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Le idee di Giulietto Chiesa - L'Italia dei Valori

Porto Sant'Elpidio | Manifesto d’intenti programmatici di Giulietto Chiesa per le elezioni europee e oltre

di Stefania Ceteroni

Mi rivolgo ai milioni di elettori che hanno votato per il centro-sinistra, ai milioni di elettori che hanno votato a sinistra, ai milioni che non hanno votato affatto per molte ragioni, tra le quali c’è una sfiducia - giustificata – nella “classe politica” e nelle istituzioni che questa “classe politica” ha occupato in questi anni.

Per tutti questi elettori: per quelli comunque attivi (con molti dubbi e con molte rabbie); per quelli assenteisti (con molte delusioni); per quelli che non hanno mai votato a sinistra, che non si sentono nemmeno di sinistra, ma che avvertono inquietudini profonde per le loro sorti e quelle dei loro figli; per quelli che sono contro la guerra per cento e uno motivi diversi, ma soprattutto perché capiscono, intuiscono che essa non condurrà da nessuna parte, se non in un disastro.

Per tutte queste persone di un’Italia per bene, che sono la maggioranza di un paese ancora civile, si pone il problema di cosa fare per uscire da questa crisi. Se provare ad alzare la testa, a risalire la china in tutti i sensi, a rimettere in movimento le forze produttive del paese, a ricominciare a vivere degnamente, a sconfiggere la paura, a ripristinare un corretto funzionamento delle istituzioni, a uscire da uno stato di vassallaggio internazionale, oppure se accettare la sconfitta per una intera fase storica, dai contorni indefiniti, oltre la quale – inutile cercare di nasconderselo – c’è solo una notte indistintamente buia ma dai connotati certamente autoritari.
Parlare di “sinistra” per definire questa galassia in movimento è sbagliato e insufficiente. Essa è molto più vasta della sinistra storica e perfino della nuova sinistra dei movimenti. E’ trasversale, nel senso che attraversa parti decisive della nostra società.

Del resto ci sono stati, attorno all’idea e al termine di “sinistra”, in questi ultimi anni, tanti e tali fraintendimenti, imbastardimenti, abiure più o meno comiche del passato, perfino astute variazioni del significato delle parole e trucchi semantici come quello che ha demolito i concetti stessi di “riforma” e “riformismo”, che ricucire una tela così sbrindellata e logora è ormai poco utile. Sarà dunque più utile, e più corrispondente alla realtà, fare riferimento a un decisamente più vasto movimento “democratico”, al cui interno si muovono diverse idee, tra le quali quelle di sinistra. “Democratico” nel senso, precisamente italiano, di chi crede nella Costituzione che ancora governa questo paese e che avverte ormai il pericolo (anzi la certezza) che essa sia non solo minacciata e violata (ciò che sta avvenendo con sequenze impressionanti), ma che ci si appresti ad abrogarla di fatto e di diritto a colpi di maggioranze e di plebisciti televisivi e plebei.

Quanti sono questi “democratici”? Sono, siamo, probabilmente la maggioranza. Persone e organizzazioni, come ad esempio i sindacati che, nonostante le gigantesche manipolazioni mediatiche cui sono state sottoposte nell’ultimo quindicennio – poiché sono eredi, singolarmente e collettivamente, di una grande tradizione di vita democratica – sono ancora in grado di reagire e di difendersi. Infatti tutti i momenti più significativi della vita politica nazionale degli ultimi anni sono stati prodotti da questi insiemi di persone: dalle lotte sociali, a quelle per i diritti di libertà e individuali, alle manifestazioni contro le guerre.

Le forze politiche, comprese alcune tra quelle del centro-sinistra, o hanno frenato, o hanno ostacolato i movimenti, o se ne sono estraniate. Le votazioni parlamentari, i comportamenti di molti leader sono stati lontani dai sentimenti della gente. Gli esempi sono innumerevoli e vanno dall'assenza della destra del centro-sinistra a Genova nel luglio 2001, fino alla manifestazione contro la guerra, la più grande manifestazione del mondo, del 20 marzo 2004, preceduta da votazioni parlamentari (che si possono definire alternativamente come indegne e come incomprensibili) di parte dell’opposizione, e da un tragicomico assembramento in Piazza del Campidoglio, assieme ai rappresentanti del governo di centro-destra, due giorni prima di un appuntamento popolare di massa, immenso e dal significato antitetico.

