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Perché una Democrazia partecipativa?

San Benedetto del Tronto | Oligarchie globali si fronteggiano nel mondo degli affari e dell'economia, canalizzano la ricchezza, dilapidano le risorse, importano terrorismo ed esportano guerra, controllano l'informazione e la cultura delle masse attraverso i mezzi di comunicazione.

di Tonino Armata



Una rete di rapporti e di scambi globale, nata con la fine dei blocchi di controllo politico, con le nuove tecnologie della comunicazione, favorita dalla celerità e dalla relativa economicità dei trasporti e dei collegamenti, ha generato un mercato totale, orizzontale, pervasivo, multietnico e multiculturale, che si alimenta spontaneamente dai bisogni crescenti di beni e servizi per gli individui, i gruppi, i popoli; bisogni e desideri indotti e pilotati dal marketing, grazie anche alla condizione di sudditanza in cui versa una parte cospicua della popolazione.

Le democrazie odierne, nate alla fine del ‘700 ed ora affermatesi come democrazie neoliberali, in questa classificazione le indico convenzionalmente come Democrazie( ), basate sulla rappresentanza politica e non sono attrezzate per fronteggiare la sfida per il controllo lanciata da questi gruppi di potere economico-finanziario.

I suddetti gruppi hanno facilmente imparato come fare per scalare, proprio come fanno in borsa con le società quotate, prima le istituzioni e le forze politiche, e, dopo, le elezioni, per poter condizionare i rappresentanti eletti dal popolo e, talvolta, eleggerne di propri (vedi clero).
Pensiamo al governo americano, dove non troviamo rappresentanti del popolo (per quanto eletti), ma rappresentanti delle grandi corporation (Goldman Sachs, Halliburton, Chevron e via discorrendo); pensiamo anche al nostro Parlamento Europeo, dove i rappresentanti di elettorati molto lontani (come partecipazione), deliberano in un ambiente pullulante di 15.000 lobbisti delle grandi corporation globali, di più di mille gruppi di pressione, centinaia di imprese di public relation, innumerevoli studi legali di avvocati e di consulenti che offrono servizi di lobby, dozzine di think tank finanziati dalle corporation, oltre alla presenza di centinaia di imprese che possiedono un proprio dipartimento per le tematiche europee; si calcola che il fatturato annuale dell’attività di lobby aziendale a Bruxelles raggiunga annualmente i 1000 milioni di euro( ).

Verrebbe da chiedersi: chi delibera a Bruxelles, le società civili o le società per azioni?
I tradizionali istituti dei partiti politici, in buona misura avulsi dalla società civile e sempre all'affannosa ricerca di consenso e di risorse economiche, necessarie per mantenere le proprie elefantiache strutture, sono anch’essi ormai estremamente vulnerabili al ricatto finanziario, alla manipolazione e alla corruzione; questa colonizzazione dilaga peraltro anche in ambiti dove non avrebbe dovuto trovare spazio, come il mondo della cooperazione, dell’informazione e della cultura, dello sport (vedi lo scandalo del mondo del calcio in Italia), della sanità (Big Pharma), della scienza, dell’arte (grazie al cavallo di troia dell’entertainment), dovunque in pratica.
I partiti politici della rappresentanza, che ci hanno sempre detto: “tranquilli, fidatevi di noi, sappiamo come governare la città, la nazione, il mondo”, ora, invece, non sono più funzionali allo scopo per cui erano stati creati, né sono più affidabili.

Nello stesso tempo, evidentemente non a caso, sale dalla società civile, dai cittadini una nuova domanda di partecipazione: partecipazione e condivisione della conoscenza del perché e del come si governa il Bene Pubblico; partecipazione alla deliberazione sulle tematiche che concernono l’impiego e la salvaguardia dei beni comuni, come il territorio, l'acqua, la mobilità, le risorse energetiche, lo stesso libero mercato; alla decisione sui soggetti e sui progetti ai quali destinare le risorse economiche sovrabbondanti.

Scoppiano così i mille conflitti, a cominciare da quello medio-orientale, di estensione planetaria, per terminare con quello locale della TAV in Val di Susa, laddove la domanda di conoscenza delle motivazioni e di partecipazione alle decisioni è stata elusa.
È vero che i conflitti possono acuirsi con l’allargamento della base di partecipazione alla deliberazione, ma è anche vero che nascono soprattutto quando la partecipazione non è sufficiente, non è coinvolgimento, non è responsabilizzazione.

