, venuto improvvisamente a trovarlo dal loro nativo e provinciale Ohio. Parole che riguardano sempre e comunque quello che è il primo pensiero del giovane Nick e che secondo il cinico zio Roger si trova dovunque nella sua città: il sesso.
Roger Dodger, il film che ieri sera ha chiuso al Cinema Calabresi con il consueto successo di pubblico il secondo ciclo del Cineforum Buster Keaton, è infatti una storia incentrata sull'arte della seduzione, di cui il protagonista che dà il nome al film sembra ritenersi presuntuosamente un maestro, e su come questa possa essere trasmessa a un ragazzo timido e impacciato e totalmente ignaro di essa. Concentrato per gran parte nel breve volgere di una notte mondana nella Manhattan delle classi newyorkesi agiate e emotivamente insoddisfatte, questo film di Dylan Kidd, sua opera prima, è un flusso di discorsi e di insegnamenti che il regista riporta privilegiando nelle riprese il primo piano e usando costantemente la macchina a mano, dando così alle continue conversazioni che compongono la sua storia quel carattere informale che le fa sembrare a chi le segue più vere, come colte sbirciando per un giorno nella vita di chi si sta ascoltando.
Ovviamente lo spettacolo che ne viene fuori non è affatto edificante e rivela in tutto il suo vuoto la vita del maestro Roger e del mondo di cui fa parte, un mondo composto di persone sentimentalmente disilluse che sembrano poter credere nell'amore solo se riferito al passato. Un film realista e senza sconti, che rivela un regista onesto che sembra possedere il raro dono di guardarci e di raccontarci non per come noi vorremo essere ma per come in realtà siamo.
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17/12/2003
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