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Musica, comunicazione, mondo giovanile e...scuola.

Cupra Marittima | Intervista a Paolo De Bernardin, giornalista di origini cuprensi da sempre legato al mondo della musica ed esperto di mezzi di comunicazione.

di Eleonora Camaioni

Paolo De Bernardin esordisce, nei primi anni ’70, come disc-jockey in radio locali e come  presentatore in alcune televisioni private. E’ co-fondatore, nel 1975, di una delle prime radio private d’Italia, Radio 102- San Benedetto del Tronto.

Inizia a lavorare in Rai nel 1978, due anni dopo fonda il mensile di musica “Rockstar”. Collabora con vari giornali e riviste fra cui “Musica” di “Repubblica”, “Free Magazine”, “Etnica & World Music”, “Il Quotidiano.it”. Dal 1998 è l’ideatore e direttore artistico del Festival “Radici” di San Benedetto del Tronto e collaboratore del Festival marchigiano “Il Violino e la Selce”, diretto da Franco Battiato.

Oggi si occupa di produzione di giovani artisti e attualmente sta tenendo un corso dal titolo “Tra cinema e musica. Linguaggio e rappresentazione nel musical”, organizzato a Cupra Marittima dal Centro Culturale “Jacques Maritain”, in collaborazione con il Comune, la Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto e l’Associazione “Arancia meccanica”.

Qual è la situazione del panorama musicale attuale?
C’è una crisi totale del mondo discografico, non della musica. Oggi sono i mezzi di diffusione ad essere in crisi. La buona musica c’è sempre, ma non viene mai scoperta perchè i media ufficiali tendono sempre a rispondere al discorso massificato delle multinazionali. Automaticamente la crisi diventa una crisi di domanda perché l’offerta è un’offerta massificata che non risponde ad una domanda di qualità.

Da sempre impegnato nel mondo della radiofonia, dell'editoria e della televisione, che cosa l’ha spinto a “salire in cattedra” e tenere un corso di aggiornamento per docenti e studenti, che affronta il rapporto tra cinema e musica?
Ho accettato la richiesta del Centro Culturale “Jacques Maritain” perché mi interessa il rapporto esistente tra cinema e musica pop/popolare intesa non nel significato italiano di musica tradizionale o folk, ma in quello anglosassone di musica legata al gusto della gente, mutabile a seconda dei decenni. Inoltre sono convinto che sia fondamentale la funzionalità della musica rispetto all’immagine. Per questo motivo il corso si propone come viaggio che dalla presentazione delle partiture orchestrali dei grandi compositori europei, trasferitisi ad Hollywood, passando alle canzoni più popolari del ‘900, filtrate attraverso le immagini dei musical più celebri della storia di Broadway, approderà ai giorni nostri.

Nel primo incontro ha parlato di “parziale chiusura da parte della scuola e delle istituzioni nei confronti di corsi come questo”. Quali sono le motivazioni?
Il mio riferimento, più che la scuola, riguardava istituzioni e funzioni pubbliche che dovrebbero avere maggior interesse verso la formazione dei giovani, per dare loro degli interessi diversi che non siano quelli massificati imposti dalla società. Il discorso è abbastanza complesso. Infatti, anche i più attenti alla formazione, a volte, sono un po’ fermi a quelli che sono i canoni, i metodi della classicità, di quella che viene considerata l’Accademia. Si dovrebbe fare come in America, un paese che, pur avendo alla base economica l’idea della massificazione e dello sfruttamento industriale della cultura, ha un rispetto maggiore per la cultura contemporanea. Nella storia della musica non ci può fermare a Mozart e Beethoven, certo bisogna conoscerli, ma si deve andare avanti e confrontarsi con la realtà di oggi che non è soltanto quella che i media ufficiali ti fanno conoscere.


Che cosa differenzia la cultura musicale italiana da quella americana?
Gli Americani, da sempre, puntano molto sul concetto di evoluzione del Pop, di un concetto di musica popolare che si evolve a seconda dei decenni. Per noi, oggi, la musica Pop è solo la musica leggera alla radio. Indubbiamente è anche quello, però esistono ben altri tipi di musica che i più non conoscono, ma che potrebbero conoscere semplicemente navigando in Internet.

A proposito di Internet e dei mezzi di comunicazione in genere, qual è o quale potrebbe essere, secondo lei, il ruolo di questi strumenti di comunicazione nella scuola di oggi?Attualmente il sistema informativo viaggia principalmente su Internet anche se bisogna sempre verificare le fonti di informazioni. E’ chiaro che se quello è il mezzo attraverso cui i giovani parlano, scambiano idee, si confrontano bisogna adeguarsi ai tempi. Però non è bene lasciare i ragazzi da soli a cercare informazioni nel mare “magnum” della Rete. Se i giovani fossero lasciati liberi ed autonomi di navigare in Rete sarebbero i primi ad essere  condizionati da quella che è l’offerta musicale del mercato e si troverebbero di fronte fenomeni che il mercato gli propone anzi gli impone. In campo musicale, su Internet, emergono molti fenomeni passeggeri che durano due mesi e poi scompaiono nell’oblio. Sarebbe ideale la presenza di una guida che aiuti i giovani nella ricerca di interessi particolari, diversi, di nicchia. Chi meglio di un insegnante? Da qui nasce la necessità di una formazione ai e con i mezzi di comunicazione per gli insegnanti.

Quale consiglio darebbe ai giovani sambenedettesi che vorrebbero avvicinarsi al mondo della musica?
Innanzitutto posso consigliare loro di conoscere i classici, studiarli e approfondirli. Per esempio per quanto riguarda la canzone sono stati determinanti gli anni ’30 e ’40. Oggi sembra che nessuno li vuole ricordare, però poi accadono strani fenomeni. Arriva un Michael Bublè della situazione che tira fuori un vecchio successo di Frank Sinatra e diventa un divo. E’ stato fatto un esperimento in un negozio di musica: un gruppo di ragazzi stava visitando il negozio, la commessa ha messo su un disco di Sinatra e i ragazzi hanno detto “C’è Michael Bublè”. Per non cadere nell’errore è bene, allora, che i ragazzi sappiano che è esistito un Sinatra che nel ‘900 è stato chiamato “The voice” proprio perché era l’eccellenza della voce e dell’interpretazione. E che sappiano anche che molti dei nostri genitori, quelli che erano più legati al discorso americano, hanno studiato l’inglese sui testi delle canzoni di Sinatra, tanto era perfetta la dizione. Bisognerebbe che la scuola punti anche su queste cose, faccia conoscere quella che è la cultura sociale dei popoli attraverso le canzoni.

01/03/2005





        
  



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