Il problema è dunque che questo “popolo democratico” è ormai da tempo senza una guida unitaria. Dopo il sistematico smantellamento dei binari politici, economici, etici, che avrebbero dovuto (e potuto) sostenere un’offensiva democratica contro le destre, diversi leader del centro-sinistra hanno abbandonato il loro popolo (e si sono abbandonati) al dominio dei disvalori dell’avversario. La maggioranza del centro-sinistra ha impiegato l’ultimo quindicennio a inseguire il modello liberista della globalizzazione americana. Non solo non ne ha colto il carattere profondamente ingiusto, ma non ha compreso che esso era destinato a una rapida e catastrofica crisi e che, prima di tutto, esso aveva un carattere eminentemente truffaldino, come ormai è emerso platealmente sia dai crolli americani (Enron, WorldCom e decine di altri) , sia da quelli che costellano le cronache del nostro paese.


Ora che la crisi del modello americano – finanziaria, economica, politica, democratica, sociale, ambientale – si manifesta in tutta la sua portata, coloro che quel modello avevano assunto acriticamente come punto di riferimento (anche coloro che, fingendosi realisti, si limitavano a parlare di inevitabilità) non hanno più nulla da dire. Annaspano. Prigionieri delle idee dell’avversario non sono stati capaci di capire che la minaccia vera e più insidiosa alla nostra democrazia, ai nostri diritti, alla nostra sicurezza, al nostro ambiente, alla nostra cultura, non veniva dall’esterno, ma dall’interno, dalle élites al potere, da quei “bolscevichi del capitalismo” che hanno assunto posizioni di comando nell’economia, nell’informazione, nella politica, in Italia e nel mondo.

Non hanno compreso che l’attacco alla legalità interna e internazionale, alle istituzioni che ci governano, è l’altra faccia della medaglia della guerra. Il neo-liberismo è all’origine della guerra, ma è anche la legge del più forte nei rapporti sociali. E’ la fine di ogni patto e di ogni regola, cioè è il primo e vero disturbatore della quiete mondiale. Il terrorismo è un sottoprodotto di questa forsennata idea di dominio, il suo contrario, o forse il suo fratello. L’Impero ha già definito la sua strategia, la “guerra infinita”, per tentare un proprio rilancio. Ma in questa nuova strategia non c’è spazio per la democrazia, né per le Nazioni Unite, né per un sistema condiviso di regole internazionali. Seguire gli avventurieri che hanno preso il potere a Washington significa, per il cosiddetto riformismo italiano, suicidarsi. Per meglio dire significherà che questi generali senza più esercito si faranno trascinare sull’altare della prossima guerra, contro il prossimo “dittatore sanguinario”.

L’esperienza comunista – sebbene alcuni dei suoi valori fondanti siano tutt’altro che defunti e debbano essere ripensati senza lasciarsi trascinare nella volgarità del dibattito dei “vincitori” – è stata demolita irrevocabilmente agli occhi di immense masse dalla sua incapacità di produrre valori alternativi paragonabili, per forza e impatto, a quelli della grande “fabbrica dei sogni” dell’Occidente. Ma è crollata anche la tradizionale idea di una soluzione caritatevole delle mostruose disuguaglianze, moltiplicate dalla globalizzazione nella sua veste americana. I ricchi sono divenuti sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Così, dunque, come l’unico comunismo sperimentato è stato quello “reale”, sovietico (o nelle sue varianti cinese, cubana, est europea, vietnamita, nord coreana, ecc, tutte costruite violando le ipotesi marxiste), altrettanto ci si trova a constatare che l’unica globalizzazione che abbiamo sperimentato è stata ed è quella americana. Che adesso sappiamo non funzionare, esattamente come non funzionarono il socialismo e il comunismo “reali”. Sebbene importanti e decisivi settori dell’imprenditoria e della finanza italiana e internazionale non abbiano ancora saputo e voluto fare i conti con queste evidenze, è lecito pensare che la crisi in atto costringerà molti a rivedere giudizi consolidati e ad abbandonare illusioni radicate. Proseguire sulla vecchia via delle deregulations generalizzate non offre prospettive. Invece della eliminazione del “pubblico” diventa sempre più evidente che un nuovo equilibrio tra pubblico e privato, nel rispetto delle regole, è nell’interesse comune. Occorre aprire anche con queste forze, comunque decisive, una grande e coraggiosa discussione sul comune futuro.