Ecco che sul problema del reperimento e della produzione dell'energia e dello smaltimento o riciclo dei rifiuti che, a pensarci bene, stanno all'inizio e alla fine del ciclo dello sviluppo, nascono le sindromi del "nimby" ("not in my backyard": non nel mio giardino), lo spazio è sempre più ristretto, l'aria più irrespirabile e tutti noi ci sentiamo prigionieri di forze imperscrutabili, ingovernabili e ineluttabili, estremamente deleterie, rovinose.

Ma non è così, non si tratta di una condanna ineluttabile, che dobbiamo subire per forza( ).
Infine la crisi portata dalla generale globalizzazione è anche crisi del modello di lavoro, della creatività individuale, della libera impresa, delle possibilità di espressione dell’ingegno personale, dello spirito artistico, del dibattito culturale, delle fedi religiose e politiche.
Alcuni cittadini reagiscono: “Non abbiamo bisogno della vostra globalizzazione”.
Si arroccano nelle loro valli, creando bolle di comunità integrali, mentre altri emigrano alla scoperta di paradisi naturali più o meno promettenti.
Occasioni se ne trovano ancora, ma per quanto tempo ancora?

In ogni caso non abbastanza per tutti!
Come risposta a tutto questo, stanno già nascendo forme di economia partecipativa, nuovi paradigmi economico-sociali che varrà la pena approfondire come fenomeni emergenti nello scenario del mercato liberalizzato, perché sono paradigmi che portano alla riscoperta di aspetti dimenticati dalla cultura dominante: responsabilità, solidarietà, sensibilità, ascolto, dialogo, fraternità, comunione.
Da questi valori "etici" si può ripartire per elaborare regole nuove di convivenza civile e d’economia partecipativa, per ricucire un tessuto sociale dilaniato, una coscienza individuale strappata alla propria interiorità, rigenerare l’ambiente degradato, scoprire di poter vivere e svilupparsi insieme, in modo e a velocità naturale ( ).

Da dove partire?
Abbiamo bisogno di ritornare alle fonti del diritto, come la Costituzione Italiana: esaminare come e quanto sia stata tradotta in pratica, quanto di essa sia stato eluso o dimenticato e quanto vada perfezionato e completato.
Nel governo degli Enti Locali, ad esempio i Comuni, dobbiamo riesaminare il ruolo di controllo democratico e di garanzia costituzionale che il Consiglio degli Eletti dal popolo deve assumere nei confronti di un Sindaco-Podestà, eletto dal popolo in base ad un principio maggioritario, e degli assessori della Giunta, da lui stesso nominati.
Un Consiglio che è rappresentativo delle scelte espresse dalla maggioranza degli elettori, contrapposto ad una Giunta che è chiaramente di parte e, talvolta, espressione di una minoranza d’elettori.

Un forte conflitto d’interessi è in capo alla Giunta comunale, la quale ha la possibilità di attrarre consensi politici, elettorali, ricevere e distribuire favori, incassare proventi da oneri d’urbanizzazione, ICI ed altre imposte sulla pubblicità, affitti e tasse dai locali, dai terreni, dai parchi, dai parcheggi e dalle strade.
Il ruolo di controllo e di garanzia del Consiglio comunale entra in gioco all'atto della redazione ed approvazione del Piano Regolatore Generale, lo strumento che detta le regole per l'impiego civile ed industriale del territorio comunale.

I consiglieri dovrebbero svolgere questo ruolo in completa autonomia, vincolati a rispettare e a far rispettare, nei limiti del possibile, le linee di programma per cui sono state scelte dagli elettori, liberi da ogni disciplina di partito e da ogni condizionamento da parte dei gruppi d’interesse; attualmente avviene spesso il contrario, cioè un consigliere viene obbligato alle dimissioni od emarginato se non si allinea alla linea politica del partito o del gruppo che l’ha fatto eleggere.
Allora lo strapotere dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia e Regione, da alcuni denunciato, nasce non tanto da un occulto disegno dell'eversione, quanto dallo scollamento tra il popolo e la sua rappresentanza, una mancata partecipazione dei cittadini alla gestione del bene pubblico e d’attenzione degli eletti alla vita socio-culturale della città.

