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Intervista a Maurizio Marota, autore del poemetto Federicae (Ed. Periferia, Cosenza, 2003)

San Benedetto del Tronto | Il giovane scrittore si descrive alla nostra Redazione

di Redazione IlQuotidiano.it

Maurizio Marota, giovane poeta grottammarese, ha da poco pubblicato un bellissimo poemetto dal titolo Federicae per le Edizioni Periferia di Cosenza, il secondo, dopo l'esordio avvenuto l'anno scorso in un volumetto collettivo, per la stessa casa editrice. Sempre all'anno 2002, ricordiamo, risalgono altri due suoi lavori: una traduzione dei carmi catulliani (Versi per Lesbia, Ed. Periferia) e la Letteratura dialettale di S. Benedetto del Tronto e Grottammare (Nuovi Orizzonti Ed.).

In questa sede, dopo aver incontrato l'autore, parleremo insieme a lui dell'ultima pubblicazione. E lo facciamo partendo subito dal titolo…

* * *

Perché Federicae?
È un titolo latino… un nome di donna in dativo… una vera e propria dedica. A questo proposito vorrei fare una precisazione, e cioè che esso si legge proprio com'è scritto, in omaggio alla pronuncia classica del latino, e non Federice, secondo quella ecclesiastica… Tornando comunque all'opera, devo dire che è un poemetto composto di 10 poesie di 38 versi endecasillabi l'una, dedicato, appunto, "A Federica"…

Quando e in che modo è nato il libretto?
Avevo scritto la prima poesia lo scorso aprile, ed era a sé stante: non pensavo ancora a una silloge. Le successive, fino alla quarta, le avevo stese in previsione di una eventuale pubblicazione in una rivista. È  dalla quinta in poi che ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto raggiungere il numero di dieci, se mi fosse stato possibile, e farne un libretto…

Scusa se ti interrompo: ma perché hai detto "se mi fosse stato possibile"?
L'ho detto a ragione, dal momento che scrivere poesia non è un'attività automatica, un lavoro; non ci si può mettere a tavolino. O meglio lo si può fare, ma per trasferire sulla carta qualcosa di artisticamente valido, che sia vera poesia, si deve essere ispirati e l'ispirazione non dipende da noi; possiamo invocarla, certo, ma non possiamo provocarla a nostro piacimento. Bisogna attendere che essa arrivi. E nessuno sa quando e se arriverà… Tra una poesia e l'altra difatti si vive uno stato di attesa… Mi piacerebbe parlare a lungo di questo argomento, anche perché me ne sono occupato in un saggio, ma credo che, se lo facessimo, dovremmo rinunciare all'oggetto dell'intervista…

Già. Torniamo dunque a noi. La postfazione che segue i testi porta una firma prestigiosa, quella di Gianfranco Pontiggia, noto poeta italiano e vincitore del Premio Montale nel 1998. Come è stata possibile la cosa?
In un modo semplicissimo. Gli ho spedito le 10 poesie chiedendogli, vista la stima che nutro nei suoi riguardi, che mi sarebbe piaciuto un suo scritto critico, che poi è arrivato.

Lo stesso Pontiggia si esprime, a proposito dei tuoi versi, in termini assai lusinghieri. Parla infatti di "ricercatissimo trobar ric", di "scrittura raffinatissima", di "misurata e meditata poesia", di componimenti "cesellati, musicalissimi", di "endecasillabi preziosi, ondosi, eppure di severa constructio
Sì, dice questo e altro. E, confesso, ne sono molto orgoglioso… È una postfazione bellissima…

Se permetti, usa anche il termine "scandaloso" per ben tre volte a proposito del tuo poemetto. Vorresti spiegare ai lettori in che senso?
Certamente. Egli ha posto l'accento sul carattere "irriducibile e radicale" della mia poesia che potrebbe risultare "scandalosa" per i tempi in cui è stata scritta. Attualmente si privilegia, difatti, quella minimalista, sperimentale, di laboratorio; vi è ancora una avanguardia, anzi, delle avanguardie. Va da sé che una poesia come la mia, dunque, debitrice della tradizione, inserita nel solco di quest'ultima, con i suoi riferimenti ai classici del passato, scritta in metrica e formalmente molto curata, risulta un po' controcorrente, non di tendenza, insomma, usando un'espressione oggi tanto di moda… Ma questo, visti i tempi di decadenza in cui viviamo, non può che farmi piacere e onore…

Pontiggia comunque sostiene che il libro, per una serie di fattori, è riconducibile "alla tradizione dei migliori testi classici" ma che in esso vi è anche, soprattutto a proposito del linguaggio, molta modernità.
Hai fatto bene a ricordarlo e ti ringrazio. Queste parole, difatti, equilibrano quanto è stato poco fa detto circa il rapporto tra la mia poesia e la tradizione…

Per concludere ho ancora una domanda. Quale consiglio ti sentiresti di dare al momento a un poeta in erba?
Forse il miglior consiglio è quello espresso da Rilke nel libro Lettere a un giovane poeta; tuttavia è il suo consiglio. Se ne dovessi dare uno io, direi di non frequentare le varie scuole di poesia che, sul modello di quelle statunitensi, stanno un po' ovunque nascendo in Italia. La poesia non può essere insegnata. Non è una filosofia, è piuttosto una mistica: si deve vivere, provarla nell'anima, sulla pelle; essa appartiene alla sfera sovrarazionale del sacro… La migliore via da percorrere è senz'altro quella di leggere e ascoltare la voce dei grandi poeti: essi soli possono spiegare che cosa è la poesia ai giovani e a coloro che ritengono di avere talento…

Un'ultimissima cosa. Quali sono stati i tuoi maestri? E quale libro o quali libri di poesia recente ti è piaciuto di più?
I maestri sono stati in primis i latini: Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio e Properzio sopra tutti. Poi tanti altri da Dante a oggi. Tra i contemporanei cito gli Ermetici, in particolar modo Montale, Penna con la sua limpidezza, Gatto, Ungaretti, Quasimodo; inoltre, sempre in ordine sparso, Luzi, Bertolucci, Caproni, Sereni, Giudici… Abbiamo una letteratura e una poesia, qui in Italia, che sono meravigliose! Quanto ai libri mi sono piaciuti: Barlumi di storia di Giovanni Raboni (Mondadori), Le barricate misteriose di Silvia Bre (Einaudi), Mia madre un secolo di Silvio Ramat (Marsilio), La gioia e il lutto di Paolo Ruffilli (Marsilio), Prima antologia di Patrizia Valduga (Einaudi) e Aria alle stanze di Gabriella Leto (Einaudi).

23/12/2003





        
  



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