Ma adesso noi siamo giunti a un punto di non ritorno, estremamente grave e inedito. Siamo giunti ai limiti di uno sviluppo basato sullo spreco e sulla violazione degli equilibri naturali. Meno di un miliardo di ricchi (di cui facciamo parte anche noi, che pure non siamo ricchi, ma lo siamo immensamente rispetto a coloro che non hanno nulla) hanno già “turbato l’universo”. E non esiste la possibilità che questo universo, già sconvolto, possa sopportare il peso di due Occidenti, o di due Americhe. La contraddizione, inedita, è, tra la limitatezza delle risorse naturali e la delicatezza degli equilibri naturali, da un lato, e l’infinitezza dei bisogni umani dall’altro. Noi viviamo in un sistema economico che stimola bisogni, senza sosta, gran parte dei quali sono artificiali come i prodotti che dovrebbero soddisfarli. Risorse finite, bisogni infiniti.

Noi dobbiamo cominciare, tutti assieme, una nuova vita, basata su una idea del benessere diversa da quella imposta da una società basata sul profitto, sull’egoismo individuale e sul consumismo senza freni. Se siamo in guerra è perché la leadership statunitense si muove nella logica secondo cui “le condizioni di vita del popolo americano non sono negoziabili” (Ronald Reagan).

La nuova globalizzazione bellicista pone anche al mondo cattolico, ai cristiani in generale, un aut aut così brutale e inedito da non avere precedenti paragonabili nei duemila anni di storia del cristianesimo: o stare dalla parte del miliardo che pretende il dominio e non è disposto a negoziare il proprio tenore di vita, oppure stare dalla parte degli altri cinque miliardi. Nel primo caso significa estraniarsi dai processi principali e condannarsi a una condizione minoritaria senza respiro etico.
Ma c’è una parte assai ampia del mondo cristiano e cattolico in primo luogo che si rende conto del fatto che i disvalori della “fabbrica dei sogni” sono altrettanto ostili ed estranei allo spirito (certo di gran lunga più insidiosi) di quanto non siano stati quelli dell’ateismo comunista. La forza del movimento contro la guerra è anche il risultato di questa nuova consapevolezza cristiana. Il Pontefice ha pronunciato le più dure parole di condanna delle guerre, ben consapevole della vastità politica e morale dei cambiamenti necessari. Come risultato il movimento per la pace ha cessato di essere “di sinistra” ed è divenuto anch’esso trasversale, popolare nella sua accezione più vasta. E’ uno straordinario progresso, che probabilmente è solo l’inizio di una più ampia riflessione da cui può scaturire un nuovo sistema di alleanze sociali e un insieme di valori comuni, laici e cattolici.

Tornare a parlare con le genti perché siano le genti a parlare e decidere

Di fronte a tutto ciò – cui si aggiunge un vuoto sempre più profondo di idee, di iniziative, di elaborazione dei partiti che rappresentano l’opposizione nelle istituzioni - è evidente che la semplice sommatoria degli attuali partiti del centro-sinistra, e della sinistra, non solo rimane al di sotto dell’ampiezza di questi schieramenti, ma non sarà in grado di rappresentarli. E’ a causa di questo vuoto, per uscirne, per vincerlo, che si è verificato negli ultimi mesi e anni un sussulto d’insofferenza democratica e una serie di vaste mobilitazioni politiche, a loro volta testimonianza del dinamismo e della volontà di cambiamento di ampi settori dell’opinione pubblica del paese.

