Viaggio in Ecuador
Porto Sant'Elpidio | Hanno 17 anni, sono stati in Ecuador e ora... non bevono più Coca Cola
di Francesca Ripa
Giacomo, Letizia ed Erica hanno 17 anni. Un giorno a scuola sono giunti 4 ragazzi dell’Ecuador a raccontare del loro paese e a proporre uno scambio. Stanchi di sentirsi raccontare le cose, curiosi di guardare con i propri occhi hanno deciso di mettersi alla prova e di partire. Il viaggio è stato organizzato da Don Franco e dall’associazione Noi ragazzi del mondo. Destinazione Ecuador, nelle tre città di Quito la capitale, Ibarra e Riobamba. Ospiti rispettivamente delle tre associazioni di solidarietà Muchacos Solidarios, Fondacion Christo de la calle e Mano amiga.
“Sembrava l’Italia di cinquanta anni fa!”, arretratezza e povertà. Non è stato un giro turistico, passato a fare foto ricordo e a comprar souvenir.
Hanno visto bambini prostituirsi all’angolo della strada. Altri, i più fortunati, guadagnare 25 centesimi di dollaro come lustra scarpe. Hanno visto militari occupare il suolo cittadino. Povertà e miseria. Sono rimasti incantati per la foresta amazzonica. Scandalizzati per la sua vendita. Arrabbiati per lo sfruttamento del lavoro minorile. Indignati per la privatizzazione del bene più comune l’acqua, che è diventata proprietà della Coca Cola, e se vuoi berla devi comprala al super mercato, ma costa più della Coca Cola stessa.
Non hanno solo osservato dall’esterno ma hanno vissuto con la gente del posto e lavorato con loro, sveglia con il sole a letto con il primo buio per la ristrutturazione a Ibarra di un villaggio turistico, Parcoyuyucocha, che darà lavoro a molti ragazzi del posto.
Questa la vita che Giacomo, Letizia ed Erika hanno condotto per circa un mese. Forse impensabile, eppure ragazzi dell’occidente industrializzato, figli della televisione e della società dei consumi, non volevano più tornare a casa dalla loro vita regolare fatta di agi e di comodità.
“Prima di partire dall’Italia, sapevamo di trovare la povertà ma non sapevamo di trovare l’allegria, l’affetto, e l’accoglienza di questa gente”.
Ora che sono tornati, guardano il mondo in modo diverso: “La vita per noi era fatta solo di studio, famiglia, lavoro e soldi, soldi, soldi, invece ora ti rendi conto che la vita è fatta di tante tantissime altre cose”.
“Questa gente è povera, non ha niente eppure è allegra e felice di dividere quel poco che ha con te, lì ci sono i valori veri, qui se non vesti nike, non sei nessuno e per un paio di scarpe che paghi 100 euro a loro va solo 10 centesimi, questo non è giusto”.
“Qui c’è ansia, ansia per il lavoro, per quello che sei e per come ti presenti. Si va sempre di corsa. Anche scesi dall’aereo, avevamo tutti fretta: Dai muoviti!, su sbrigati! E poi ci siamo resi conto che lì non era così. Se non fai in tempo a fare una cosa oggi, non importa, la fai domani. Si, è vero! Lavoravamo tutto il giorno, ma era bello, ci sentivamo tranquilli e utili, ed era anche divertente lavorare insieme”. Insomma non c’era ansia da prestazione.
Giacomo, Letizia ed Erica sono tornati cambiati, più responsabili e con maggior cognizione di loro stessi. “Prima pensavi che essere un ragazzo non contasse nulla, invece ora ti rendi conto che anche tu puoi fare qualcosa, anche se sei solo un ragazzo. Ci siamo resi conto che prima di cambiare le cose giù vanno cambiate qui. Ora ci stiamo organizzando per allestire bancarelle con prodotti del commercio equo e solidale, facciamo campagna di sensibilizzazione portando la nostra testimonianza in giro e raccontando quello che abbiamo visto ai ragazzi della nostra età, e poi non beviamo più coca cola!”.
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12/11/2005
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