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L'ultimo saluto a Francesco

San Benedetto del Tronto | Dopo la camera ardente, il funerale. Il Paese Alto e la città tutta accoglie e seppelisce Francesco Annibali, un'altro dei suoi figli caduti in mare.

di Carmine Rozzi


“Cara cugina, sapessi come sono stanco di andare in mare, ma non so fare altro”. Poi la voce si rompe, sopraffatta dal dolore. Così una delle cugine di Francesco Annibali, alla fine della messa in suffragio officiata dal Vescovo Monsignor Gervasio Gestori. Erano tanti, in questo pomeriggio nuovoloso di novembre, ad affollare l’Abbazia di San Benedetto Martire al Paese Alto. Oltre ai familiari, ai tanti colleghi di mare c’erano loro, i sanbenedettesi.

Gente comune venuta a salutare un’altro dei suoi figli che si aggiunge ai tanti, troppi, che negli anni, solcando i mari per lavoro hanno pagato il prezzo più alto. “Dopo i tanti progressi tecnici, dopo le accresciute professionalità umane non ci aspettavamo di dover assistere ancora la stessa tragedia” commenta nella sua omelia sentita e partecipe Monsignor Gestori. I capi si chinano all’unisono in segno di assenso e dolorosa constatazione.

Dopo gli onori della camera ardente con il picchetto dei Vigili Urbani che ha visto sfilare nelle ultime 18 ore una folla continua e discreta il corteo funebre si snoda dal Comune in una mesto cammino che, attraversando Viale De Gasperi, si dirige verso Via XX Settembre e da qui risale verso la chiesa del quartiere natio di Francesco. Al passaggio del feretro la città smette per un attimo, rispettosa e silenziosa, di pulsare. La gente guarda, si ferma, si fa il segno della croce, capisce e ringrazia. Deve tanto ai loro pescatori che da sempre costituiscono la vera spina dorsale dell’economia cittadina. Francesco era uno di loro e lo sanno.

Dietro alla bara gli anziani genitori, sorretti dai famigliari più stretti. Poi le autorità. Il Sindaco Gaspari, il Presidente delle Provincia Rossi, il Sottosegretario Colonnella, le massime autorità della Capitaneria, di tutte le Forze dell’Ordine, della Protezione Civile, delle Associazioni di Pescatori. Davanti al sagrato della piccola chiesa ancora tanta San Benedetto. La sua. Quella che lo ha visto crescere per le stradine tortuose del quartiere. Sguardi pietosi, qualche parola di conforto e di sdegno per un corpo straziato da giorni e giorni d’impietose profondità marine.

”Non ci sia rabbia – riflette l’Alto Prelato – perchè sarebbe inutile e senza valore umano”. Poi, alle parole del perdono, aggiunge quelle della consapevolezza augurandosi che si adottino al più presto misure di sicurezza più idonee per un lavoro così duro e difficile affinché questo mare, da sempre fonte di lavoro e sollievo economico, non continui ad essere luogo di tragedia e di morte. “Caro Francesco ti vogliamo bene e ti pregiamo affinché tu, da lassù, preghi per noi”.

Un altro saluto da chi, per lunghi venti giorni d’angoscia, reprimendo dolore e rabbia, ha sostato sulla banchina del porto, in attesa. Di nuovo il corteo, la bara, le innumerevoli corone, lo strazio. Di nuovo per strada, fino al cimitero, fino al riposo, quello assoluto. Nei prossimi giorni, per Luigi Lucchetti e Ounis Gasmi, in luoghi con partecipazioni diverse, si ripeteranno gli stessi scenari. Tre uomini di mare. Uniti dal lavoro, affratellati dalla morte.

17/11/2006





        
  



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