Tuttavia questi sussulti, questa volontà molteplice, queste aspirazioni al cambiamento, rischiano di arenarsi nel nulla in assenza di un nuovo, preciso punto di riferimento positivo. Fino a che il dibattito sulla necessaria unità democratica e di sinistra resta imprigionato nell’acquitrino delle mediazioni tra vertici e apparati, nulla di positivo potrà scaturirne. E’ dunque necessario uscire risolutamente dallo schema della “sommatoria” di compromessi di vertice e tornare a parlare con la gente e a far parlare e decidere la gente. Solo su queste premesse è possibile parlare di una nuova leadership democratica per l’Italia.


L’attuale leadership dell’Ulivo, in tutte le sue componenti, non può costituire ed esaurire in sé questo punto di riferimento. E’ del tutto evidente che, anche in caso di successo delle sinistre e del campo democratico nelle elezioni europee, dopo il 14 giugno un qualsiasi compromesso tra queste forze – supposto che possa realizzarsi, cosa di cui è lecito dubitare data la grande distanza tra loro su questioni essenziali, che concernono la pace e la guerra, e la questione sociale – sarà così asfittico, così privo di idealità e di prospettiva, da non poter soddisfare nemmeno la parte maggioritaria degli attuali elettorati del centro-sinistra. A maggior ragione tale compromesso non potrà certo conquistare settori del “movimento” e quelli più a sinistra, e sicuramente nemmeno una parte decisiva dei movimenti cattolici democratici, inclusi i settori politicamente moderati, ma che sono anche ormai preoccupati per il crollo di valori cui stanno assistendo angustiati e impotenti.

Il nuovo punto di riferimento parte dal basso

E’ un compito sicuramente difficile ma non impossibile. Si deve tenere conto che lo si dovrà affrontare in condizioni di alta tensione interna (perché Berlusconi e i suoi non rispettano le regole democratiche, che nemmeno conoscono) e internazionale (perché l’imperatore ha scelto una strada di guerra che è senza vie d’uscita finchè i fondamentalisti del capitalismo liberista resteranno al potere). Lo sottolineo perché ogni ottimismo è in questa fase, ingiustificato e incauto. Nello stesso tempo, tuttavia, molte questioni che ora dividono il movimento democratico perché non si colgono tutte le loro implicazioni saranno rese più chiare dall’evidenza e dalla durezza della battaglia. Molte illusioni spariranno.
attuali e prevedibili condizioni. Ciò richiederà uno sforzo di tutti: dai settori più moderati dell’opinione pubblica democratica, che chiedono sicurezza, sviluppo equilibrato, giustizia e pace, ai settori dei movimenti che non hanno ancora compreso la necessità di darsi una rappresentanza istituzionale, e che devono smettere di limitarsi a delegare ad altri le decisioni per poi svolgere un ruolo critico soltanto dall’esterno.

Come dev’essere costruito questo punto di riferimento nuovo? Dal basso, inequivocabilmente. E’ lì la sorgente del rinnovamento della politica, essendo ormai del tutto evidente che i partiti, da soli, non sono più in grado di rigenerarsi e di rigenerare democrazia. Devono sorgere dovunque, in tutte le grandi città, nei quartieri, nei centri medi e piccoli, nei luoghi di lavoro, comitati popolari, assemblee permanenti, laboratori democratici, luoghi d’incontro nei quali si cominci un confronto sui contenuti della svolta democratica tra forze sane e pulite, tra intelligenze vive provenienti da tutti i settori del mondo democratico e di sinistra. La ricchezza della società civile italiana è ancora immensa e inutilizzata. Non dovranno essere incontri “ad excludendum”, non vi dovranno essere criteri di esclusione salvo quelli del rispetto della Costituzione e del rifiuto della guerra. Non dovranno esservi delegazioni di partiti o movimenti, o organizzazioni, ma singole personalità, cittadini che s’incontrano per esprimere insieme decisioni plurali e democratiche, per individuare i candidati unitari in tutti i livelli della rappresentanza popolare. I partiti non spariranno, ma le loro bandiere dovranno rimanere fuori dalla porta, perché si dovrà dare spazio a tutti coloro che non hanno bandiere e sono oggi la maggioranza.

