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Karol Wojtyla: il pontificato che segna un’epoca

San Benedetto del Tronto | Fede, politica e coraggio il mondo del papa polacco.

di Tonino Armata


Sono non credente. Ma questo Papa mi è sempre piaciuto per come si è mosso e ha agito nel mondo.

Giovanni Paolo II è stato anche un Papa mistico e Papa poeta. Della sua capacità di tenere la scena e di interpretare i riti in chiave mediatica, in sostanza della modernità del suo carisma, se né parlato a lungo, del resto le modalità irripetibili del suo pontificato sono sotto gli occhi di tutti e credo che molto a lungo vi rimarranno.

Avevo meno di quarant’anni quando Karol Wojtyla divenne Papa, e ora che faccio parte della categoria degli anziani, voglio ricordarmi le immagini più nitide di questo lungo pontificato, quelle stampate nella mente. Giovanni Paolo II, lo sappiamo, ha cambiato gli equilibri del mondo, ha contribuito dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, alla dissoluzione del comunismo nei paesi dell’Est, ha messo in guardia l’Occidente dal rischio di un capitalismo brutale: sappiamo che è stato l’uomo più importante della storia degli ultimi decenni.

Ha traversato il mondo in lungo e largo, è salito e sceso mille volte per le scalette d’aerei intercontinentali, ha parlato con i politici più potenti del globo, spesso li ha convinti, talvolta li ha turbati (vedi Bush sulla guerra preventiva): però io ricordo soprattutto quelle feste caciarone di bambini e donne e anziani entusiasti.

E’ andato lontano, ma è rimasto molto vicino alla sua gente.
Ha parlato mille lingue, ha ragionato di alta politica e teologia, ma ha detto anche “Damose da fa’” ai suoi nuovi concittadini. Damose da fa’: non lasciamo che la pigrizia, la noia, lo scoramento ci rendano insensibili alla miseria che abbiamo attorno, a un passo, al semaforo, all’angolo di casa.

E un’altra immagine resta indelebile nella memoria, adesso che il Papa è morto: la foto di Giovanni Paolo II inclinato in avanti ad ascoltare Ali Agca nel parlatorio di Rebibbia. La parete spoglia, il finestrone alle spalle, e quei due uomini (il killer e il ferito, l’offesa e il perdono) che parlano fra di loro. E’ l’emblema più commovente e drammatico della nostra vicenda terrena.

Due misteri si sfiorano e si confrontano: l’uomo nero simbolo dei labirinti più foschi della politica, degli infiniti complotti di cui mai sapremo nulla, e l’uomo bianco, simbolo del mistero della fede ultraterrena, della pace che scende dal cielo o da chissà dove. Cosa si sono detti in quella conversazione privata nessuno potrà mai saperlo, e se lo sapessimo forse non capiremmo.

Ecco cosa mi rimane di questo Papa: la festa e il mistero, l’allegria della gente attorno a lui e quelle due teste a parlare piano di ciò che a noi disperatamente sfugge.

Per finire, penso che quando si dice la Chiesa, si dicono tante cose e tante diverse realtà con una parola sola: la comunità dei fedeli, le congregazioni religiose, i sacerdoti che amministrano i sacramenti, i vescovi successori degli apostoli, la Curia dei ministeri vaticani, il Papa che guida, decide, rappresenta in terra il legame tra le anime credenti e il Cristo che venne ad indicare la via della salvezza e della nuova alleanza.

Sabato 2 aprile alle ore 21 e 37 mentre la vita del Papa si spezzava, la Chiesa è stata tutte queste cose insieme. Il mondo dei fedeli, le famiglie, i bambini, i giovani, gli anziani, hanno pregato, hanno pianto, sperando di poter riascoltare quella voce nelle basiliche, nelle parrocchie, nelle piazze di tutto il mondo. Non solo i fedeli cattolici, ma i cristiani delle osservanze evangeliche, ortodosse, anglicane, gli ebrei delle sinagoghe, “fratelli maggiori” come li definì Giovanni Paolo II.

05/04/2005





        
  



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