Non potendo più gli eletti rimanere interpreti fedeli ed assidui della volontà popolare, diventa inevitabile lo scadimento delle loro azioni, prima nell'incapacità di progetto, poi nella mancata attuazione del programma, passando per il danno arrecato al bene comune, per concludersi, talvolta, nell’illegalità e nella collusione con la criminalità più o meno organizzata.
D’altra parte non possono esistere ricette per tutte le stagioni, né sarebbe onesto proporre soluzioni che sono in realtà scorciatoie, utili solo per mantenere lo “status quo ante”.
L’elezione diretta dei Sindaci è una delle riforme istituzionali il cui successo è stato universalmente riconosciuto, ma anche qui bisogna prestare molta attenzione, perché si tratta di un’altra scorciatoia: l'elezione diretta ha sì posto rimedio alla carenza di rappresentanza nei partiti e nelle istituzioni, ma è come un pannicello caldo, la radice del male sta nella mancanza d’autentica partecipazione democratica e nel mancato riconoscimento della sua necessità da parte della rappresentanza politica ed istituzionale; il male va dunque curato all'origine.

Nel nuovo progetto di stato e di governo democratico devono inoltre entrare, a pieno titolo, tutte le nuove realtà della società civile, incastonate come perle preziose in un mosaico: il microcredito, il commercio equo e solidale, la finanza etica, la tutela ambientale, le pari opportunità, la cooperazione allo sviluppo, la pubblicità etica( ).
Le Associazioni e i movimenti per il Partito Democratico, che si stanno consolidando a livello locale, regionale e nazionale, dovranno trovare un rapporto fecondo e stabile con queste realtà, per non rischiare di morire soffocate dal burocratismo e dall'arrivismo, com’è successo e sta succedendo ad altri movimenti politici e della società civile, nati con le più lodevoli intenzioni.

Quale struttura darsi?
Che configurazione potranno assumere i processi di una democrazia partecipativa?
Una rete di reti, inclusiva, a maglie orizzontali, solidale e partecipata?
O una rete esclusiva, egemonica, centripeta, monopolistica?
Molto dipenderà da chi e da dove verrà gettata, da chi controllerà le maglie, da come verranno annodate fra loro.
Ogni rete reale non si estende all'infinito, il controllo può stare ai margini, come nei singoli nodi, come nelle maglie di collegamento tra un nodo e l'altro.

Se di controllo ci sarà bisogno, esso dovrà emergere dal basso, la rete democratica troverà nei nodi e nei gruppi di nodi (anch’essi reti), tra loro rapportati, il proprio strumento d’auto-organizzazione.
L'organizzazione sarà come il buon frutto dell’implementazione di questa miriade di rapporti di solidarietà e di partecipazione, rete di rapporti eterocentrici e non egocentrici, né eterodiretti( )!
Un'organizzazione per molti versi simile a quella della rete neurale del cervello umano, ma anche diversa, perché i neuroni non hanno una personalità, mentre al centro dei nodi della rete democratica sono gli esseri umani.
Una rete così costruita ed auto-organizzata non si presterebbe facilmente ad essere manovrata dall'alto, come farebbe il pescatore allo scopo di catturare il più gran numero di pesci – una metafora del politico che cerca il consenso della maggioranza degli elettori.
I movimenti politici, i partiti tradizionali, devono allinearsi a questo nuovo standard di partecipazione, pena l'esclusione dal processo storico-evolutivo dell'umanità del terzo millennio.

Quale l’impegno?
Nel corso di questo argomentare sulle democrazie moderne, abbiamo visto che un diverso modello di uomo sta emergendo nello scorcio del secolo entrante: è un individuo sociale che ha caratteristiche inedite, non si basa più solo sulla centralità dell’ego, sull’interesse predatorio o sulla pura competizione; ha spiccate caratteristiche di affermazione dell’identità, ma nello stesso tempo di integrazione in reti che richiedono forti doti di cooperazione, disponibilità al dono e all’oblazione, come nel vasto fenomeno del volontariato del terzo settore o quello espresso dalla filosofia Open Source (è stato anche definito networked individualism).

