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Alfredo Barbizzi: un artista poliedrico

Ascoli Piceno | Intervista all’artista piceno Alfredo Barbizzi dopo la conclusione della personale delle sue opere.

di Rossella Rinaldi

 
Abbiamo incontrato l’artista piceno Alfredo Barbizzi dopo la conclusione della personale delle sue opere, che ha avuto luogo al Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli.

La mostra
ha riscontrato un buon successo di critica e di pubblico, e prossimamente ne è prevista una presentazione a Roma, presso il palazzo della residenza del Balì del Sovrano Militare dell’Ordine dei Cavalieri di Malta.
 
Ha scelto Ascoli Piceno come vetrina per il suo rientro come professionista nel ramo della pittura, può dirci come mai?
Sono un Ascolano d.o.c., nato in via Ponte Oscuro, a venti metri da Piazza Roma, in una città magica. Noi ascolani siamo soliti non considerare la nostra città, siamo soliti denigrarla, beffeggiarla, siamo abili a lamentarci di quanto sia poco viva e vivibile, ma lei ci risponde sempre con la sua “magia”; ci lascia insultarla ma ci attira a sé, come una Calipso. Io mi sento figlio di queste mura e della grande civiltà che le ha innalzate, sento che mi appartiene. Non avrei potuto inaugurare la mia prima nuova mostra di pittura in un altro luogo che non fosse Ascoli Piceno.
Nel 1988 ero considerato un discreto disegnatore e pittore. Ho iniziato a Firenze, dove, seduto di fianco ad un altro “artista di strada” che riproduceva su carta, con china, i bellissimi monumenti della città del giglio, anch’io schizzavo e vendevo ciò che producevo. In quel periodo credevo che la scuola migliore fosse il confronto con i grandi tecnici del tratto, e Firenze ne aveva, e ne ha tutt’oggi, tantissimi, forse i migliori in circolazione. Il periodo fiorentino è stato magnifico, ma anche faticosissimo. Mi allenavo fino a tarda notte, fino a quando non mi sentivo soddisfatto.
Ma l’arte pittorica, o quella del disegno non sono solamente capacità tecnica o ed espressione dell’animo dell’artista, sono anche un confrontarsi con Sé stesso. Tornato nel mio “utero-Ascoli Piceno” ho sentito il bisogno di fare un cammino interiore. Ho iniziato gli studi accademici in Psicologia e Antropologia, e aiutando me stesso prima, e gli altri poi, ho potuto crescere come persona. La pittura, comunque, non l’ho mai abbandonata, anzi l’ho evoluta ma mano che mi evolvevo come persona.
Per tantissimi anni ho sperimentato nuove tecniche. Mi sono liberato di vecchi schemi. La mia pittura si evolve velocemente, e questo dal 1995, quando un gravissimo incidente automobilistico mi ha costretto a mettermi in discussione. Ho provato sulla mia pelle cosa significhi essere vicino alla morte, più volte sono stato sul punto di attraversare quella sottilissima linea di confine tra una vita e l’altra.
Paralizzato sopra un letto, ho iniziato a vedere il mondo da angolature diverse. E tutto ciò che prima credevo dovesse essere il mio futuro lavorativo, cambiava continuamente.
E così la pittura ha sovrastato ogni altra passione. Ma il braccio destro non rispondeva più come prima, e i tratti non erano più così limpidi e decisi come quelli del passato.
Poi un giorno ho preso dei colori e da lì è iniziato un cammino sperimentale che è ancora in atto. Abbandonai i pennelli e la matita e iniziai a “giocare” con i colori, facendomi trasportare da quel brivido energetico che ogni volta mi attraversa e mi avvolge.
 
Quindi è stato un grande dolore a farla  ritornare alla pittura. Potremmo dire che dipingere le  serve e le è servito come gesto terapeutico?
Sì, dipingere e scrivere. Ho pubblicato cinque libri con due diverse case editrici, una toscana “Ibiscos” e l’altra ascolana, “Universo Parallelo”. Anche scrivere è la mia passione. Quest’ultima mi consente di esprimere la sensazione del momento, di trasformare artisticamente la materia in emozione. La pittura è senza dubbio la voce della mia essenza.
 
I suoi quadri sono realizzati con il solo uso delle mani, questo la fa sentire diverso dagli altri pittori?
Credo che ognuno debba trovare la propria strada per esprimersi. Io ho bisogno di fisicità. Vivo in una fantasia vulcanica, ciò che sono ora è diverso da quello che sono stato un istante fa. Quando penso a un progetto, lo stesso mi sembra vecchio, perché un altro ne ha già preso il posto. Ho quindi il bisogno di pareggiare la fantasia con la realtà, con il contatto fisico. Massaggiare il colore con gioia, è per me una forma di riequilibrio. Spero che questa mia necessità interiore emozioni chi guarda. Se dipingo lo faccio per me e per chi viene colpito dalla mia arte. Non posso e forse non voglio essere amato da tutti, non ho questa presunzione, a me basterebbe sapere che al mondo esiste una persona che si emoziona vedendo i miei quadri.
 
Per informazioni sull’opera di Alfredo Barbizzi si può visitare il suo sito web www.albazido.com

15/04/2005





        
  



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