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Italiani senza onore. I crimini di guerra in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)

Porto San Giorgio | Un prezioso contributo per la ricostruzione della storia italiana del XX secolo e della nostra memoria nazionale

di Enrica Mataloni

La presentazione del libro "Italiani senza onore. I crimini di guerra in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)" avvenuta ieri presso la Sala Max Salvadori della Società Operaia, ha costituito un interessante appuntamento culturale e ha fornito numerosi spunti di riflessione storica.

All’incontro, frutto della collaborazione tra l’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione di Fermo e la Società Operaia di Mutuo Soccorso “Giuseppe Garibaldi” di Porto S. Giorgio, hanno preso parte, oltre all’autore del volume, professor Costantino di Sante – ricercatore presso l’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione delle Marche e responsabile della Biblioteca Provinciale di Storia Contemporanea di Ascoli Piceno – il professor Filippo Ieranò, Presidente dell’Associazione “Casa della Memoria” e Antonio Intelisano, Procuratore militare della Repubblica.

 A Ieranò il compito di introdurre la discussione e presentare il libro, da lui definito un importante documento storico, in quanto offre un fronte di riflessione di gran significato su un argomento ancora troppo sconosciuto e alquanto scabroso della storia italiana, vale a dire la Campagna di Jugoslavia.

Tale scontro, ricordiamo, fu voluto da Hitler, che perseguiva il disegno di penetrazione della Germania nei Balcani. L’Italia si accodò e ne ricevette benefici territoriali. Il conflitto iniziò il 6 aprile del ’41 e durò solo undici giorni, il 17, infatti, il governo jugoslavo firmava la capitolazione. Il regime di occupazione italiana, tuttavia, fu duro e crudele; molti partigiani e civili furono uccisi o internati nei campi di concentramento. A luglio in Jugoslavia nacque la resistenza, che contribuì con gli Alleati alla cacciata dei tedeschi dalla penisola. L’8 settembre le forze italiane si disgregarono e molti dei nostri militari si unirono ai partigiani slavi. Tuttavia, fino ad oggi, poco si è saputo della crudeltà ed efferatezza dimostrate dalle truppe italiane in tale frangente storico.

Il volume del professor Di Sante ha pertanto l’obiettivo di disseppellire i fatti che riguardano l’operato degli ufficiali italiani in Jugoslavia; atteggiamento questo indispensabile, a detta di Ieranò, in un momento storico in cui si cerca di chiudere il capitolo della II Guerra Mondiale conferendo, erroneamente, pari dignità a tutte le parti, agli aggressori come alle vittime, ai fascisti come ai partigiani.

E’ l’ora invece di sfatare il mito del “bravo soldato italiano”, perché accanto a molti che meritarono questa definizione ce ne furono altrettanti che si macchiarono di crimini atroci. Di Sante cerca dunque di fare chiarezza su questo tema, ovviando alla mancanza di conoscenza su quest’importante capitolo della storia nazionale che riguarda il conflitto italiano orientale.

Ad Intelisano è spettato invece l’arduo compito di chiarire la questione cruciale del dibattito: perché non ci fu una Norimberga italiana? Terminate le ostilità, infatti, i crimini commessi dagli ufficiali italiani non furono puniti e il tentativo da parte loro di dissociarsi dal comportamento dei tedeschi, con fine giustificazionista, non può essere ritenuto sufficiente. Fu colpa allora della “Ragion di Stato”- la Germania dell’Ovest cercava di entrare nella NATO e non era il caso di riaprire vecchie ferite legate all’alleanza con l’Italia – oppure, come sostiene Di Sante, dopo che l’Italia aveva chiesto l’estradizione dei militari tedeschi macchiatesi di crimini di guerra, non poteva essere accusata delle stesse colpe da Tito? Una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sta cercando di sciogliere il nodo, tuttavia, ha sottolineato Intelisano, a differenza della storiografia, che esamina vicende e ideologie intramontabili, la magistratura prende in considerazione le persone: molti dei responsabili dei fatti jugoslavi potrebbero essere morti e i loro reati caduti in prescrizione.

E’ a questo punto, dunque, che si rende indispensabile una disamina storiografica condotta con serietà e rigore scientifico, perché la memoria non si perda e l’Italia sia sempre più consapevole della propria identità storica.

Dopo aver messo in luce questi argomenti il dibattito di ieri ha attraversato parte della storia italiana fino ai giorni nostri, corsi e ricorsi storici che spesso additano il nostro come il Paese delle verità negate, perché nascoste dietro il velo del “segreto di stato”, dai crimini di guerra, alle BR, fino ai delitti di mafia. Condanna questa alla quale l’Italia, sia attraverso la storiografia sia con la magistratura, sta cercando di ribellarsi. Ne è un esempio la storia della Campagna di Jugoslavia del ’41, che ora sta lentamente uscendo da un lungo periodo di silenzio e indifferenza a cui una colpevole amnesia l’aveva rilegata.

23/10/2005





        
  



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