La politica e la società plurale
San Benedetto del Tronto | "La vicenda della finanziaria è stata la più ampia e lunga seduta di psicoanalisi di massa mai realizzata da un governo e da gruppi sociali organizzati."
di Renato Novelli
Ho iniziato a leggere gli schemi riassuntivi delle decisioni del conclave governativo di Caserta: 56 pagine.
Non è che poi un poveraccio sia disteso e riposato, perché la vicenda della finanziaria è stata la più ampia e lunga seduta di psicoanalisi di massa mai realizzata da un governo e da gruppi sociali organizzati. Ogni giorno, per tre mesi, sono uscite fuori le posizioni di un qualche comitato di rappresentanza che chiedeva modifiche e sconti sulla base di inderogabili tutele di interessi legittimi.
Seguire il governo della politica stanca di questi tempi in Italia. I partiti silenziosamente dalle Alpi al Canale di Sicilia hanno chiuso le porte della cittadella amministrativa, a partire dalle circoscrizioni per arrivare fino a Palazzo Chigi. Malgrado la società politica giri su se stessa, il problema del governo non si risolve semplicemente scardinando questa chiusura per aprirsi alla cosiddetta società civile. Anche le organizzazione civili e sociali sono altrettanto chiuse ed auto referenziali. La crisi della politica sta in un nodo ancora più difficile da sciogliere. Non c’è più una corrispondenza tra le proposte e i progetti di governo della società e la struttura delle differenze, delle disuguaglianze e dei problemi derivati dalle mutazioni continue delle società stessa.
Non sappiamo bene chi siano i nuovi soggetti sociali. Per esempio, Mauro Magatti e Mauro De Benedittis nel libro“I nuovi ceti popolari. Chi ha preso il posto della classe operaia?”, sostengono che i nuovi ceti popolari, hanno ereditato la collocazione sociale della vecchia classe operaia senza conservarne la forte identità di gruppo. I nuovi ceti popolari sono fluidi, diversificati, invisibili allo scenario politico.
L’affanno dei bilanci familiari cresce inesorabilmente nella nostra società, ma benessere o povertà dipendono parzialmente dal reddito, e di più dalle strategie individuali di vita ( a parità di reddito, i pluri divorziati sono più poveri degli protagonisti di matrimoni riusciti, in un paesino, un dipendente statale con agganci sociali e familiari è benestante, a Milano è povero). Ma il processo di individualizzazione delle domande sociali, che è la tendenza più importante della cosiddetta terza società di mercato, quella della internazionalizzazione post globale (capitalismo tradizionale e società di massa furono le prime due), non è entrata nelle politiche sociali dei governi. Da anni si discute dell’abbassamento dell’età pensionabile, senza affrontare due nodi complementari e fondamentali:
1) la qualità dell’organizzazione del lavoro, ora troppo rigida, troppo autoritaria, poco creativa rispetto ai valori più diffusi nella società
2) le vecchiaie plurali, lontane da quella relativa omogeneità di emarginazione dell’età anziana tipica della società industriale di massa.
Chi soffre il proprio lavoro vuole uscirne presto, chi ne è soddisfatto troverà forme dolci e progressive di allontanamento, rispetto alle quali tre anni in più sono gestibili ed organizzabili. Parimenti c’è chi va in pensione stanco e rassegnato oppure impoverito e chi comincia un’altra vita a sessanta anni. Lo sviluppo delle tecnologie, della cultura produttiva, dei sistemi comunicativi ci permettono di differenziare diversi percorsi lavorativi o pensionistici e di stimolare la creatività partecipativa nelle diverse fasi della vita.
Una risposta arretrata e sbagliata al pluralismo complesso della società presente è stata l’ideologia della competitività individuale. Una bandiera dei post tatcheriani nostrani, che funziona solo come guerra individuale tra concorrenti in un quadro rigido oppure come arrembaggio continuo. La creatività cooperativa è la ricetta più adeguata per scongiurare il declino della nostra economia e il percorso perverso della nostra società. Non è la soluzione di tutti i mali, ma una proposta trasversale alle politiche di intervento e di governo.
A tutti i livelli amministrativi. Naturalmente senza forme di democrazia più avanzate e permanenti delle scadenze elettorali, non ci sarà alcuna riforma in grado dio rispondere alla complessità derivata dai processi di individualizzazione e differenziazione sociale.
Altrettanto naturalmente se non ci sono forme adeguate di protezione sociale del lavoro del lavoro flessibile, part time ecc. non si potrà raggiungere un grado soddisfacente di “flexycurity”(flessibilità e sicurezza) necessaria ad un rilancio economico di lungo periodo. Dovremmo essere lavoratori creativi come gli orologiai svizzeri della prima metà dell’Ottocento che erano altamente professionali, fortemente attaccati al lavoro e fondatori di sindacati e gruppi socialisti.
Nel nostro sistema economico, invece, il mercato del lavoro viene regolato da compensazioni più che da innovazioni. Dobbiamo, invece, cominciare a tracciare un primo disegno di quella “società del lavoro plurale e della cittadinanza attiva” di cui parla Ulrich Beck , nella quale le risorse umane e sociali sono pienamente valorizzate: dal lavoro per il mercato svolto ad orario ridotto, alle attività di impegno civile, sostenute dall’azione volontaria e dal “reddito di cittadinanza”. Al di là della politica e insieme alla società politica con forme nuove di consultazione ed elaborazione responsabile. Democrazia o decadenza, tertium non datur.
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20/01/2007
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