A proposito di Cassazione e di clandestini
San Benedetto del Tronto | Lo straniero non può essere arrestato dopo il diniego al rinnovo del permesso
di Gian Luigi Pepa
La Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n.31426/2006, depositata in data 21.09.2006, a pochi giorni dalla sentenza n.30774/06, sempre della prima sezione penale, de-positata il 18.09.2006 torna sull’argomento della clandestinità.
La Procura di Palermo, aveva avviato la procedura di espulsione nei confronti di un citta-dino del Marocco, regolarmente presente in Italia, che allo scadere del permesso non ne ave-va avuto il rinnovo, conseguentemente veniva disposta l’espulsione, eseguita mediante l’ordine di lasciare il nostro paese entro cinque giorni, ordine non osservato e quindi, lo stra-niero veniva arrestato.
Il Tribunale di Palermo non ha convalidato l’arresto, sostenendo che l’ingiunzione d’ allon-tamento non può essere punita né con l’arresto, né con un’ulteriore espulsione.
Il Tribunale fonda la propria decisione interpretando la norma originaria che disciplina la pro-cedura di espulsione amministrativa prevista dal decreto legislativo n.286/98, e cioè il testo uni-co delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero, così come modificata dalla Legge n.189/2002, cioè la “Bossi-Fini”.
La Suprema Corte, nel respingere il ricorso della Procura di Palermo contro l’ordinanza del Tri-bunale, ha precisato che detta fattispecie non rientra nell’alea della norma che sanziona penalmen-te la permanenza dello straniero nello Stato dopo l’ingiunzione di allontamento, così come disci-plinata dall’art.14 comma 5 ter L.286/98.
In conclusione per la Suprema Corte, non è sanzionabile la condotta di chi permane nello Stato dopo il rifiuto di rinnovo del permesso, poiché il soggetto che aveva ottenuto il permesso di sog-giorno, ha diritto al favor rei, sanzionando solo come reato contravvenzionale la mancata richiesta di rinnovo, ma quando, come nel caso in esame, il rinnovo sia stato richiesto, ma non ottenuto, secondo la Prima Sezione Penale: “sarebbe irragionevole punire più gravemente lo straniero”.
Questa è la sentenza che al di là del tecnicismo giuridico, fa percepire al cittadino ed agli stessi clandestini, un messaggio errato, facilmente desumibile dai fatti di cronaca riportati dai quotidiani locali a quelli nazionali.
E’ successo pochi giorni or sono nel fermano che un clandestino, fermato dalle Forze dell’Ordine, nell’esercizio delle loro funzioni, per guida in strato di ebbrezza, si sia messo a saltare sopra il cofano dell’auto delle Forze dell’Ordine, schernendoli e dicendo “Tanto non potete farmi niente, in Italia noi facciamo quello che c….. vogliamo”.
Ancora, alla fine dell’estate, a Porto d’Ascoli dei clandestini, fermati per controlli, hanno mi-nacciato due vigili urbani, senza dimenticare infine l’episodio di Torino a tutti ben noto in cui sono state le Forze dell’Ordine a dover difendersi da irregolari.
Questa è la realtà in cui i cittadini italiani devono vivere, al di là delle belle parole sull’ integra-zione, sulla società multietnica ed altre belle definizioni altisonanti, che piacciono molto ai nostri politici, ma che nel concreto determinano insofferenza, con il rischio di trasformare il cittadino ita-liano da sempre rispettoso delle regole civili in un razzista, intollerante.
Probabilmente, ciò che si dimentica è che non va punito chi ha contribuito a costruire il modello occidentale e chi vuole il rispetto delle regole civili, nel rispetto della libertà altrui e della parità uomo - donna, ma chi vuole a tutti i costi ed in tutti i modi anche subdolamente destabilizzare ciò che si è faticosamente conquistato.
Le due sentenze della Suprema Corte, inducono a riflettere se vi siano regole da rispettare o se in nome dell’integrazione e del sociale i cittadini italiani debbano soggiacere all’invasione di tutto ciò che viene dall’esterno, con la perdita totale dell’identità nazionale e dei valori che la caratteriz-zano.
Sarebbe invece, compito delle Istituzioni tutte, invitare gli stranieri a rispettare le nostre regole ed i nostri valori, adoperandosi per far sì che le diverse culture vivano ed operino nel pieno rispetto reciproco, ma all’interno dell’identità nazionale italiana.
Non è tollerabile un sistema che di fatto impone ai cittadini di soggiacere a regole di vita non nostre, privandoci di ogni identità nel timore di offendere l’altro, ma permettendo all’altro di de-nigrare quotidianamente, ripetutamente e soprattutto senza timore, i nostri valori.
In conclusione ottenere la cittadinanza vuol dire riconoscersi nel senso dello Stato, nell’ inte-resse della collettività, nei valori comuni, nell’identità nazionale, e solo da tale premessa im-prescindibile si può costruire il modello di convivenza e di integrazione, mentre è un errore, per dirla con le parole di Magdi Allam, “…prefigurare un diverso binario identitario, valoriale e giu-ridico all’interno dello stesso spazio sociale e nazionale”.
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06/10/2006
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