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Ségolène, un’invenzione che da speranza al Partito Democratico

San Benedetto del Tronto | Ségolène ha ottenuto il 61% dei voti, stracciando i concorrenti Dominique Strauss-Kahn e Laurent Fabius.

di Tonino Arnata

Il rinnovamento contro le tradizioni, un’outsider contro due baroni,una donna incontrollabile contro due uomini prevedibili. Sègolène è la candidata socialista alle presidenziali di primavera

Quando il 16 novembre 2006 sera il risultato delle “Primarie”, cuiavevano partecipato gli iscritti del suo partito, ha annunciato che Ségolène Royal era la candidata socialista ufficiale alle elezioni
presidenziali, nella mente di non pochi democratici si devono essere accese molte immagini. Immagini che riempiranno nei prossime mesi le fantasie, e impegneranno le coscienze, e alimenteranno le discussioni politiche. Immagini che affascinano, lasciano perplessi, scandalizzano,
suscitano ironia, e chissà quali altri sentimenti, compresi tra l’entusiasmo e il rigetto. Immagini che, a mio avviso, diventando realtà darebbero luce.

Ségolène ha ottenuto il 61% dei voti, stracciando i concorrenti Dominique Strauss-Kahn e Laurent Fabius. Questa prima consacrazione comporta alcune lezioni da meditare, non solo per la sinistra francese ma anche per quella italiana e europea.Ségolène Royal ha saputo giocare una realtà evidente: donna, è riuscita a imporsi in un mondo di uomini. Ufficialmente i socialisti sono favorevoli alla promozione delle donne. Hanno instaurato nel loro partito la parità tra i generi, e nel giugno duemila hanno promulgato una legge per favorire l’uguaglianza nell’accesso ai mandati elettorali e alle finzioni elettive.

Di fatto però, quella legge non è mai stata veramente rispettata dai principali partiti, compreso il Partito socialista. Per di più, accettare che una donna si candidasse alla carica suprema della Repubblica, ha rappresentato per i suoi concorrenti un ulteriore passo, difficilissimo da compiere.

In Francia (in Italia), come altrove in Europa, la politica è una professione. Gli uomini che l’esercitano a Parigi sono molto simili ai mandarini della Cina imperiale. I ragazzi e le ragazze più brillanti sono ammessi nelle “grandi scuole”, dalle quali si entra più facilmente ai posti chiave dello Stato. Sono rari nella Quinta Repubblica i primi ministri e i ministri che non sono usciti dell’Ena (Scuola nazionale dell’amministrazione).

Hanno persino un titolo: “enarchi”. Sègolène non fa eccezioni. Sul piano accademico ha le carte in regola. Ma ha sempre dato l’impressione di non far parte del circolo degli eletti. Ne ha rifiutato gli atteggiamenti e il linguaggio. Questo rifiuto la fa apparire non solo diversa ma nuova. Benché ne faccia parte, è estranea all’élite della classe politica sempre più impopolare nella società civile. Ma la sua diversità non risiede soltanto nell’essere donna.

E non si lancia mai in discorsi teorici, né comizi, non ricorre (quasi) mai ai generici principi socialisti. Esibisce la sua identità socialista. La ribadisce senza esitare. Attacca puntualmente la destra e gli abusi dell’economia di mercato. Lo strapotere dei ricchi e la disattenzione verso i deboli di chi governa. Ma senza i soliti slogan in cui la gente non crede più. Cita piuttosto esempi concreti e racconta le sue esperienze. Entra nei dettagli della vita quotidiana, nelle famiglie, nelle scuole, negli ospedali, sui luoghi di lavoro.

Questo suo stile ha rappresentato uno scandalo e le ha procurato il successo. C’è in lei il gusto della trasgressione, che applica con un esemplare perbenismo. Divide la vita da più di un quarto di secolo con un uomo (François Hollande primo segretario del Partito socialista), con il quale ha avuto e allevato quattro figli, ma non l’ha mai sposato. E’ un dirigente e un eletto socialista, e in questa veste ha votato per il programma, ma lo tiene in scarso conto nei suoi comizi.

Va ben al di là. Non stupisce che abbia scandalizzato non pochi notabili del partito. Durante la campagna per le “Primarie” più che ai 218 mila iscritti di cui doveva conquistare i voti, si è rivolta alla più ampia platea della società civile. Ha scavalcato il partito. Ha parlato al Paese. Ha bistrattato il programma, a volte l’ha criticato “in nome del realismo”.

Ed è accaduto quel che fosse difficile immaginare: il successo conseguito nella società civile ha influenzato i militanti. Molti dei quali erano affluiti nel partito negli ultimi mesi attirati dai suoi discorsi. I richiami alla nazione e alla sicurezza, spesso usati per recuperare le classi popolari da qualche tempo insensibili ai tradizionali discorsi della sinistra, hanno esposto Ségolène all’accusa di populismo.

Il partito socialista francese ha tendenze dogmatiche quando è all’opposizione, e pratica il
pragmatismo quando è al governo. Passa con disinvoltura dall’uno all’ altro.

Ségolène Royal li ha usati entrambi con disinvoltura, provocando una miscela esplosiva che ha abbattuto molti argini. Votando in massa per Ségolène, i militanti si sono lasciati alle spalle i depositari dei dogmi socialisti. Li hanno abbandonati. Se a loro si aggiungono coloro (20%) che hanno votato per Dominique Strauss-Kahn, favorevole a una socialdemocrazia “rinnovata” (per far fronte alla mondializzazione), ci si accorge che il vecchio partito ha subito un terremoto.

28/11/2006





        
  



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