Clamoroso al Cibali?
San Benedetto del Tronto | Anni di lotta tra tifoserie e forze dell'ordine. Incidenti, feriti, morti e tanta presunzione. Ma nessuno si chiede mai nulla.
di Emidio Lattanzi*
Clamoroso al Cibali, ma non più di tanto. Quanto accaduto a Catania è grave, e l'assenza di precedenti rende tutto ancor più agghiacciante. In termini demagocici, sia chiaro. Grave ma, assolutamente, non imprevedibile. In tre giorni è stato detto tutto. Una volta la sociologia spicciola tendeva ad abusare del solito pensiero che voleva la colpa di certe vicende come esclusiva della Società. Oggi la sociologia, non più spicciola ma attenta indagatrice della natura delle masse, dopo tortuosi panegirici e raffinate analisi di fatti e tendenze, ha espresso la sua condanna.
La colpa è ancora della società. Così la gara a chi la spara più grossa delle ultime ore non ha risparmiato quasi nulla di ciò che poteva finire nell'occhio del ciclone. Fa notizia anche Pippo Baudo che se la prende con la chiesa, e questo la dice davvero lunga su quanto sta accadendo. Ognuno ha la sua risposta ma nessuno si è posto l'unica domanda possibile.
Cosa resta al calcio? I fatti di Catania ci dicono che al calcio può restare soltanto la speranza che la morte, da tempo annunciata, di Raciti possa essere il fondo di un pozzo all'interno del quale tutto il sistema calcistico è in caduta libera da almeno 15 anni. E allora continuiamo a farci delle domande. In tutti questi anni nel corso dei quali le divise hanno preso il posto delle "opposte fazioni" nella particolare classifica di "sgradimento" delle curve, cosa è stato davvero fatto per eliminare il problema? Nulla.
Certo, i decreti e le manovre giudiziarie si sono sprecati, e nei prossimi giorni ne arriveranno degli altri. Lo "zero" della tolleranza del decreto Pisanu diventerà ancora più rotondo ma, in definitiva cosa è cambiato, oggi, rispetto a 15 anni fa? E soprattutto, come si è passati dall'avversione prima goliardica poi violenta nei confronti delle opposte tifoserie al puro odio riservato alle divise? Quante volte chi si trova a dover raccontare i fatti che contraddistinguono gli incidenti negli stadi ascolta testimonianze di persone pronte a giurare di essere state colpite da manganelli selvaggi durante questa o quella carica dei reparti Celere? Tante. E allora non ci resta che puntare il dito contro la società, il disagio giovanile, lo spirito di ribellione dando anche qualche colpetto alle forze dell'ordine dipinte a volte come inadeguate al compito da svolgere negli stadi.
Troppo facile. La situazione è preoccupante, inutile negarlo. Ma non è la morte di Raciti, o quelle di Spagnolo, Ercolano e Filippini a renderla tale. Quelle sono soltanto le punte di iceberg grandi come palazzi, ma sembra che siano anche le uniche cose che politici, sociologi e mass-mediologi riescano a vedere dalle comode poltrone dei palazzi e dei salotti costanziani.
La verità è che gli stadi, in Italia, sono ormai dei campi di battaglia veri e propri, arene all'interno delle quali tutto e tutti vengono lasciati allo sbaraglio. Vengono lasciate allo sbaraglio le tifoserie, padrone di curve e gradinate, autorizzate a dettar legge nel loro territorio e troppo spesso strumentalizzate da un massonico e nascosto estremismo politico che, sia da destra che da sinistra, consiglia di "lottare contro lo sbirro".
Vengono lasciate allo sbaraglio le forze dell'ordine che, senza alcuna organizzazione si trovano a dover fronteggiare e a partecipare a guerriglie urbane e reagiscono come natura umana vuole. Se tu colpisci me, io colpisco te. E allora non facciamo dell'ipocrisia, non parliamo di modelli inglesi e piantiamola di invitare le famiglie al campo. Lo stadio non è per le famiglie, lo stadio è terra di nessuno e l'unica legge che vige è quella della giungla. C'è una mentalità da cambiare ma per farlo ci dev'essere una fortissima intenzione. Finora non c'è mai stata e, giudizio personale, mai ci sarà.
A perderci sarebbero in troppi. Caviamocela con un minuto di silenzio.
*Giornalista pubblicista ed ex responsabile ufficio stampa Samb.
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05/02/2007
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