Un movimento di Comitati per la democrazia e per la pace, non necessariamente uguali dovunque, né uniformi quanto a composizione, poiché ogni realtà dovrà produrre le proprie specificità e variazioni, ma che dovrà impedire che il negoziato nazionale rimanga ristretto nelle conventicole di vertice, nelle mediazioni melmose, nei compromessi torbidi.
Da dove partire per costruire e ricostruire

Io credo che l’opinione pubblica democratica, nel suo significato più largo, possa ritrovarsi agevolmente - se non sarà distolta da dispute inutili, fomentate da vertici che non vogliono perdere i loro poteri – attorno a una piattaforma possibile e concreta. I movimenti di questi anni hanno individuato da sé, spontaneamente, le coordinate essenziali, imprescindibili, su cui dobbiamo muoverci tutti insieme per vincere. Esse si riassumono in cinque punti, sui quali m’impegno a proseguire l’azione che ha rappresentato la mia scelta di vita in questi anni.

1)Una scelta precisa contro la guerra, il rifiuto dello scontro di civiltà, perché entrambi sono parte di una logica di dominio dettata dalla globalizzazione liberista in crisi. Una logica oscura e inquietante, del terrore contro terrore, che sta trascinando il mondo verso una spirale autoritaria. Una prospettiva che non può dare vittoria a nessuno, che ci farebbe perdere la libertà, che ci impedisce di sperare nella sopravvivenza dell’umanità. Fermare la guerra significa spezzare questa spirale, in nome dei nostri figli.

2)Una difesa intransigente della Costituzione, il cui spirito e la cui lettera sono stati e sono oggetto di un’opera di smantellamento da parte del governo di destra, coadiuvato dagli alfieri del “revisionismo storico”, grimaldello usato per scardinare i pilastri portanti della nostra democrazia repubblicana, in primo luogo l’antifascismo.

3)Una difesa a tutto campo dei diritti sociali e civili, in nome della solidarietà: verso i deboli delle società sviluppate, che sono milioni, e verso i deboli del mondo esterno, che sono miliardi. Non ci può essere pace senza giustizia, e solidarietà. Non può esistere un nuovo ordine mondiale senza umanità.

4)Una difesa senza compromessi dell’ambiente naturale. Solo ciò che è sostenibile dalla Natura può essere proposto come criterio produttivo e di consumo. Il resto dev’essere respinto come disumano e distruttivo. Solo uno sviluppo sostenibile è sviluppo. E devono essere promossi a tutti i livelli nuovi modi di produrre, consumare, vivere.

5)E un quinto punto, inedito ma assolutamente necessario per una qualunque ripresa democratica del paese: democrazia nella e della comunicazione e informazione. L’immagine del mondo che larghissime masse popolari ricevono dal sistema mediatico è sostanzialmente falsificata. In queste condizioni non è possibile parlare di democrazia sostanziale, perché non esiste democrazia senza informazione. E’ la grande sfida del futuro, non affrontarla significa essere battuti in partenza. Non è impossibile sbugiardare i signori dell’informazione. La forza del movimento democratico – come dimostra il recente esempio della Spagna – può rovesciare il dominio della menzogna. Ma non ci si può affidare a una risposta episodica, spontanea, emozionale. Bisogna creare gli organismi per una lotta di questo genere. Essi non ci sono ancora, ma sono indispensabili per farne una lotta di massa, uscendo dai ghetti della controinformazione “tra coloro che già sanno” per varcare il crinale oltre il quale stanno, inconsapevoli e indifesi, milioni di telespettatori che sono preda del controllo e della manipolazione.

09/06/2004





        
  



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