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Un sorriso amaro sui Di.Co

| Tanta insoddisfazione a causa della nuova riforma.

di Valentina De Cosmis


“Questa non è la legge che il movimento omosessuale italiano chiede da vent’anni” ammonisce Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay. Pochi i diritti, effettivamente.

E, in tutta risposta, Monsignor Giuseppe Antifossi, presidente della CEI sostiene “troppe somiglianze fra i Pacs e i Dico”.

È stata infatti sottolineata, durante questi giorni, l’ingerenza di una Chiesa, troppo vicina per non dire la sua: “Se si parla di riconoscimento di una coppia gay, temo che la risposta della chiesa debba continuare ad essere no […]. Questo è un punto di distinzione fra il pensiero cattolico e quello laico”, continua Antifossi.

Berlusconi rimprovera “I DiCo sono un matrimonio di serie B. [..]Arriveranno alle adozoni”, “Su questa legge, l’Unione non riuscirà a mantenersi compatta e accelererà la sua disgregazione”.

A sostenerlo, gran parte della destra: Casini sostiene che “la legge colpisce la famiglia” e Bossi informa “sono d’accordo con quello che dice il Papa”.

E, a chi evidenzia la predica boomerang dei politici (sposati, separati e conviventi come Casini e Berlusconi) si deve rispondere che i rotocalchi rosa stiano al loro posto.

Gli avvocati, come la matrimonialista Marina Marino dicono “Siamo arrivati ultimi in Europa, almeno potevamo arrivare bene”, e Rifondazione, per bocca di Titti De Simone, annuncia, in merito ai Dico “Un testo da cambiare. Radicalmente.”

Gli unici ad essere soddisfatti sembrano, quindi, essere i moderati di sinistra: D’Alema dichiara “Questa legge che abbiamo presentato e sottoposto al vaglio del Parlamento: non sfascia proprio un bel niente.”, sebbene, anche il vicepremier, poi aggiunga “Per essere sinceri, poteva essere anche più incisiva”.

Ma in definitiva, cosa sono i Di.co e perché chiamarli “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”anziché apportare qualche piccola modifica agli europei Pacs? Semplicemente perchè “Questa riforma lunge anni luce dalla bozza presentata a Dicembre dal ministro per le pari opportunità Barbara Pollastrini”.

Rilevanti, del resto, i lati non propriamente positivi: non un patto, ma una dichiarazione congiunta, presentata da uno dei conviventi, e comunicata poi all’altro membro, attraverso raccomandata con avviso di ricevimento; orari di visita ed assistenza, nelle strutture ospedalieri, lasciati al buon cuore di infermieri, medici e primari; pensioni attribuite a seguito di “una durata minima della convivenza” (ovviamente, non specificata), e che dovranno “tener conto delle condizioni economiche e patrimoniali del convivente superstite”; eredità concessa solo dopo 9 anni di convivenza, da dividere con i parenti fino al 3° grado.

Di contro, la riforma sembra un passo avanti verso ciò che era stato chiesto: concede il diritto a “ciascun convivente di designare l’altro, quale suo rappresentante”, in materia di salute, morte, trattamento del corpo e celebrazioni funerarie; lascia alle regioni i diritti che riguardano l’assegnazione delle case popolari e soprattutto non sembra spingersi al confine della sopportazione, al di là dei limiti che le parti più conservatrici della politica italiana ci tengono a tener fermi.

Ancora tanta indecisione e insoddisfazione, però, dall’una e dall’altra parte.

Pare che ancora non siamo giunti ad Itaca.

15/02/2007





        
  



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