La prima istanza che emerge da questo paradigma è una sentita e diffusa volontà di partecipazione.
La recentissima vicenda dell'indulto, che sta scuotendo l'opinione pubblica - pare non si riesca a trovare un cittadino che se ne dica soddisfatto - è la dimostrazione della perdurante carenza di comunicazione istituzionale, di partecipazione popolare, di coinvolgimento dei cittadini di cui soffre la politica oggi, sia essa di destra o di sinistra.

Il ministro di Grazia e Giustizia ha ritenuto lecito prendere accordi senza preventivamente informarsi su quella che poteva essere l'opinione pubblica prevalente, su un tema che coinvolge emotivamente e moralmente tutta la cittadinanza, né ha ritenuto doveroso informare la stessa opinione pubblica sulle decisioni che sarebbero state prese di lì a poco in parlamento.

In realtà, la decisione finale è frutto di un accordo interpartitico (non parlamentare), secondo una logica di scambio che non tiene in alcun conto la volontà espressa dall’elettorato della maggioranza.
Già altri suoi predecessori nel dicastero (Castelli) e altri attuali colleghi (vedi decreto Bersani-Visco) hanno stretto accordi e preso decisioni "sulla testa della gente", pensiamo anche al già citato caso della TAV in Val di Susa, sul quale, a nostro avviso, non è ancora calato il sipario.
Con più partecipazione democratica e più trasparenza istituzionale si sarebbe evitato lo scandalo degli "80" furbetti che l'hanno fatta "franca" ancora una volta.
Nessuno dei nostri nelle segreterie dei partiti, tra i membri del governo, ha fatto la domanda: i nostri elettori, le nostre elettrici capiranno?

All'inizio della campagna elettorale per le elezioni politiche, Romano Prodi, come esemplificazione della difficoltà della situazione in cui ci saremmo trovati una volta al governo, pronunciò la frase che molti ricorderanno: “Dobbiamo riuscire a rimettere il dentifricio dentro il tubetto”.
Adesso come si fa, dopo aver incrinato il rapporto fiduciario con gli elettori, a riproporsi loro come delegati affidabili?

Come lo spieghiamo adesso, al popolo di centrosinistra, questo accordo "sotto banco" con quella parte della Casa delle Libertà che aveva amici ed interessi da salvare?
L'epoca della delega in bianco, firmata dai cittadini in favore della classe politica, è finita, e non solo perché i politici e i partiti della rappresentanza abbiano commesso degli errori, o perché non siano stati fedeli al loro mandato, o perché siano stati condiscendenti o collusi alla criminalità, ma soprattutto perché il mondo intorno è cambiato.

Si avverte quindi la necessità di un nuovo partito democratico, dove l’attributo nuovo sottintende un concetto semplice e fortissimo:
tutti gli eletti devono tener conto, nei tempi e nei modi previsti dalle regole democratiche che ci daremo, dell'esigenza di partecipazione totale dei cittadini al governo della cosa pubblica.

Per concludere, nell'articolo di Ilvo Diamanti, pubblicato da “la Repubblica, sulle nuove generazioni, c'è di che riflettere amaramente ma non sui giovani quanto sui trentenni-quarantenni. Mi faccio, dunque portavoce di una esigenza: impedire la manipolazione cosciente e astuta delle abitudini organizzate e delle opinioni di massa di cui anche i partiti sono responsabili attraverso l'uso complice del sistema televisivo.

Desidero che il Partito Democratico faccia sua l'esigenza di riscoperta dei vecchi canali, incoraggiando ognuno a sostituire le pseude conoscenze, le false certezze, a comprendere il relativismo della verità e soprattutto a sentirsi artefice della nascita di un nuovo ordine politico. Uno dei passaggi per il raggiungimento di questo obiettivo, mi sembra ovvio, sta proprio nel rivalutare il sistema scolastico, nel riqualificare i mezzi di apprendimento, nel formare l'individuo che esca dalla massa in virtù del suo pensiero: solo così la democrazia potrà dirsi effettivamente partecipata. Da ciò deriva anche un ripensamento sui mezzi di informazione e sulla scelta dei loro dirigenti affinché i fruitori non siano più, per dirla con Brecht, un gregge di pecore.

28/08/2006





        
  



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