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La Santa Casa di Loreto icona della mistica del quotidiano

| LORETO - Pellegrinaggio e società contemporanea

di Giancarlo Galeazzi


Per introdurre alla riflessione sull’ampio tema del pellegrinaggio, può essere utile chiarire la nozione di pellegrinaggio, e fare specifico riferimento al pellegrinaggio lauretano, sottolineando in particolare i significati che, in senso storico e metaforico, si possono collegare alla Santa Casa, proprio in quanto “casa” e “Casa dell’Annunciazione e dell’Incarnazione”, e come tale reliquia e icona.

Il concetto di "pellegrinaggio" s'iscrive nel più ampio concetto di viaggio, e questo può distinguersi in due tipologie: le forme che hanno una meta e quelle che non hanno una meta. Nella prima tipologia rientrano l'emigrazione (con meta di lavoro) e l'esilio (con meta imposta o scelta), l'esplorazione (con meta di conoscenza o di conquista) e il turismo (con meta di piacere o di istruzione). Nella seconda tipologia rientrano il vagabondaggio (senza meta e a caso) e l'erranza sia del nomade (senza fissa dimora) che del viandante (senza meta e senza posa).
Ebbene, il pellegrinaggio s’iscrive nella prima tipologia, in quanto ha una meta con carattere devozionale, pur diversamente specificata (votiva, penitenziale, ecc.). Tale è il pellegrinaggio in senso esteriore. Ma non va dimenticato che si può parlare di pellegrinaggio anche in senso interiore. In tal caso si può configurare come “viaggio dell’anima” e/o “viaggio nell’anima”. Sia il pellegrinaggio esteriore che quello interiore si articolano in tre momenti: il partire, il percorrere e il pervenire.
C'è -occorre aggiungere- anche un uso metaforico del termine "viaggio": sia in senso esistenziale (il cammino della vita di cui parlava Dante, il viandante, di cui parlava Nietzsche) e in senso religioso (il viaggio ultraterreno di cui parlava ancora Dante).
Anche del termine "pellegrinaggio" c’è un uso metaforico: sia in senso esistenziale (l'homo viator, di cui parlava Gabriel Marcel) sia in senso religioso (il pellegrino dell'assoluto, di cui parlava Leon Bloy).

Il pellegrinaggio e il pellegrino.
Tenendo presente che con il termine pellegrinaggio s’intende indicare un percorso che ha un carattere non solo fisico ed esteriore, ma anche un carattere spirituale e interiore, per cui il pellegrinaggio cultuale diventa allora espressione del pellegrinaggio coscienziale ed esistenziale, si può affermare che gli elementi costitutivi del pellegrinaggio possono essere ricondotti a tre: la soglia, la strada e la sosta.
In primo luogo, il pellegrinaggio si collega all'idea di soglia, cioè di oltrepassamento attraverso la frontiera (per eger) o per la campagna (per ager).
In secondo luogo, il pellegrinaggio comporta l'idea di strada, da intendere non solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale: come odos, via che è esodo, non metodo; in ogni caso, la strada da percorrere rappresenta il senso dell'impegno, che comporta sacrificio e rinuncia.
In terzo luogo, il pellegrinaggio fa riferimento all'idea di sosta: sosta lungo il cammino, e sosta alla meta. Il concetto di sosta ha un duplice valore: fisico e spirituale; in tutti i due casi comporta il senso di un fermarsi, di un interrompere il cammino: o per riposarsi o per essere giunti alla meta.
Gli elementi che contraddistinguevano il pellegrino, e che possono essere assunti come altrettanti simboli della condizione pellegrinale a prescindere dall’epoca in cui il pellegrino si colloca, sono: il mantello, la bisaccia e il bastone.
Il mantello può essere considerato come metafora della adattabilità, cioè del raccoglimento, ovvero della previdenza, cioè della difesa dalle intemperie.
La bisaccia può essere considerata come metafora della essenzialità: la bisaccia è il bagaglio ridotto ai minimi termini; rappresenta l'invito a distinguere tra ciò che è importante e ciò che non lo è, ed anche a riconoscere che l'essenziale è per definizione parsimonioso.
Il bastone può essere considerato come metafora della insufficienza, della mancanza di autosufficienza, della necessità di appoggiarsi a qualcosa che aiuti a procedere e che, all’occasione, possa anche servire per difendersi dai male intenzionati.
Altri elementi possono essere tenuti presenti.: per San Giacomo di Compostela, la conchiglia, per indicare il mezzo naturale per bere acqua, simbolo di sobrietà; e per i santuari mariani, a cominciare da quello di Loreto, il rosario, che può essere considerato come metafora della fiducia che il pellegrino nutre, e che si traduce in questo appellarsi alla intercessione della Madonna; dunque segno della dimensione orante e, insieme, dell’atteggiamento disponibile.
Nel suo caratterizzarsi (oggi in senso solo metaforico) di viaggiatore con mantello, bisaccia, bastone conchiglia e rosario, il pellegrino si differenzia evidentemente dal turista, Tuttavia, occorre aggiungere che la differenza è tutta interiore, perché esteriormente i pellegrini potranno essere scambiati per turisti, e viceversa. Si dovrebbe aggiungere che si può essere insieme pellegrino e turista, e si è l’uno o l’altro a seconda di come si vive l’esperienza del viaggio, e non scandalizzi la mescolanza dei due atteggiamenti: la cosa che conta è che non ci si esaurisca nella dimensione del turismo religioso, ma l'attitudine turistica costituisca solo un aspetto e non il principale, che deve rimanere l'istanza pellegrinale.

