“Sbalorditivo”, è stato solo uno dei tanti commenti all’intervento del filosofo ieri al Centro Congressi San Martino. Due ore circa di relazione introdotta dal sindaco di Fermo Di Ruscio e da Antonio Santori direttore artistico del festival Europe. Al termine, la folta platea ha chiesto a Massimo Cacciari di continuare il suo intervento tanto il tema e, soprattutto l’oratore, avevano coinvolto l’uditorio.

 

“Io sono in quanto costruisco la mia dimora”, questo il filo rosso che ha legato la magistrale lezione che ha spaziato da Platone a Nietzsche, da Heiddeger a Cartesio, da Simmel a Weil. Ma qual è la nostra dimora? Il nomade ha il suo tappeto, gli ateniesi di cui parla Tucidide prediligono la nave, i romani hanno l’urbs, la città eterna che, specie con i cristiani della grande teologia della storia (Agostino, Ambrogio, Tertulliano), è mobilis, si espande e si ripropone con il mito della traslatio imperii, delle tre rome: Roma, Bisanzio, Mosca.

 

L’abitare allora è anche un andare, un procedere dalla città degli uomini verso la città di Dio che, però, è già nel mondo, è incarnata, ma va realizzata, e si completerà, sarà perfetta solo altrove, nella trascendenza. Un cammino, allora.

 

Ed oggi? Oggi che le radici sono tagliate, e che la storia è storia di commercio, di denaro (“maledetto fiore” scrive Dante parlando del fiorino), c’è nostalgia dell’abitare, afferma Cacciari, e di costruire diversamente la nostra casa. E la nostra casa altro non è che la nostra anima, che c’è, che abbiamo dimenticata, e che va riscoperta ed educata. Compito della filosofia, di quella vera.

 

Agli amministratori pubblici (Cacciari è sindaco di Venezia) e agli architetti il compito (soprattutto il rovello di una domanda) di una conservazione nobile e di un nuovo che non vandalizzi, difesa dei profili stupendi della laguna ma anche dei colli fermani.