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Mobbing

San Benedetto del Tronto | La riscossa dei “mobbizzati”. Un milione e mezzo di persone subisce atteggiamenti discriminatori.

di Tonino Armata

Il mobbing pare una novità perché è detta in inglese, ma è vecchio come il cucco: in buon italiano si chiama violenza psichica. A differenza di quella fisica, che funziona con chiunque, la violenza psichica funziona solo sfruttando le paure e i lati deboli della vittima. In altre parole: se il bersaglio del mobbing è una persona ben sicura di sé e del proprio valore, molto difficilmente il mobbing potrà riuscire a metterla in crisi. Ma ciò accade di rado: in realtà tutti siamo, chi più chi meno, un po’ insicuri di noi, delle nostre possibilità, del nostro lavoro. Così se l’ambiente ci manda il messaggio “tu vali poco” o “tu non servi a niente” ci crediamo. E in questo “ci crediamo” è il segreto del mobbing, il quale nulla potrebbe, in nessun caso contro di chi non “ci credesse”.

Intendiamoci: reggere una pressione ambientale negativa è difficile. Però si può. Quindi al mobbing resistere è possibile; che poi sia facile è tutt’altro discorso. Le cause per cui un ambiente di lavoro perseguita un suo componente possono essere tante, ma si compendiano in due tipi fondamentali:

A
– L’attacco personale al lavoratore(lavoratrice) scomodo. E’ portato dalla dirigenza aziendale e mira a liberarsi del lavoratore (lavoratrice) aggirando le leggi che lo proteggono.

B
– Il capro espiatorio. E’ un fenomeno che il mondo conosce da sempre, anche quando non sapeva di conoscerlo; se in un gruppo (non solo lavorativo) si creano per qualsiasi motivo tensioni eccessive che potrebbero destabilizzarlo, è facile che esse si scarichino su una persona: in tal caso tutte le colpe sono sue e il perseguitarlo è vissuto come “giusto” dal gruppo, il quale in tal modo scarica le proprie tensioni senza assumersene la responsabilità la persona scelta come capro non è necessariamente la peggiore; anzi, spesso è la migliore quella che suscita invidia, e altrettanto spesso è debole o almeno mite.

Il mobbin è un germe pericoloso che corrode lentamente animo e mente di chi ne resta vittima. Si calcola che in Italia siano un milione e mezzo i lavoratori (lavoratrici) soggetti a questi comportamenti che, con gradualità e modalità diverse, hanno intenti discriminatori nei confronti del lavoratore (lavoratrice) e possono essere messi in atto dal datore di lavoro, da un superiore, da colleghi, o anche da persone gerarchicamente sottoposte alla vittima: il tutto con la tolleranza dei vertici dell’azienda.

L’habitat ideale di questo fenomeno (in preoccupante aumento) sono gli uffici (redazioni di giornali, redazioni di case editrici supermercati ecc.) dove s’instaura un cattivo clima interno, spesso legato a situazioni di crisi e a una gestione del personale dai toni e dai metodi arcigni. Così, se da una parte nulla sembra annunciare una legge capace di tutelare i lavoratori (lavoratrici) vessati, dall’altra si calcola che il danno economico provocato dall’emarginazione di milioni di persone dalle loro funzioni si aggiri intorno ai cento miliardi di euro, giacché lo stipendio di un “mobbizzato” costa alle aziende il cento per cento in più.

Ora però anche in Italia i “vessati” hanno dato vita a diverse associazioni, decidendo di uscire dal silenzio. Il MIMA (Movimento italiano mobbizzati associati) è una delle associazioni che offrono assistenza, affiancando i lavoratori (lavoratrici) nella difesa legale della propria dignità e del posto di lavoro e nel recupero psicofisico. In più si tenta di fare pressione affinché anche in Italia sia scritta una legge di tutela, simile a quella che c’è in Svezia, dove il mobbing è un reato penale. Fin dal 1994.

www.mimamobbing.org  -  telefono 064510843

25/01/2005





        
  



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