I Santuari oggi e Loreto.
In diverso modo le caratteristiche del pellegrinaggio e del pellegrino si ritrovano, addirittura esaltate, nel contesto lauretano.
E’ stato Giovanni Paolo II nel 1993 a sottolineare che “la funzione dei grandi santuari, particolarmente quello di Loreto, nel nuovo contesto religioso di oggi” è di essere “non luoghi del marginale e dell’accessorio, ma al contrario luoghi dell’essenziale, luoghi dove si va per ottenere la grazia prima ancora che le grazie”.
Come ha recentemente affermato il card. Angelo Scola: "oggi più che mai i Santuari mariani svolgono un ruolo decisivo perché sono occasioni privilegiate di coaugulo del popolo di Dio e della sua rigenerazione. Oggi più che mai, infatti, l'uomo spesso smarrito e confuso nella sua acuta domanda di felicità e di libertà, ha bisogno di una dimora".
In questa ottica, il pellegrinaggio lauretano ha una sua specificità, che Giovanni Paolo II nel 1998 indicò come "stile di Loreto", cioè "uno stile fatto di semplicità e di intensità, di bellezza e di verità, di universalità e di storicità, di silenzio e di parola". Ebbene, il pellegrinaggio lauretano può costituire, secondo Papa Wojtyla, l'occasione per "lasciarsi come educare dallo stile di Loreto". E dunque far nostre le sue peculiarità.

Guardando più da vicino il senso di questo stile, e che cosa esso veicola in termini di devozione, possiamo precisare che Loreto, oltre ad essere un luogo religioso privilegiato della fede cattolica, costituisce un fattore identitario per l'intera società italiana (come ha mostrato il volume intitolato Loreto di L. Scaraffia, pubblicato nella collana “L’identità italiana” dell'editrice Il Mulino di Bologna) e a maggiore ragione lo sia anche per le Marche (non è un caso che la Giornata dell’identità marchigiana sia stata collocata il 10 dicembre, festività della Madonna lauretana).
Si tratta di un'affermazione che facciamo dal punto di vista storico e constatativo, e non per voler configurare la religione in termini civili. Il fatto di ricordare che il Santuario di Loreto ha una valenza non solo religiosa ed ecclesiale, ma pure sociale e culturale, serve a evidenziarne la complessa portata.
Ne consegue che contribuire a studiare il significato di Loreto, con particolare riferimento alle forme di pellegrinaggio che vi si realizzano, e al valore della Santa Casa costituisce un’operazione opportuna per molteplici ragioni, ma riconducibili sostanzialmente ad una fondamentale, e cioè che permette di cogliere l’esperienza religiosa nell’orizzonte semantico e metaforico della casa.

