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L’interesse pubblico e le sue declinazioni

San Benedetto del Tronto | Le recenti polemiche in merito ad abusi edilizi e nuovi piani di spiaggia hanno popolato le pagine dei giornali di questi giorni, ma non sempre hanno aiutato i lettori a capire con chiarezza le posizioni in campo.

di Daniele Primavera


Alcuni concessionari e loro rappresentanti sostengono la seguente tesi: gli stabilimenti balneari, per poter ampliare la loro gamma di servizi, necessitano di maggiori spazi, in particolare, in relazione alle attività di somministrazione di alimenti e bevande, sia nella forma “bar”, che nella forma “ristorante”, che nella forma “locale notturno”.

Per perseguire tali obiettivi non fanno mistero di ritenere opportuno, ad esempio, che si concedano – oltre ad ampi spazi di arenile – anche spazi pubblici sul nuovo lungomare riqualificato per il posizionamento di tavoli e sedie. Richieste lecite, per carità. Persino suggestive specie per chi, come molti di noi, ama vivere il lungomare non solo come bagnante ma anche come cliente abituale dei tanti esercizi annessi alle concessioni.

La questione però va affrontata diversamente; il lungomare non è un mondo a sé stante, senza alcuna relazione con il resto della città. Vanno chiariti, infatti, quali obiettivi ci si debba prefiggere. La prima domanda da porsi, dunque, è: il lungomare deve essere l’unica area adibita al passeggio ed al ristoro estivo? La domanda può sembrare banale o eccessivamente drastica, ma non lo è. Non molto più di 20 anni fa solo 7 concessioni potevano fornire attività di ristorazione.

Le attività vivevano, in grande misura, di ciò che era l’oggetto della concessione dell’arenile, cioè l’affitto delle attrezzature per la balneazione, dall’ombrellone alla cabina e di piccoli servizi accessori di Bar. Il patto tra Stato e concessionario era, nella sostanza: io (stato) ti permetto di utilizzare, a un prezzo estremamente vantaggioso, ampi spazi di arenile; tu (concessionario) ti impegni a non edificarci che il minimo indispensabile per fornire, a pagamento, i servizi accessori alla balneazione.

A questa attività, peraltro più che ragionevolmente remunerativa, anche considerando la rivalutazione delle concessioni stesse, alcuni stabilimenti hanno negli anni affiancato attività commerciali di diverso tipo, come locali serali o Ristoranti. L’evoluzione della normativa e il rinnovamento delle strutture hanno cambiato sensibilmente la situazione precedente. Oggi il lungomare è, di fatto, la strada su cui si dispongono la grande maggioranza dei ristoranti e dei bar sambenedettesi, specie se teniamo conto che, su 108 concessioni, quasi tutte sono corredate da operative attività di somministrazione.

L’inadeguatezza dei locali in cui questa ristorazione si svolge (rispetto alla domanda potenziale e alle necessità logistiche), dunque, è scontata. Piani di spiaggia pensati per consentire la costruzione di “complementi” alla balneazione hanno permesso, de facto, l’evoluzione di tali strutture in attività commerciali di ben altra finalità. Questo, naturalmente, non può essere visto come “il male assoluto”, anzi. Ha i suoi indubbi lati positivi.

È stata popolata di attività un’area fortemente attrattiva (per la vicinanza del mare, per la riqualificazione urbana), rispondendo ad una richiesta del mercato e diffondendo benessere ad un ampio numero di piccoli soggetti imprenditoriali. La politica, tuttavia, ha il dovere di interpretare le richieste del mercato e di pianificarne l’evoluzione, non necessariamente assecondandole.

Il mercato, infatti, non garantisce affatto benessere per tutti i cittadini, ma anzi – storicamente – favorisce l’accentramento dei capitali in poche mani. È qui che la politica non solo può, ma anzi ha il dovere di intervenire. A questa panoramica apparentemente idilliaca, infatti, altri aspetti hanno fatto da contrappeso. Tanto per fare qualche esempio, le serate in stile “discoteca” degli stabilimenti hanno soffocato un possibile sviluppo ulteriore di tali locali, al punto di non permetterne alcuna apertura di nuovi, specie nel periodo estivo.

Contemporaneamente, gli schiamazzi provenienti dagli stabilimenti hanno creato un costante clima di tensione tra albergatori, residenti, affittuari e concessionari. Inoltre, le attività di ristorazione – non solo il classico “pranzo leggero” della domenica al mare, ma tutt’altro, con servizi che vanno dalla colazione, al pranzo, all’aperitivo, alla cena, al dopo cena – hanno compresso in modo significativo l’affluenza negli altri locali della città anche del centro, alcuni dei quali preferiscono chiudere direttamente nel periodo estivo (mentre altri hanno chiuso definitivamente).

Le strutture, inoltre, sempre più ingrandite ed invadenti perché basano la loro accoglienza non sulla natura sabbiosa dell’arenile ma sulla costruzione cementizia, hanno di fatto stravolto l’estetica del lungomare, che in lunghi tratti appare come un “lungo-stabilimenti”, una strada come un’altra dalla quale non si riesce, a meno di fermarsi e cercare uno spiraglio, a vedere il mare, che invece avrebbe dovuto esserne protagonista.

Ora, se da un lato può talvolta essere giusto che nel nome della concorrenza la politica si faccia da parte, dall’altro questo ha un senso solo quando tutti i competitori partono dagli stessi presupposti (ad esempio, in termini di canoni concessori o d’affitto), e quindi quando viene premiato il merito del singolo operatore; ha un senso, inoltre, se e solo se fosse indifferente, per la città, che tali attività turistiche si sviluppino in maniera esclusiva o semi-esclusiva sul lungomare. Lascio le risposte definitive a questi quesiti al lettore, nella speranza di aver evidenziato alcuni nodi importanti di questa problematica, al riparo da qualunque “paraocchi” e anzi con la sola speranza di aver esposto posizioni ragionevolmente comprensibili.

A fianco della questione di merito, per la quale mi auguro di aver fornito spunti di qualche interesse, è necessario porre una questione più strettamente politica, inerenti i processi con cui le decisioni vengono prese; e lo faccio non per amor di polemica ma per garantire ulteriore chiarezza. Credo, come ho già sostenuto nel passato, che sia ora di fornire alla città una visione limpida dei problemi e delle posizioni dei partiti e dei singoli.

Non è tollerabile che la presunta posizione di DS e Margherita sia portata avanti sporadicamente da persone che non hanno alcun incarico amministrativo nel nostro comune, né alcun incarico ufficiale di rappresentanza, alcune delle quali parlano oggi a nome del partito di appartenenza, domani a nome di una corrente del futuro PD, dopodomani a nome degli esercenti, poi dei concessionari, poi per esprimere “opinioni personali”.

I “jolly politici”, specie quando sono usciti perdenti da elezioni o quando non si sono presentati affatto alle amministrative, non fanno che confondere gli elettori e inquinare uno svolgimento realmente democratico, dove la distinzione tra lee varie controparti ed i rapporti che intercorrono tra le forze politiche (non solo partiti, ovviamente) devono essere ben chiari.

Così come non si capisce perché debba essere un Consigliere Regionale, che noi tutti immaginiamo passi il proprio tempo in Regione a tutelare gli interessi del territorio, a suggerire l’agenda dell’amministrazione comunale. Forse è il caso che ognuno si scelga un ruolo e lo porti avanti con coerenza e correttezza, per il bene di tutti.

29/08/2007





        
  



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