Archie Shepp Quartet
| RIMINI - Teatro Novelli: il leone incanutito del free non smette di ruggire
di Paolo Rossi
L'idea di dover passare l'intera nottata da solo in stazione non m'intimorisce, non è la prima volta e di sicuro non sarà l'ultima.
Già, perché quando c'è di mezzo un bel concerto è questo il minimo scotto da pagare. Il riminese Teatro Ermete Novelli è situato a non più di cento metri da quel mastodontico albergo in stile liberty a cui l'indimenticato Fellini tributò gloria eterna immortalandolo nelle surreali scene di "Amarcord".
Il Grand Hotel risulta essere l'emblema di un periodo (neanche tanto lontano) a cui si pensa anche con nostalgìa; la parola chiave che individua il filone principale dell'esibizione di ieri sera del grande sassofonista Archie Shepp. I dieci brani riproposti sono infatti spaziati da composizioni originali dei '60 ad arrangiamenti a forti tinte blues di alcuni traditionals. E' l'incedere lento e pensieroso di un gigante che ha alle spalle più di quaranta anni di musica (e che musica! ) , quello di Shepp, e il caloroso tributo del pubblico in sala lo accoglie nel momento in cui posiziona il microfono all'estremità dell'ottone.
Coadiuvato da Tom McClung al piano, da un accigliato Wayne Dockery al contrabbasso e da Steve McCraven alla batteria Shepp si scalda con una "Hope To" da brivido che lo vede protagonista assoluto al sax tenore, dal quale trae ancora senza scalfiture quelle sonorità inimitabili che gli avevano donato l'ingresso nell'olimpo della black music. Tecnica, velocità ed estrema energia sono doti che non sono venute meno col passare degli anni; gli assoli nerboruti e accorati di un tempo sono tutt'oggi distinguibilissimi, l'unico ingrediente che manca pare sia quella veemenza, quella rabbia particolare che lo distingueva in giovane età e che scaturiva dal suo impegno in prima linea per le nobili cause della sua gente.
Quel fraseggio intenso, mai banale, a volte lunghissimo e in altri momenti volutamente singhiozzante (non a torto viene considerato l'anello di congiunzione tra i diversi stili di Rollins e Coltrane) lo si ascolta di nuovo in "Revolution" e "Ujama" ; nessun pezzo tratto dagli storici lavori "The Way Ahead", "Four For Trane" , "Fire Music" o "The Cry Of My People" , ciò che importa però è che Shepp riesca a stupire persino al sax soprano e, sorprendentemente, nel ruolo di vocalist.
L'atmosfera si scarica della tensione accumulata precedentemente con la riproposizione di un paio di brani tradizionali della cultura afroamericana, in cui densissimi blues vengono accompagnati da litanìe spiritual (in un toccante episodio lo stesso batterista viene coinvolto in un canto a cappella) . Insomma, sebbene leggermente stemperato (non potrebbe essere altrimenti) , il grido del free jazz è tuttora vivo e con orgoglio si lascia trasportare dai suoi portabandiera.
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17/05/2006
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