Loreto: un simbolismo prezioso
Infatti, la Santa Casa convince il pellegrino che "dove abita Dio tutti noi siamo a casa; dove abita Cristo i suoi fratelli e le sue sorelle non sono stranieri. Così è anche con la Casa di Maria e con la vita stessa di lei: è aperta per tutti noi", puntualizzò il card. Ratzinger nel 1991. E nella stessa occasione aggiunse: "Dove c'è Maria c'è la Casa; dove c'è Dio, siamo tutti a casa, La casa di Nazareth non è una reliquia del passato, essa ci parla del presente e ci provoca ad un esame di coscienza".
Sul fatto che la Casa lauretana ci richiami al senso della casa aveva insistito Giovanni Paolo II, il quale nel 1979 parlò de "la casa come arca dell'alleanza delle generazioni e tutela dei valori umani e divini", auspicando che "la casa di famiglia, simbolo dell'unità e dell'amore, vinca tutto ciò che minaccia questa unità e l'amore tra gli uomini. l'odio, la crudeltà, la distruzione, la guerra". Pertanto, aggiungeva Papa Wojtyla, "ogni casa: sia quella che si costruisce ogni famiglia, sia quella che si costruiscono i popoli e le nazioni" deve essere luogo privilegiato dell'amore, perché solo grazie al vero grande Amore "questa terra, l'abitazione dell'umanità, può diventare una casa, la casa delle famiglie, la casa delle nazioni, la casa dell'intera famiglia umana. Senza amore, senza il grande vero Amore, non c'è la casa per l'uomo sulla terra. L'uomo sarebbe condannato a vivere privo di tutto, anche se innalzasse i più splendidi edifici e li arredasse il più modernamente possibile".

Tra le molteplici suggestioni spirituali e culturali, feconde in particolare per il nostro tempo, vogliamo segnalare quelle conseguenti al fatto, richiamato da Giovanni Paolo II nel 1993, che "la Santa Casa di Loreto non è solo una reliquia, ma anche una preziosa icona concreta", "l'icona non di astratte verità ma di un evento e di un mistero: l'Incarnazione del Verbo". Mi piace al riguardo ricordare che per una delle sue opere più famose, Umanesimo integrale, Jacques Maritain aveva ipotizzato un altro titolo "Umanesimo dell'Incarnazione", perché solo l'Incarnazione rende l'umanesimo veramente integrale.
Ebbene, la Santa Casa costituisce un richiamo a questo umanesimo laico e insieme mistico. Anzi, si può aggiungere che la Santa Casa rappresenta l'immagine di quella mistica feriale tanto cara a Giovanni Paolo II, perché restituisce il senso della quotidianità dell'incontro con Dio. E nulla più della casa dà un senso privilegiato del quotidiano, e nulla più della Santa Casa esprime la valenza quotidiana, feriale, ordinaria dell'incontro con Cristo. Che altro è la mistica cristiana se non (per dirla con Giovanni Paolo II) "imparare Cristo"? Infatti, dobbiamo "non solo imparare le cose che Cristo ci ha insegnato, ma dobbiamo imparare Lui". Bisogna allora riconoscere che la maestra più esperta è Maria, in quanto "nessuno meglio di lei conosce Cristo, nessuno come la madre può introdurci ad una conoscenza profonda del suo mistero".
Anche il cardinale Ratzinger nel 1988 aveva affermato che in Maria "diviene visibile la vera grandezza e la profondissima semplicità della mistica cristiana: essa consiste non nella straordinarietà, nell'estasi e nella visione, ma nel continuo scambio dell'esistenza creaturale con il creatore, così che la creatura diviene sempre più permeabile a Lui, veramente a Lui unita in santa sponsalità e maternità".

Sempre del cardinale Ratzinger vorremmo qui ricordare anche quanto ebbe a dire nel 1991 quando fornì una lettura della Santa Casa come icona per l'uomo e la società di oggi. In quella occasione rilevò che è una casa con solo tre pareti (la quarta non c’è perché è il lato che dava sulla grotta di Nazareth), è una casa caratterizzata dall'apertura: "dunque è come un invito, è come un abbraccio aperto"; insomma una casa accogliente e ospitale nella sua stessa struttura. Non solo: è una casa che i Crociati, quando la trasferirono nel territorio marchigiano, posero sulla strada, dunque una casa pellegrinante e per pellegrini. Ecco perché il card. Ratzinger scrisse: "è una casa -mi sembra- molto strana, perché casa e strada sembrano escludersi: o casa o strada. Ma proprio così si esprime il messaggio vero di questa casa, che non è una casa privata di una persona, di una famiglia, di una stirpe, ma sta sulla via di noi tutti: è una casa aperta di noi tutti. La stessa Casa ci fa abitare e ci fa camminare".
Dunque "un simbolismo prezioso" quello racchiuso in una casa che ha solo tre pareti ed è posta su una strada: significa che "la fede ci fa abitare ma ci fa anche camminare". E lo ha recentemente ribadito l'arcivescovo di Loreto, Gianni Danzi, il quale ha scritto che "la Santa Casa insegna non solo ad abitare nel cuore di Dio, ma anche a camminare con Dio e in Dio per scoprire la grande verità su noi stessi".
La devozione popolare può non essere consapevole di tutto questo, ma proprio di questo si nutre e su questo si basa il pellegrinaggio, che, nel binomio camminare e abitare esprime il suo essere manifestazione di quella ricerca veritativa che, per quanto non abbia fine, ha tuttavia senso, e dà senso alla vita dell’uomo.

