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Intervista allo scrittore Massimo Carlotto: il re del noir fra i protagonisti di "Voci nella città"

| FALCONARA MARITTIMA - Considerato uno dei maggiori esponenti del noir mediterraneo, Massimo è uno scrittore eclettico, capace di sperimentare e di sperimentarsi.

Occhi celesti, barba brizzolata e accento che tradisce le origini venete.

Massimo Carlotto è un grande uomo, anche se meno grande di come te lo aspetti.
Nelle dimensioni fisiche, s’intende.

Perché la statura intellettuale e umana si percepisce al primo sguardo, si capisce dalle prima parole. Perché non tradisce le attese di chi l’ha conosciuto attraverso il “Il Fuggiasco”, “Le irregolari”, la serie dedicata all’Alligatore o, l’ultimo racconto, “Niente, più niente al mondo”.

Considerato uno dei maggiori esponenti del noir mediterraneo, Massimo è uno scrittore eclettico, capace di sperimentare e di sperimentarsi nelle sceneggiatura di un film, nella stesura di un monologo teatrale o nel plot di una fiction.

Come dice lui stesso, è “un autore in genere, più che un autore di genere”. Insieme al fotografo Paolo Mazzo, è stato coinvolto dal Comune di Falconara Marittima nel progetto “Voci nella città”, un’idea pensata per far rivivere luoghi inusitati, spazi inediti attraverso la scrittura rabdomantica di quattro autori e lo sguardo nomade di altrettanti fotografi. Con immagini e parole, Paolo e Massimo racconteranno quindi, a modo loro, l’Isola artificiale utilizzata per lo scarico del greggio, la vita degli operai che vi trascorrono spesso la notte. Ieri, dopo una visita  guidata alla raffineria, abbiamo girato in città, cercato un tabacchi che vendesse toscani, fatto due chiacchiere davanti a una tazza di cioccolata calda. Niente calvados, però…

Massimo, il racconto che scriverai per “Voci nella città” avrà sfumature gialle?
No, non sarà un giallo. Ho già una serie di idee e la necessità di esprimere un punto di vista. Sarà un racconto scritto in forma teatrale, forse a due voci. Testo e fotografia avranno lo stesso peso all’interno del lavoro. Io e Paolo abbiamo già realizzato alcune cose insieme, ma è la prima volta che lo facciamo così direttamente.

Il giallo è stato a lungo considerato un genere minore. Ora sta vivendo la sua riscossa. Come mai?
Perché il giallo è diventato la letteratura della realtà, un modo importante per raccontare l’Italia, e non solo. Sta coinvolgendo molte persone. Pensa che ci sono lettori che mi inviano fascicoli di casi giudiziari, c’è gente che mi consiglia le storie da raccontare. “Il maestro dei nodi” e “Niente, più niente al mondo” sono nati da queste indicazioni. Vedi, oggi non esiste più il giornalismo di inchiesta, così il romanzo giallo lo sta in qualche modo sostituendo. Si intravedono però i segnali di una crisi del genere, perché si sta appiattendo su una dimensione legalitaria più del governo. Nella maggior parte dei romanzi sono sempre i poliziotti ad indagare. Questo non va bene, bisogna trovare un modo più moderno di scrivere.

Quindi, per scrivere i tuoi romanzi, ti ispiri sempre a fatti di cronaca realmente accaduti?
Sì. Anche il prossimo romanzo sulla fuga degli industriali del nord-est e un altro, ambientato in Sardegna, sulla criminalità economica, sono ispirati a storie realmente accadute. E’ un lavoro di ricerca molto faticoso.

In alcuni dei tuoi libri hai creato dei personaggi estremamente negativi, molto difficili da digerire. Perché, è una provocazione o una tua personale concezione della natura umana…?
I lettori si arrabbiano parecchio per questo. Ma io non credo che una persona possa delinquere dal lunedì al venerdì e poi, nel fine settimana, collezionare francobolli o trasformarsi in un filantropo. La nuova criminalità è terribile. “Arrivederci amore ciao” ha rotto gli schemi rispetto al modo di descrivere il cosiddetto male. E’ cambiato anche il modo in cui il criminale si rapporta al mondo. Oggi, all’interno della sfera criminale, le donne non hanno più diritti. Ho ascoltato testimonianze agghiaccianti di ragazze albanesi portate in Italia e costrette a prostituirsi…

Quanto conta la musica nei tuoi libri, dal blues dell’Alligatore ai titoli dei tuoi romanzi: “Arrivederci amore ciao”, “Niente più niente al mondo” e, quello prossimo ad uscire,  “E dimmi che non vuoi morire” ?
Conta molto. La musica è molto importante e anche il ritmo del testo, ci penso spesso. Mi piace distruggere le canzone con i titoli dei mie libri. Certe volte penso: ma che c’avete da cantare? La canzone ha un grande ruolo.

Stai scrivendo la sceneggiatura di una fiction per Mediaset. Di che parla?
E’ un noir ambientato nel nord est. Protagonista una grande famiglia di industriali. Una storia in quattro puntate. Ci sto lavorando da parecchio con Marco Videtta (story editor di famosissime fiction televisive fra cui anche il “Ris”, ndr). Vorremmo fare una televisione di qualità e portare i lettori dei miei libri davanti alla Tv. Abbiamo già in mente un noto regista di cinema a cui affidare direzione della fiction e anche un attore molto apprezzato dal pubblico per il ruolo del protagonista. Ma non ti posso dire altro. Comunque, credo che la televisione non vada abbandonata a se stessa.

Se la tua vita non fosse stata segnata dalla tua vicenda giudiziaria, saresti comunque diventato uno scrittore?
Probabilmente avrei fatto il farmacista, sono un vero esperto di medicine. Però non ho nessun rimpianto. “Il fuggiasco” l’ho scritto perché in Francia mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza in un libro. L’ho fatto e il libro ha avuto successo. Ma non ho mai trovato nessuna valenza terapeutica o salvifica nella scrittura.

18/02/2005





        
  



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