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L'Italia ha perso a Lumezzane

| Non si è compiuta in Portogallo la disfatta del nostro calcio

di Ettore Picardi

Da trentacinque anni ho memoria di partite viste, dal vivo o in televisione. Da una trentina di anni ho ricordi di calcio giocato, quello dei bambini, dei ragazzi, dei dilettanti, dei dopolavoristi. Ho visto polemiche e litigi incomprensibili e fatui, alcune risse: roba spesso di poco conto e durata, che si dimenticava già prima del fischio finale. Qualche volta ho visto violenze gravi che non potevano essere giustificate dalla "trance agonistica".

Tuttavia ho sempre pensato che il gioco valeva la candela, che si trattava di incidenti di percorso ma che in questo sport prevalesse comunque il bello: il divertimento, la passione, l'aggregazione, la creatività, la salute.

Le immagini di Lumezzane-Cesena di domenica scorsa 20 giugno, spareggio ultimo per la promozione alla serie B, hanno determinato una sensazione nuova ed agghiacciante. Ho pensato, per la prima volta, che il calcio o forse tutto lo sport italiano fosse un malato inguaribile e già terminale. Ho pensato che la violenza selvaggia di quella futile rissa non fosse un momento buio ed occasionale bensì il risultato logico del mostro che avevamo creato e che chiamavamo calcio italiano.

La recente eliminazione della nostra Nazionale ai campionati Europei del Portogallo è un fatto tecnico. Possiamo scagliarci contro le scelte del CT ed ancor prima di che ha scelto quel CT; possiamo indignarci ad immaginare quale sia il vero uccellino che faccia la formazione; possiamo discutere del cattivo stato di forma dei campioni troppo celebrati. Possiamo persino indignarci per la maleducazione di sputi e bestemmie. Tuttavia siamo ancora nell'ambito del gioco, dell'agonismo, del vincere e perdere, degli atleti immaturi e del loro comportamento da migliorare. Ci saranno nuove partite e campionati per le rivincite.

A Lumezzane la violenza di chi salta più volte a piè pari sulla testa di un avversario, già a terra tramortito, non solo è un crimine di per sè: è il segno che che abbiamo rubato allo sport, almeno a quello del calcio, tutto il suo senso di vita. Rimane tra le nostre mani una scatola vuota, mero contenitore di abitudini, affari, rivalse, stupidità. Una scatola che ingombra ed occupa sempre più spazio e tempo, che coinvolge sempre più persone. Una trappola che nessuno comprende di creare o subire, ma che imprigiona sempre più i nostri spazi di piacere e divertimento.

Quella violenza che sempre più coinvolge i campi ed il loro contesto nasce dal confronto tra chi non ha nulla insieme. Nello sport vero tutti condividono lo spettacolo, il gioco, l'incertezza, l'essere insieme. Cadute queste condivisioni restano solo le contrapposizioni, poi rivalità, ostilità, inimicizie, odio: come nelle guerre, quando non avere nulla in comune con l'altra parte, giustifica ogni morte ed ogni strage. Si arriva anche a dimenticare di sè, prima della propria coscienza ed etica, poi anche della propria esistenza fisica che si è disposti ad annullare in nome della distruzione del nemico.

In quella rissa di una anonima e mediocre partita di serie C per la prima volta ho visto lo sport uguale alla peggiore delle guerre. Ovviamente è stata una mia percezione, magari esagerata, dell'approdo in un punto di non ritorno. Tutto questo mentre il doping devasta atletica, ciclismo, nuoto e gran parte degli sport olimpici. Tutto questo mentre avremmo bisogno di trovare nello sport un diversivo e magari l'esempio di un mondo possibile, diverso, piacevole.

Io non so se il male dipenda dal delirio di onnipotenza di un sistema privilegiato, dall'economia che sta regolando da sola la società dopo aver zittito filosofie, religioni,
politiche. Io non so se si tratti di una crisi grave ma temporanea, passegera o ciclica. Per adesso mi accontentrei di alcun segnali piccoli, ma certi e concreti. Un giocatore (o allenatore) che tenti di massacrare un avversario in quel modo che non giochi mai più. Due squadre che compiano un simile scempio che abbiano partita e campionato perso, altro che promozioni. I responsabili che siano puniti, senza alcun privilegio e nella legalità, anche dalla giustizia ordinaria come qualunque cittadino violento.

Nel caso specifico la giustizia sportiva non è stata inerte ma relativamente severa, ma a noi deve stare a cuore non il caso specifico: a noi deve stare a cuore la nostra civiltà che retrocede pericolosamente. Senza giustizialismi sommari dobbiamo recuperare la serietà di un sistema che con equilibrio sappia attribuire a ciascuno le responsabilità e le conseguenze delle proprie azioni.

Credetemi avrei preferito parlare del perchè in Nazionale abbia giocato Del Piero e non Baggio o Gilardino, se Totti quando ha sputato a Poulsen sia stato provocato o abbia commesso un' ingiustificabile sciocchezza, se abbiamo ancora un movimento calcistico tra i migliori nel mondo. Avrei voluto emozionarmi di più per questi campionati e spero di farlo per le prossime Olimpiadi, vorrei invidiare le avvincenti partite degli altri. Avrei voluto soffrire fino in fondo alla rabbia del tifoso l'eliminazione ambigua dell'Italia.

Tuttavia in questi giorni quella violenza oscena di serie C mi è rimasta negli occhi e nella mente, occupandomeli ben più di Euro 2004. Non vorrei che per la prima volta in vita mia arrivi a pensare che sia benedetto il fischio finale di una partita persa.

25/06/2004





        
  



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