Al riguardo va almeno accennato un tratto distintivo del pellegrinaggio lauretano, vale a dire la presenza degli ammalati.
Risale al 1936 il primo treno degli ammalati, e successivamente l’organizzazione di tale presenza è stata sempre più significativa: il che sottolinea la questione della sofferenza.
Il pellegrinaggio diventa allora per il pellegrino malato l’occasione non solo per chiedere grazie in riferimento alla propria condizione di salute, ma anche, e forse soprattutto, per “ripensare la sofferenza”.
Di fronte a questo grande mistero, il santuario lauretano acquista un particolare significato, perché l’Incarnazione è il grande mistero del dolore non spiegato ma assunto in prima persona da Gesù e da sua madre.
Ed è un mistero che interpella l’uomo, e che il pellegrinaggio non attenua, ma pur colloca in un orizzonte che sconfigge la solitudine, e proprio per questo aiuta ad affrontare la sofferenza in un incessante cammino religioso ed esistenziale.

Pellegrini nella postmodernità
Al riguardo, vorremmo ricordare le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel 1993: “la vita umana, la vita del credente, è un continuo pellegrinare. Un pellegrinare anche nella fede”.
Pertanto, ci sembra opportuno integrare una metafora di Zygmunt Bauman, Questi ritiene di dover distinguere nella postmodernità (che egli chiama "modernità liquida" per distinguerla dalla "modernità solida" dell'età moderna) due tipi di esperienze: quella del turista e quella del vagabondo; distinzione non tenuta presente da chi applica il termine di nomade “indiscriminatamente a tutti quelli che vivono nell’era postmoderna”: ciò “induce in grave errore”, in quanto “non fa alcuna luce sulle enormi differenze che separano i due tipi di esperienza e che rendono ogni somiglianza tra di esse apparente e superficiale”; infatti, pur essendo “entrambi consumatori”, essi sono, rispettivamente, versione della “libertà” postmoderna e della “schiavitù” postmoderna.
Ebbene, alle due categorie del turista e del vagabondo aggiungerei quella del pellegrino che può essere considerata come alternativa alle altre due che, per quanto diverse, sono espressioni di “consumatori”, il cui “rapporto con il mondo è prima di tutto estetico”, mentre il pellegrino è “donatore” e si muove in un’ottica “mistica”.
E allora può tornare utile richiamarci a Henri Bergson, e alla sua richiesta di “un supplemento di anima” per il nostro tempo, che ha ingigantito il corpo del mondo materiale, mentre ha lasciato piccola l’anima del mondo spirituale. In questo senso non esiteremmo a dire che la società contemporanea ha bisogno di “pellegrini” e di “pellegrinaggi”, ossia di chi cerca la “grazia” prima ancora che le “grazie”, di chi visita un santuario più o meno noto o il tempio della propria coscienza: in ogni caso con la consapevolezza, richiamata da sant’Agostino che: “in interiore homine abitat veritas” e “veritas est Deus”.
E’ a questo incontro che è finalizzato il viaggio del pellegrino, la cui devozione diventa un’espressione dell’amore cristiano, cui papa Benedetto XVI ha richiamato nella sua prima enciclica Deus caritas est, mostrando che esso coniuga insieme desiderio, dedizione e donazione, per cui tutta la persona ne risulta coinvolta e può dar luogo ad una esperienza che, senza clamore ma con grande intensità, è un’autentica esperienza mistica.

31/03/2006





        
  



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