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La tela di Penelope

San Benedetto del Tronto | Ulivo diviso alle regionali. Salta la lista unitaria. Le scelte saranno compiute a livello locale.

di Tonino Armata

Una giornata amara quella di lunedì 20 dicembre 2004 per chi ha creduto e crede nello schieramento di centrosinistra e nell’Ulivo come le sole capaci d’indicare al nostro paese una via d’uscita dalla crisi, dal degrado non solo economico ma sociale e culturale nel quale è stato precipitato da chi, dal 2001, ci governa. Una giornata amara che ha rivelato quanto i gruppi dirigenti della coalizione siano distanti dai sentimenti e dalle speranze del loro elettorato. Sono passati pochi giorni da quando a Milano, una grande e numerosa platea entusiasta acclamava Prodi al grido di “unità, unità, unità”.

L’eco di quell’invocazione non si era ancora spenta e i leader della coalizione annunciavano di dover rinunciare all’ipotesi, apparsa vincente alle elezioni europee, d’una lista unitaria alle prossime elezioni regionali. Interessi personali e di partito (Margherita), piccoli protagonismi e ambizioni (Udeur e Rifondazione) hanno reso impossibile una soluzione unitaria che qualcuno aveva giudicato, con un eccesso d’ottimismo, a portata di mano, dopo il ritorno in Italia di Prodi. Solo per pudore o per ipocrisia potremmo declassare questa decisione al rango di una battuta d’arresto del processo unitario.

E’ più corretto forse parlare di una sconfitta, che investe i leader dello schieramento che a questo progetto avevano lavorato da più di un anno. Una sconfitta, duole dirlo, anche di Prodi, che dal luglio scarso aveva avanzato per primo la sua proposta di una lista unitaria. Una sconfitta di Fassino che ha impostato, con coerenza e tenacia, tutta la sua azione e lo stesso congresso del suo partito, già convocato per febbraio, su quest’ipotesi politica. Una sconfitta per coloro che, anche al di fuori dei partiti, si erano mobilitati in forme e con iniziative diverse, per sostenere queste prospettive.

Una sconfitta, e un’amara delusione, per tutti quelli che, anche fuori dei partiti e degli schieramenti politici, avevano chiesto e sperato che le varie forze dell’Ulivo volessero e potessero accantonare le proprie divergenze e giungere invece ad una soluzione unitaria, sia nella definizione di un programma sia nella scelta delle candidature.

Una battuta d’arresto o una sconfitta tanto più amara perché giunge nel momento in cui la Casa delle libertà appare, nonostante una formale ricomposizione delle sue fratture interne, divisa su temi cruciali di politica estera, economica, interna. Si veda, la posizione della Lega a proposito dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, l’incredibile richiesta di Maroni di cancellare l’art. 18, la proposta del vicepresidente Follini di azzerare i vertici della Rai strenuamente difesi, invece, dal ministro Gasparri.

Un governo in difficoltà, che sopravvive in virtù di ripetuti voti di fiducia, miserabili espedienti demagogici, vergognose leggi ad personam, cosiddette “riforme” in violazione di principi costituzionali, e che con la sua politica sta mettendo in serio rischio non solo l’uguaglianza dei cittadini e il loro tenore di vita, ma anche la democrazia nel nostro paese.
L’opposizione dovrebbe sentire, oggi più che mai, la responsabilità che grava sulle sue spalle. Sono, a ben vedere, le stesse forze politiche che, uscite dalla crisi della Prima Repubblica, seppero trovare attorno a Prodi, nel 1996, la generosità e l’intelligenza necessarie per mettere insieme culture che erano state non solo lontane, ma anche avversarie, rinunciando ai propri simboli e alle ambizioni personali. Un’operazione, quella del 1996, coraggiosa e generosa, che portò l’Ulivo alla vittoria.

Molta acqua, da allora è passata sotto i ponti. E si potrà discutere a lungo sulle responsabilità di chi non avrà creduto fino in fondo a quell’esperienza, e che hanno, più o meno volutamente, sollecitato il riemergere di pulsioni identitarie, oggi tanto più forti quanto minore è il consenso elettorale. La lunga assenza di Prodi dell’Italia ha, probabilmente, facilitato il riemergere di quelle pulsioni e d’ambizioni personali nei vari partiti che facevano e fanno parte della coalizione.

Il ritorno di Prodi non poteva da solo compiere il miracolo di rivitalizzare un Ulivo che aveva già sofferto troppe ferite. Abbiamo così assistito al riemergere anche tra le forze dell’opposizione di nostalgie proporzionaliste che, assieme al tentativo del Cavaliere di modificare la legge elettorale, hanno sollecitato le latenti ambizioni identitarie all’interno del centrosinistra. Sta anche qui, probabilmente, la ragione o una delle ragioni dell’infelice esito della riunione di lunedì 22 dicembre, di quella che possiamo chiamare più che una battuta d’arresto una sconfitta nel processo unitario dell’opposizione.

Ma un’opposizione che, ripiegata su meschini interessi e giochi di parte, non fosse in grado di proporre al paese una via d’uscita dalla crisi in cui si trova, una via d’uscita credibile attorno alla quale raccogliere quanti sono oggi preoccupati per il proprio avvenire e delusi dalla gestione berlusconiana  della cosa pubblica, un’opposizione incapace di assolvere a questo ruolo, si assumerebbe, non credo di esagerare, una grande responsabilità di fronte al paese.

Le scadenze sono ormai vicine. Il tempo è ormai una risorsa scarsa, il rischio è che si accentui la stanchezza, l’amarezza e la delusione in chi chiedono, invano e da qualche tempo, una maggiore unità a tutti i propri leader. L’ultima vicenda può significare l’inizio di un vero e proprio declino del consenso attorno alle forze dell’opposizione. A meno che, come talvolta accade nella vita e nella politica, la sensazione del pericolo imminente non spinga ad un ripensamento, a un rilancio del progetto unitario sia sul piano programmatico che sul piano organizzativo. Ma chi ne avrà la forza e l’autorità?

26/12/2004





        
  



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